domenica 1 marzo 2015

la chiesa apre a

Paolo IV e gli eretici del suo tempo



(di Roberto de Mattei) Il Conclave che si aprì il 30 novembre 1549, dopo la morte di Paolo III, fu certamente uno dei più drammatici della storia della Chiesa. Il cardinale inglese Reginald Pole (1500-1558), era indicato da tutti come il grande favorito. Erano pronti per lui gli abiti pontificali ed egli aveva già mostrato a qualcuno il discorso di ringraziamento.
Il 5 dicembre, a Pole mancava un solo voto per ottenere la tiara pontificia, quando il cardinale Gian Pietro Carafa si levò in piedi e, di fronte all’assemblea attonita, lo accusò pubblicamente di eresia, rimproverandogli, tra l’altro, di aver sostenuto la doppia giustificazione cripto-luterana respinta dal Concilio di Trento nel 1547. Carafa era conosciuto per la sua integrità dottrinale e per la sua vita di pietà. I suffragi per Pole crollarono e, dopo lunghe controversie, il 7 febbraio 1550 fu eletto il cardinale Giovanni del Monte, che prese il nome di Giulio III (1487-1555).
L’accusa di eresia che per la prima volta era stata lanciata in conclave contro un cardinale rifletteva le divisioni dei cattolici di fronte al protestantesimo (cfr. Paolo Simoncelli, Il caso Reginald Pole. Eresia e santità nelle polemiche religiose del cinquecento, Edizioni di Storia e Letteratura, Roma 1977). Tra gli anni Trenta e Cinquanta del Cinquecento le tendenze eretiche si erano diffuse nel mondo ecclesiastico romano ed era nato il partito degli “spirituali”, rappresentato da personaggi ambigui, come i cardinali Reginald Pole, Gasparo Contarini (1483-1542) e Giovanni Morone (1509-1580).
Essi coltivavano un cristianesimo irenista e si proponevano di conciliare il luteranesimo con la struttura istituzionale della Chiesa romana. Pole aveva creato un circolo eterodosso a Viterbo; Morone, quando era stato vescovo di Modena, tra il 1543 e il 1546, aveva scelto dei predicatori che successivamente erano stati tutti processati per eresia. Gli atti dei processi inquisitoriali del card. Morone (1557-1559), di Pietro Carnesecchi (1557-1567) e di Vittore Soranzo (1550-1558), tutti appartenenti alla cerchia degli “spirituali”, pubblicati dall’Istituto Storico Italiano per l’età moderna e contemporanea e dall’Archivio Segreto Vaticano, tra il 1981 e il 2004, hanno dimostrato quanto fitta fosse questa rete di complicità, vigorosamente combattuta da due uomini, entrambi destinati a divenire Papi, Gian Pietro Carafa, futuro Paolo IV, e Michele Ghislieri, futuro Pio V. Entrambi erano convinti che gli spirituali fossero in realtà cripto-luterani.
Gian Pietro Carafa aveva fondato, con Gaetano di Thiene, l’ordine dei Teatini ed era stato scelto da Adriano VI a collaborare per la riforma universale della chiesa, interrotta dalla morte prematura del Pontefice di Utrecht. Era soprattutto al card. Carafa che si doveva l’istituzione del Santo Uffizio dell’Inquisizione romana. La bolla Licet ab initio del 21 luglio 1542, con cui Paolo III, accogliendo il suggerimento di Carafa, aveva istituito questo organismo, era una dichiarazione di guerra all’eresia. Questa guerra c’era chi voleva continuarla fino all’estirpazione di ogni errore e chi voleva concluderla in nome della pace religiosa.
Alla morte di Giulio III, nel Conclave del 1555, i due partiti si scontrarono nuovamente e il 23 maggio 1555 il cardinale Gian Pietro Carafa fu eletto Papa, superando di un soffio il cardinale Morone. Aveva allora settantanove anni e prese il nome di Paolo IV. Fu un Pontefice senza compromessi, che ebbe per obiettivo primario, la lotta alle eresie e una vera riforma della Chiesa. Combatté la simonia, impose ai vescovi l’obbligo di residenza nelle proprie diocesi, ristabilì la disciplina monastica, impresse un vigoroso impulso al Tribunale dell’Inquisizione, istituì l’Indice dei Libri proibiti.
