venerdì 30 novembre 2012

fede e modernismo


LA TRADIZIONE E' REALISTA,
IL MODERNISMO E' IDEOLOGICO
 



Il Modernismo è ideologico, la Tradizione, questa no, è realista.

E' il Modernismo che partendo da concetti astratti, assunti dalla cultura imperante, ha preteso di trasformare il pensiero e la vita cattolica. Partendo dalla filosofia moderna, dall'Idealismo, dal Personalismo e dalla psicologia ideologica della modernità, ha voluto disgraziatamente adattare le verità di fede e la vita concreta dei cristiani: così facendo ha distrutto tutto, ha reso prima falsa e poi impossibile e inutile la vita cristiana.

Nasce tutto, nel Modernismo, dall'ideologia: si prendono acriticamente per buone le elucubrazioni dei pensatori atei e agnostici contemporanei e si vuole obbligare il pensiero cattolico ad adattarvisi, per non restare “fuori dalla storia”. E' un continuo volersi mettere al passo con i tempi, perché il cristianesimo non resti vecchio. E' l'ideologia: non è la realtà che comanda, ma le idee degli intellettuali.

La Tradizione parte invece dalla realtà.
La realtà di Dio che si rivela, che si fa conoscere, e la realtà dell'uomo, povero peccatore, che ha bisogno di una salvezza che non può darsi da sé. Sono il realismo e la semplicità cristiana. Quando uno accosta il mondo della Tradizione cattolica sente la bellezza di questa semplicità, di questo realismo. L'uomo semplice di cuore, non rovinato dall'orgoglio degli intellettuali da salotto, gusta questo realismo semplice che gli rende possibile affrontare l'esistenza e agire con efficacia. Sente che tutto torna chiaro nella vita.

L'orgoglio fa sragionare l'uomo; gli fa complicare la semplicità di Dio e gli fa perdere la via della salvezza. L'orgoglio, la superbia dell'intelligenza e del cuore, gli impedisce di ragionare, e gli fa complicare tutto ... e “il Signore ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore”.

Occorre però vigilare sempre.
Anche nella Tradizione può “rientrare” questa superbia che rovina tutto. La Tradizione va vissuta con semplicità e non con orgoglio. Tutto in essa va vissuto con un deciso realismo: la Messa di sempre va celebrata e assistita perché salva il mondo dall'abisso, non va vissuta invece come pura dimostrazione “politica” di una propria posizione contro la modernità. Un pellegrinaggio, vissuto tradizionalmente con la Messa di sempre, va fatto non come dimostrazione di forza, per far vedere che i conservatori sono più bravi dei modernisti nel fare queste cose, ma come urgente domanda di perdono e di grazia fatta al Signore per l'intercessione della Beata Vergine Maria e dei Santi. Così, ad esempio, abbiamo voluto vivere il secondo pellegrinaggio ad Oropa, che fa parte della grande novena di nove anni in attesa del centenario dell'Incoronazione della Madonna.

E' questione di vita o di morte: se si cade nell'inganno dell'ideologia, si porta la Tradizione su un binario morto. Si faranno, qua e là, delle manifestazioni tradizionali, forse anche solenni, ma queste non toccheranno i cuori, non comunicheranno veramente la grazia, non cambieranno la vita. Noi vogliamo restare dentro quel popolo semplice e grande che da secoli sta in ginocchio di fronte al Signore, sentendosi bisognoso di tutto. Un popolo umile, perché fatto di anime che domandano veramente perdono per i loro peccati. Un popolo coraggiosamente deciso, perché sulle verità di fede, sulla forma della Messa tradizionale, sulla dottrina cattolica non cede nemmeno di una virgola, perché queste sono date dal Signore per la nostra salvezza e non sono nostra proprietà.

L'intellettuale invece, che per conservatorismo, ama la Messa tradizionale, da un lato vuole momenti pubblici per affermare il suo gusto dell'antico, e nello stesso tempo diventa debole nella battaglia contro l'eresia per paura di restare escluso dal consesso pubblico di oggi o, peggio ancora, dalla vita pubblica della Chiesa: viene a patti con l'errore o le ambiguità della Chiesa ammodernata per il bisogno umano di vincere nel tempo – non si fida del Signore e vuole assicurarsi una vittoria che è tutta umana. Dobbiamo pregare molto, dobbiamo assistere molto alla Messa della Tradizione, se possibile quotidianamente, dobbiamo frequentare i Sacramenti, dobbiamo amare la dottrina cattolica, per restare realisticamente e umilmente attaccati al Signore. E il Signore darà la grazia, anche dopo la notte più oscura, anche dopo la più tremenda crisi della Chiesa.

Che la Beata Vergine ci conservi un cuore puro, e ci liberi dall'orgoglio intellettuale. Così sarà veramente Natale.



