mercoledì 26 ottobre 2016

Noi pochi, noi felici pochi




Parole che vorremmo ascoltare dai Pastori.

Memorabile scena dell' "Enrico V" di Kenneth Branagh, basato sull'opera di William Shakespeare.




Re Enrico V d'Inghilterra divenne sovrano del Regno d'Inghilterra il 20 marzo del 1413, quando aveva quasi ventisei anni. Dotato di un profondo senso del dovere e attorniato da un'aurea cavalleresca, Enrico rappresentava l'archetipo ideale di re medievale, ed era ansioso di farsi onore sul campo di battaglia, onde rinnovare le vittorie del secolo precedente ottenute dal predecessore Edoardo III sulla corona di Francia. Al tempo della sua ascesa al trono (1413), Enrico risolse celermente la questione dei Lollardi e represse una congiura nobiliare contro la persona del sovrano. Il sovrano pensò bene di trovare una soluzione che non solo avrebbe giovato al morale della popolazione, ma unito il suo regno e rafforzato la popolarità della dinastia di Lancaster su tutto il territorio, vale a dire una vittoriosa campagna contro la Francia.
Dapprima, nello stesso anno (1413), Enrico ottenne l'alleanza del duca di Borgogna, Giovanni Senza Paura e quindi, forte dell'alleanza con Giovanni, nell'agosto del 1414, Enrico avanzò delle richieste talmente oltraggiose che il governo francese non poté accettare. In breve Enrico chiedeva: la corona di Francia; i feudi angioini dei plantageneti, incluso il ducato di Normandia e parte della Provenza; la parte del riscatto del re francese Giovanni II (catturato a Poitiers nel 1356), non ancora pagata, ed infine la mano di Caterina figlia del re di Francia, Carlo VI. Per la Francia non poteva esserci un momento storico peggiore. Il governo di Carlo VI, detto "il folle" per la malattia mentale che l'affliggeva, aveva portato il paese in uno stato di totale anarchia dove Armagnacchi e Borgognoni si contendevano il potere in nome del demente sovrano.

La guerra civile francese

I negoziati tra i due paesi rivali si interruppero e Enrico continuò a preparare l'invasione della Francia.
La spedizione fu preparata con cura, era stata predisposta una grande quantità di materiale bellico (macchine d'assedio, pezzi d'artiglieria e pontoni e anche armature e armi, immagazzinate dentro a delle botti) raccolto dai provveditori reali, nei magazzini di Londra. Enrico però, per dichiarare guerra aveva bisogno di un grande esercito e di una grande flotta, mentre nel momento in cui lui salì al trono aveva a disposizione una piccolissima flotta di sole sei navi; dopo due anni riuscì comunque a farle diventare il doppio con la costruzione di navi presso i cantieri di Southampton, ma non erano ancora abbastanza per occupare i porti francesi: dovette acquistare diverse imbarcazioni dall'Olanda, e così riuscì con gli sforzi di tutte le città del Regno a mettere assieme una buona flotta. Risolto il problema della flotta bisognava allestire l'esercito terrestre: convocò i nobili del regno che dovevano rispondere alla chiamata d'armi e reclutare i piccoli contingenti dei loro castelli, inoltre emanò una coscrizione temporanea in modo da reclutare milizie e volontari a sue spese per un periodo temporaneo. L'esercito però era ancora insufficiente, e così il Re Enrico chiese aiuto alle città del regno che potevano offrire un po' di soldi, in cambio Enrico avrebbe dato la Corona del defunto re Riccardo II e Londra mise assieme 10.000 sterline, ma la corona di Riccardo II andò invece al comune di Norfolk, che diede alle casse dello stato 1000 sterline. Inoltre alla chiamata dovevano rispondere anche frati, preti, abati e vescovi insieme a tutti i componenti del clero e fu imposta una tassa al popolo (compresi i mercanti stranieri che erano anche loro obbligati a pagare questa tassa) per l'allestimento dell'esercito per la Campagna contro l'odiata Francia. Alla fine il Re Enrico mise assieme un esercito di 12.000 uomini e 20.000 cavalieri (nella battaglia di Azincourt ne arrivarono solo 6000 di quelli partiti dall'Inghilterra). E così Il 13 agosto 1415, la flotta inglese arrivò a Cap de la Hève, alla foce della Senna, nei pressi di Le Havre, il 14 l'esercito inglese era sbarcato e alcuni giorni dopo mise l'assedio a Harfleur, porto che avrebbe, una volta conquistato, fatto da tramite per il suo esercito. Contro ogni aspettativa la popolazione di Harfleur si era preparata al lungo assedio che avrebbe dettato l'esercito inglese, rinforzate le mura e allagata la pianura circostante, costrinse l'esercito della corona ad un duro assedio. Col passare del tempo, tanto tra gli assediati quanto tra gli assedianti, iniziava a scarseggiare il cibo e l'aria poco salubre delle paludi, il duro lavoro imposto ai soldati per creare efficaci avamposti d'attacco (trincee) e viceversa difendersi (la popolazione era spesso chiamata a ricostruire le mura della città rovinate dai colpi d'artiglieria), le umide notti, iniziarono a far pagare pegno, epidemie di febbri e dissenteria devastarono l'esercito inglese e la popolazione stessa.