Il suo braccio destro era un umile frate domenicano, Michele Ghislieri, che nominò vescovo di Nepi e Sutri (1556), cardinale (1557) e Grande Inquisitore a vita (1558), aprendogli la strada al pontificato. Il 1 giugno 1557 Paolo IV comunicò ai cardinali di aver ordinato l’incarcerazione del card. Morone per sospetto di eresia. Aveva incaricato l’Inquisizione di svolgere il processo, portandone i risultati dinanzi al Sacro Collegio. Paolo IV rivolgeva la stessa accusa al card. Pole che si trovava in Inghilterra e che fu destituito dalla carica di legato. Il card. Morone fu rinchiuso in Castel Sant’Angelo e venne liberato solo nell’agosto 1559, quando, alla vigilia della condanna, la morte del Papa gli permise di recuperare la libertà e di partecipare al conclave successivo.
Nel marzo 1559, pochi mesi prima di morire, Paolo IV pubblicò la bolla Cum ex apostolato officio in cui affrontò il problema della possibile eresia di un Papa (cfr. Bullarium diplomatum et privilegiorum sanctorum romanorum pontificum, S. e H. Dalmezzo, Augustae Taurinorum, 1860, VI, pp. 551-556). In essa, leggiamo: «che lo stesso Romano Pontefice, il quale agisce in terra quale Vicario di Dio e di Nostro Signore Gesù Cristo ed ha avuto piena potestà su tutti i popoli ed i regni, e tutti giudica senza che da nessuno possa essere giudicato, qualora sia riconosciuto deviato dalla fede possa essere redarguito» e «se mai dovesse accadere in qualche tempo che (…) prima della sua promozione a cardinale od alla sua elevazione a Romano Pontefice, avesse deviato dalla fede cattolica o fosse caduto in qualche eresia (o fosse incorso in uno scisma o abbia questo suscitato), sia nulla, non valida e senza alcun valore, la sua promozione od elevazione, anche se avvenuta con la concordanza e l’unanime consenso di tutti i cardinali».
Questa bolla ripropone quasi alla lettera il principio canonistico medioevale secondo cui il Papa non può essere redarguito e giudicato da nessuno, «nisi deprehandatur a fide devius» , a meno che non devii dalla fede (Ivo di Chartres, Decretales, V, cap. 23, coll. 329-330). Si discute se la Bolla di Paolo IV sia una decisione dogmatica o un atto disciplinare; se sia ancora in vigore o se sia stata implicitamente abrogata dal Codice del 1917; se si applichi al Papa che sia incorso in eresia ante o post electionem, e così via. Non entriamo in queste discussioni. La Cum ex apostolato officio resta un autorevole documento pontificio che conferma la possibilità di un Papa eretico, anche se non dà alcuna indicazione sulle concrete modalità con cui egli perderebbe il pontificato. Dopo Paolo IV, fu eletto, il 25 dicembre 1559 un Papa politico, Pio IV (Giovanni Angelo Medici di Marignano – 1499-1565).
Il 6 gennaio 1560 il nuovo pontefice impose l’annullamento del processo contro Morone, reinsediandolo nella sua carica e si scontrò duramente con il cardinale Ghislieri, che considerava un fanatico dell’Inquisizione. L’Inquisitor maior et perpetuus fu privato dei poteri eccezionali conferitigli da Paolo IV e venne trasferito alla diocesi secondaria di Mondovì. Ma alla morte di Pio IV, Michele Ghislieri, il 7 gennaio 1566, venne inaspettatamente eletto con il nome di Pio V. Il suo pontificato si situò in piena continuità con quello di Paolo IV, riprendendone l’attività inquisitoriale.
Il cardinale Morone, che per incarico di Paolo III aveva aperto, come legato pontificio, il Concilio di Trento e su mandato di Pio IV ne aveva diretto le ultime sessioni, ottenne la sospensione della sua condanna.
La storia della Chiesa, anche nei momenti di più aspro scontro interno è più complessa di quanto molti possono credere. Il Concilio di Trento, che è un monumento della fede cattolica, fu inaugurato e poi chiuso da un personaggio gravemente sospetto di eresia luterana. Quando morì, nel 1580, Giovanni Morone fu sepolto in Santa Maria della Minerva (la sua tomba è oggi irreperibile), la stessa basilica in cui san Pio V volle elevare un mausoleo al suo accusatore, di cui avviò il processo di canonizzazione: il campione dell’ortodossia Gian Pietro Carafa, papa Paolo IV. (Roberto de Mattei)

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