B. CHARLES DE FOUCAULD

1 DICEMBRE
B. CHARLES DE FOUCAULD,
monaco


Seconda lettura
Dalle Meditazioni del beato Charles de Foucauld, sacerdote (Meditazione 234)
Il Signore ci aiuta nel momento presente.
"Quando vi condurranno via per consegnarvi, non preoccupatevi di ciò che dovrete dire... poiché non siete voi a parlare, ma lo Spirito Santo". (Marco 12,32-13,11).
Quanto siete buono, mio Dio! Voi che in ogni istante, in ogni circostanza della loro vita, donate sempre a chi vi serve tutto ciò che è necessario per realizzare pienamente la vostra volontà, per adempiere in modo completo alla missione che voi affidate loro...

Dio ci donerà in ogni momento quello che è necessario per adempiere alla missione che a lui piacerà affidarci... Ce lo donerà in modo soprannaturale, senza nessuna preparazione da parte nostra, se ciò a lui piace, allo stesso modo che per i grandi apostoli Pietro e Paolo, miei diletti padri, di cui si celebra oggi la festa (san Paolo non apprese il Vangelo da nessun uomo: quando Gesù volle farglielo predicare, glielo rivelò... Cosa egli non rivelò, tanto a Pietro quanto a Paolo!... Egli illumina con tutto il cuore come meglio crede, quando vuole, così rapidamente, così completamente, così definitivamente come vuole)... Oppure egli ce lo donerà facendoci cooperare col nostro lavoro alla sua grazia, e allora lui stesso ci dirà in quale preciso momento, in che preciso modo, in che precisa misura, occorre compiere questi lavori preparatori... È a lui che ci toccherà appellarci nell'ora da lui stesso decisa nella quale egli vuole che noi ci consegniamo, così come sta a lui affidarci la tale o la talaltra missione nell'ora in cui preferisce che noi la intraprendiamo... Non abbiamo altro da fare che obbedire in ogni istante, facendo in ogni istante ciò che ci comanda nell'istante presente... Cosa ci comanda nel momento presente? "Chi ascolta voi ascolta me", è il nostro direttore spirituale, che per noi rappresenta Dio, che ce lo dirà momento per momento: quando, per un qualche motivo indipendente dalla nostra volontà, non possiamo avere la risposta del nostro direttore, benché facciamo tutti gli sforzi possibili al proposito, lo Spirito Santo, vedendo la nostra sottomissione e la nostra buona volontà, non ci lascerà offendere Dio e ci guiderà, sino a che non ci sarà possibile avere l'indicazione del nostro direttore con altri mezzi (sia attraverso l'accadere dei fatti, sia grazie al Vangelo, sia per mezzo della ragione rischiarata dalla fede, sia con i diversi mezzi che ha a sua disposizione)... Noi dunque, non inquietiamoci mai di fronte all'avvenire, confidiamo totalmente in Dio, idustriamoci unicamente di fare con la massima perfezione possibile ciò che Dio ci chiede di fare nel momento presente.

Oppure: Beato Charles de Foucauld        Cf. la rivista Jesus Caritas, n. 29, Colei che si chiama Maria, Gennaio 1996,19-20.
«Donna, ecco tuo figlio... ecco tua madre..." (Gv 19,25-27). "Ecco tuo figlio”. Queste parole sono rivolte alla santa Vergine: Nostro Signore le da tutti gli esseri umani per figli, comandan­dole di avere verso tutti un cuore di madre... Ella ha compiuto e continuerà, durante l'eternità, a compiere con una perfezione in­comparabile quest'ordine di Dio come tutti gli altri. Siamo dun­que assolutamente sicuri ch'ella ha per ogni essere umano un cuore materno, e rivolgiamoci a questa madre diletta e onnipo­tente in tutte le nostre necessità, con tanta fiducia quanto quella che un bambino ha per sua madre, per una madre che l'ama in­finitamente di più di quanto possa fare una madre terrena, e per una madre che può ottenergli da Dio assolutamente tutto ciò che è veramente utile all'anima ...
«Ecco tua madre». Queste parole sono rivolte a ogni anima. Tut­ti quanti dobbiamo trattare la santa Vergine come nostra madre, adempiere verso di lei i doveri che un buon figlio ha verso un'ot­tima madre: affetto, onore, servizio, fiducia, in una parola tutto ciò che Nostro Signore stesso tributava alla santissima Vergine. Amiamola, onoriamola, facciamole corona intratte-nendoci con lei nella preghiera; serviamola collaborando nel miglior modo che ci è possibile a tutte le opere ch'ella favorisce, a tutte quelle che vengono intraprese in suo onore; abbiamo verso di lei una fi­ducia assoluta e invochiamola, senza esitare, con questa fiducia, in tutte le nostre necessità, in tutti i nostri desideri, in tutte le no­stre azioni. In breve, facciamo per lei tutto ciò che faceva Nostro Signore quand'era in questo mondo, per quanto ci è possibile. Mostriamoci verso di lei come i più teneri dei figli, ricordandoci che questo è un punto essenziale dell'obbedienza a Gesù e dell'i­mitazione di gesti: dell'obbedienza, poiché egli ce lo comanda co­sì formalmente e cosi solennemente dall'alto stesso della croce; dell'imitazione, perché egli fu sempre, verso sua madre, il mo­dello di tutti i figli ... (È evidente d'altra parte che noi, che aspi­riamo a essere i fratelli di Gesù, non possiamo diventarlo se non a condizione di mostrarci e di essere veramente i figli di Maria: per essere fratelli di Gesù, è assolutamente necessario es­sere figli di Maria).