Il 22 settembre 1415 la città cadde e, dopo alcuni giorni, re Enrico decise, contro il parere di tutti, di proseguire la sua marcia verso Calais, dove avrebbe voluto svernare. Lasciato un piccolo contingente di 1200 uomini a difendere Harfleur, il re iniziò la propria marcia con un seguito di circa 6000 uomini, di cui 5000 arcieri e solo 1000 uomini d'arme (per Alfred Coville erano 13.000 soldati).

Nel frattempo, conti, duchi, signorotti e nobili di tutta la Francia, avevano risposto alla chiamata alle armi fatta dal Delfino di Francia e dal re; ma l'esercito, anche se numericamente ben fornito (valutato dallo storico Alfred Coville sulle 50.000 unità), si era riunito presso la città di Rouen, solo ad ottobre, e le forze giunte sotto la guida dei duchi di Berry, d'Alençon, di Borbone e d'Angiò, si riunirono sotto il comando del connestabile di Francia, Carlo I d'Albret.

La battaglia

Durante la marcia dell'invasore verso Calais, l'esercito francese cercò più volte, senza apprezzabili risultati, di tendere imboscate che indebolissero fino alla distruzione l'esercito inglese, che, arrivato in Piccardia, si trovò di fronte l'armata francese.

Nonostante il parere negativo del duca di Berry, i nobili francesi approvarono, non senza disaccordi, un attacco frontale che annientasse il nemico.

Due araldi vennero inviati ad Enrico dai nobili francesi, essi riferirono al re che dal momento che lui era venuto a conquistare il loro paese, i francesi l'avrebbero combattuto in qualsiasi luogo e momento. Enrico replicò dicendo che avrebbe proseguito la propria marcia verso Calais e che i francesi avrebbero ostacolato la sua marcia a loro rischio e pericolo, poi ricompensò gli araldi con dell'oro e accampò il proprio esercito nella cittadina di Maisoncelle. All'alba del 25 ottobre 1415, giorno di San Crispino e Crispiniano, i due eserciti cominciarono a schierarsi. I francesi schierarono il loro esercito nella pianura adiacente tra Azincourt (Agincourt)e Tramecourt, come per sbarrare la via verso Calais; ordinato su tre file di uomini, lo schieramento francese prevedeva l'utilizzo di uomini d'arme appiedati al centro, sostenuti da arcieri e balestrieri e, ai lati, formazioni di cavalleria pesante.

Dal canto suo, Enrico V, schierò in tre piccole formazioni gli uomini d'arme capitanate dal duca di York, da Lord Camoys e dal re in persona. Gli armigeri vennero rafforzati dagli arcieri che, in formazioni triangolari, andarono a comporre una linea d'attacco leggermente concava.

