Cluny: vita hominis Militia
«In
questo luogo si celebra così spesso il sacrificio vivificante, che
quasi giorno non passa senza che, con questo mezzo, delle anime vengano
strappate alla potenza maligna dei demoni. A Cluny, infatti, ne siamo
stati testimoni noi stessi, un’usanza, resa possibile dal gran numero
dei monaci, vuole che si celebrino senza interruzione messe dalla prima
ora del giorno fino all’ora del riposo. Vi si mette tanta dignità,
pietà, venerazione, che uno crederebbe vedere piuttosto angeli che
uomini».
Il
Cattolicesimo o è militante o non è. Non si può vivere la Fede
cristiana senza combattere contro i nostri peccati personali, «contro
gli spiriti maligni del mondo invisibile» e contro coloro che
favoriscono il male su questa terra.
Il cristiano deve cingersi «i
fianchi con la verità», rivestirsi «con la corazza della giustizia»,
calzare «lo zelo per propagandare il vangelo della pace», impugnare «lo
scudo della fede», indossare «l’elmo della salvezza» e brandire «la
spada dello spirito, cioè la parola di Dio». In caso contrario,
soccomberà sotto i colpi del Maligno. Quanto detto sopra vale, ancor di
più, per gli uomini di Chiesa: finché essi continueranno a temere di
indossare la loro divisa (la talare), finché non torneranno ad affermare
con forza che Cristo deve regnare nei cuori degli uomini e sulla
società intera, finché non torneranno ad offrire l’unico vero sacrificio
gradito a Dio e odiato da Satana, essi continueranno a servire Barabba
e a crocifiggere Cristo.
Se
dovessimo scegliere un esempio di cattolicesimo militante (tra i
moltissimi che potremmo scegliere), torneremmo all’inizio del X secolo,
più precisamente al 910 d.C., quando alcuni monaci decisero di vivere la
regola di san Benedetto nella sua integrità, fondando l’abbazia di
Cluny. Questi uomini, spesso appartenenti a nobili famiglie, «si
sentivano arruolati nelle milizie celesti». Non cavalieri del secolo, ma
milizia di Cristo. Del resto, «il monachesimo benedettino aveva modi da
combattente; aveva preso a prestito all’esercito romano il vocabolario,
i riti di professione, concepito il dormitorio monastico come una
camerata, e il chiostro come una sala di guardia. E tutta la sua morale
si riassumeva in quel conflitto armato tra le virtù e i vizi che si
potevano vedere rappresentati corpo a corpo corazzati sui capitelli
delle abbaziali». I monaci cluniacensi iniziarono quindi a modellare la
loro vita seguendo l’esempio cavalleresco: truppe scelte, all’«assalto
del Paradiso».
Da
sempre, i soldati hanno elaborato canti per beffare o incutere timore
al nemico e i monaci cluniacensi non furono da meno. Come rileva Duby,
la salmodia cluniacense rappresenta «la sublimazione delle veemenze
cavalleresche». Il coro dei cluniacensi, in cui le voci dei monaci si
fondevano “come un sol uomo”, rappresentava il canto virile di nobili
cavalieri che si scagliavano contro le «mura di Gerico che separano
ancora l’umanità dalle gioie future», per «forzare l’entrata della Terra
Promessa».
Come
cattolici militanti dobbiamo lottare ogni giorno contro i demoni che ci
assalgono. Cadremo, forse. Ma, come scrive Domenico Giuliotti, «chi
lotta, anche se perde, vince. Per il solo fatto di lottare, tu vinci in
te, l’ignavia, il dubbio, il timore. E dunque anche questa sola vittoria
ti darà, se non altro, la soddisfazione d’esserti comportato secondo la
tua vera natura, che è d’uomo (cioè semidivina) e non di porco o di
pecora».
Testo di anonimo raccolto a cura di Piergiorgio Seveso
Nessun commento:
Posta un commento