Responsorio I Ts 2,8; Gal 4,19
Per il grande affetto che vi porto, vi avrei dato non solo il vangelo di Dio,
ma la mia stessa vita: *siete diventati per me figli carissimi.
Per voi soffro le doglie del parto, finché non sia formato Cristo in voi.
Siete diventati per me figli carissimi.

ORAZIONE        Signore, Padre santo Che hai chiamato il beato Charles, sacerdote, a imitare tuo Figlio, Gesù di Nazareth, noi ti preghiamo, per la sua intercessione, accordaci, nutriti dall’ Eucaristia, di progredire giorno dopo giorno, verso una carità cristiana sempre più profonda e una fraternità più universale. Per il nostro Signore

K Six, Itinerario spirituale di Charles de Foucauld, pp. 319-325.
Come incenso, come lampada calma e luminosa... Quando guardiamo la vita di fratel Charles nel suo svolgersi, essa ci appare contraddistinta, proprio nel suo svolgimento, dal segno della croce. Dio voleva che egli rendesse presente Gesù Crocifisso. E la croce sia, visibilmente, al centro di ogni pagina della sua vita. C'è stato in quest'uomo un sempre crescente deside­rio di annientamento, e soltanto la sua fede immensa nel Cristo, che ha vinto la morte con la sua morte, da­va un senso a questa sua volontà di seppellimento. L'abbassamento di Gesù: ecco l'abiezione, l'incessan­te discendere che egli aveva sognato. Su questo non ha mai tergiversa-to. Quando si pensi al suo carattere, alla sua tendenza all'azione, si capirà meglio quale fede immensa sia stata necessaria a que­st'uomo per usare le armi dello Spirito, che lo faceva agire in modo completamente contrario alle sue incli­nazioni naturali. Lo scacco non fu soltanto sul piano delle realizzazio­ni: Dio glielo fa anche angosciosamente provare nel­l'intimo stesso del suo metodo che si fondava soprat­tutto sulla fede nell'azione del sacrificio della Messa. Dio giunge addirittura a farglielo sentire nella sua stes­sa vita spirituale. Si sente tutta l'angoscia che lo prende nel vedere in quale oscurità Dio voleva che egli vivesse la sua fede: «Aridità e tenebre; tutto mi è diffìcile: san­ta comunione, preghiere, orazione, tutto, tutto, persino il dire a Gesù che Lo amo... Bisogna che mi aggrap­pi alla vita di fede. Se almeno sentissi che Gesù mi ama! Ma Egli non me lo dice mai». Questo testo risale all'inizio della sua vita a Nazaret. Ma, a Beni Abbès, è la stessa aridità: «Sono cosi freddo da non osare di dire che amo, ma vorrei amare». E il 1° dicembre 1916: «E’ vero, non si amerà mai abbastanza; ma il Signore, che sa di quale fango ci ha impastati e che ci ama più di quanto una madre ami suo figlio, ci ha detto, Lui che non muore, che non avrebbe respinto chi fosse ve­nuto a Lui».
Nel giorno in cui scrive queste righe, il giorno stesso della sua morte, sentendo profondamente la sua povertà, anzi, si direbbe, a causa di essa - fratel Charles esprime tutta la sua speranza, perché sa che «l’annientamento è il mezzo più sicuro che noi abbiamo per unirci a Gesù e fare del bene alle anime», perché sa che perfino la sua povertà può essere offerta: «Si sa che si vorrebbe amare, e voler amare è amare».
Fratel Charles attendeva, dal profondo della sua speranza, questa ora, in cui avrebbe potuto raggiunge­re il Diletto. Cosi si sarebbe abbandonato fra le mani di Colui che è l'eterno vincitore, di Colui che non muore. Era tanto tempo che desiderava che il velo si lacerasse e il dolce incontro avvenisse; aveva scritto, nel 1903: «vedermi invecchiare e discendere la china è per me una gioia perfetta: è l'inizio di quella dissolu­zione che per noi è un bene. Ma vorrei che la volontà si unisse tanto più allo Sposo quanto più si avvicina l'ora in cui si sentirà dire: "Exite obviam Ei". Pur consta­tando d'essere spesso vinto nella lotta quotidiana, go­do senza fine al pensiero della vittoria eterna e della felicità inalterabile del Diletto».
Solo l'amore può essere la fonte di un simile desiderio di annientamento. E’ l'amore il punto di partenza di ogni azione di fratel Charles, è l'amore che costituisce la sostanza e il fine del suo itinerario: «L'amore è tutto; esso ci trascina a seguirvi, nella via della croce, e ci fa tanto più avanzare in essa quanto più è forte».
E qual è la manifestazione fondamentale dell'amore? «È il perdersi, l'inabissarsi in ciò che si ama e il consi­derare come una nullità tutto il resto». L'amore fa che ognuno si veda quale veramente è, per poi orientare il proprio sguardo verso Colui-che-è: «Persino la vista del mio nulla, invece di affliggermi, mi aiuta a di­menticare ed a pensare soltanto a Colui che è tutto». Fratel Charles ha, nella luce di tanto ardore d'amore, una conoscenza viva del proprio nulla. Si potrebbe pensare che, di riflesso, si ripieghi dolorosamente su questo suo vuoto interiore; invece si offre qual è, con un amore tanto più grande quanto più si sente povero: offre la sua vita insignificante e quotidiana, comune e opaca. Per lui, l'essenziale d'una vita religiosa, d'una vita di consacrazione totale a Dio sta nel «darsi in pura perdita di sé davanti a Dio», «come incenso, come lampada calma e luminosa, come un suono melodio­so», nell'offrirsi in sacrificio a Dio dimenticando com­pletamente se stesso.