Alle undici del 25 ottobre del 1415, si iniziò la battaglia. Il re ordinò al vecchio maresciallo dell'esercito sir Thomas Erpingham di dare le ultime disposizioni ai suoi, quindi urlò : «Avanti o bandiera! In nome di Dio Onnipotente, e che San Giorgio sia oggi il tuo aiuto!». Ogni inglese si inginocchiò, si fece il segno della croce, baciò la terra e se ne mise una zolla in bocca, poi cominciò il rullo dei tamburi e la lenta avanzata. I francesi nettamente superiori per numero, convinti di dettar le regole del gioco, si sentivano ora disorientati. Giunti a 200 metri dalle forze francesi, gli arcieri del re iniziarono a piantare una serie di pali appuntiti nel terreno fangoso e una volta difesi iniziarono a riversare frecce sui francesi. La cavalleria scelta francese provò a controbattere, ma le condizioni del terreno e la pioggia di dardi rendevano nulla la corsa dei cavalieri che, in più, giunti alle palizzate erano facili vittime del nemico. La grande colonna dei cavalieri appiedati invece avanzava molto lentamente nel fango. Solo un attacco frontale andò a segno e fece indietreggiare le linee inglesi, ma per poco. Enrico passò all'offensiva e dopo un'altra ondata di frecce, ordinò una carica generale, alla quale si unirono anche gli arcieri equipaggiati con armature leggere e nell'imbuto che si era creato caddero migliaia di nobili, conti e duchi di tutte le parti della Francia, molti morirono subito, altri vennero catturati e uccisi, oltre che per paura di ritorsioni future, anche e soprattutto per l'instabile situazione che vedeva i pochi inglesi timorosi che, ad un eventuale contrattacco francese, portato da forze fresche o dalla riorganizzazione di quelle in rotta, i numerosi prigionieri potessero raccogliere l'immensa quantità di armi sul terreno e sopraffarli. Infine, una parte del grande esercito francese (composto, a seconda delle stime, da 10.000 fanti e 8.000 cavalieri oppure da un totale di 25.000 uomini oppure, secondo il Coville, da 50.000 uomini), segnatamente la terza linea, disertò ingloriosamente in massa, dopo aver visto il tragico destino delle due linee che la precedevano, e si disperse nella boscaglia. Questo però lasciò agli inglesi il dubbio che potesse trattarsi di una manovra di aggiramento ed il susseguente attacco al campo inglese, in realtà una semplice opera di brigantaggio, priva di qualsivoglia intento tattico, del signore di Azincourt che si impossessò persino della corona di Enrico, fece davvero temere che tale aggiramento fosse in atto. In effetti Enrico, vista l'esiguità delle sue forze ed il grande numero di francesi in rotta, ebbe ancora per diversi giorni il timore di un secondo attacco nemico che avrebbe potuto capovolgere l'esito della battaglia.

Alle quattro del pomeriggio la battaglia era già finita con un disastro francese ove morirono, combattendo per la Francia, dai 7000 ai 15000 uomini tra cui il connestabile di Francia, Carlo I d'Albret, e il fratello di Giovanni Senza Paura, Filippo Conte di Nevers, mentre caddero prigionieri, oltre ad uno dei comandanti sul campo, Jean II Le Meingre, il capo della fazione degli armagnacchi, il duca d'Orleans Carlo, e l'altro fratello di Giovanni Senza Paura, Antonio Duca del Brabante, che poi fu ucciso con altri prigionieri francesi. Fu una grande vittoria, ed Enrico V ben presto rivendicò le sue pretese. Nella battaglia andò perso anche l'Oriflamme, lo stendardo da guerra francese che era stato usato dai re di francia sin dal XII secolo. Prima della battaglia era stato consegnato a Guillaume Martel, che lo lasciò sul campo di battaglia dopo la sua morte e non fu più ritrovato.

La Francia aveva peccato di presunzione sentendosi più forte numericamente, credendo nei suoi uomini più importanti, che poi finirono in rovina, l'Inghilterra si fece lustro grazie all'ingegno di Enrico V, che fu ammirato in tutta Europa.

https://it.wikipedia.org/wiki/Battaglia_di_Azincourt

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