charles de foucauld, Opere spirituali, Milano 1960,84-86
In tutte le pagine dei suoi libri, Dio ci raccomanda i suoi figli poveri, i suoi figli diseredati. Ascoltiamo la sua voce: siamo i pa­dri, i fratelli, i figli di questi infelici; siamo la loro consola zio-ne, il loro rifugio, il loro asilo, il loro focolare, la loro casa paterna. Sa­remo così i padri, i fratelli, i figli di Gesù; la sua consolazione, il suo rifugio, il suo aiuto, il suo focolare, la sua casa. Non inquie­tiamoci per coloro ai quali non manca nulla, ai quali pensano tutti. Occupiamoci di coloro ai quali manca tutto, ai quali non pensa nessuno. Siamo gli amici di quelli che non hanno amici. Meditiamo le piaghe di Lazzaro piuttosto che far doni al ricco, per quanto ciò sia buono. Siamo i padri, i fratelli, i figli degli ab­bandonati, dei diseredati, dei miseri; saremo i padri, i fratelli, i fi­gli di Gesù [...].
Quanto dobbiamo stimare ogni essere umano, quanto dob­biamo amare ogni essere umano! È il figlio di Dio. Dio vuole che i suoi figli si amino tra loro come un tenero padre vuole che i suoi bambini si amino tra loro. Amiamo ogni uomo perché è no­stro fratello e perché Dio vuole che lo consideriamo e l'amiamo tenerissimamente come tale, perché egli è figlio di Dio beneamato e adorato! Perché è costato il sangue di nostro Signore, coperto dal suo sangue come da un mantello, amato da Dio e da Gesù fino a consumare per lui il sacrificio del Calvario, ama­to da Dio fino a dare per lui suo Figlio, amato da Gesù in asso­ciazione, in imitazione, in unione, in conformità perfetta con Dio, e perciò fino ad immolare se stesso per lui. Amiamo quest'uomo che Dio ama in tutti gli istanti della sua vita, al quale egli dà con una pazienza e una bontà infinite, sino all'ultimo minuto della sua esistenza, i mezzi per vivere eternamente in cielo prenden­do parte in modo meraviglioso all'eredità divina. Stimiamo, amiamo dal profondo del cuore ogni uomo in vista di Dio, nostro Padre comune.

bambini


«Vedremo se chi ha votato la legge sull’incesto poi si riempirà ancora la bocca con gli slogan sulla difesa della famiglia»

Intervista ad Alfredo Mantovano (Pdl)

«Signor Presidente, onorevoli colleghi, un vecchio adagio popolare dice che la via dell’inferno è lastricata di buone intenzioni e io non nego la buona intenzione. Anzi la lodevole intenzione di eliminare una serie di presunte – spiegherò perché presunte – discriminazioni a carico dei figli di una unione incestuosa». Sono le parole di Alfredo Mantovano, deputato pidiellino, ex sottosegretario all’Interno, firmatario degli emendamenti bocciati e contrari al riconoscimento dei figli dell’incesto previsto dalla norma varata ieri dal Parlamento con 366 favorevoli, 31 contrari e 58 astenuti.
Lo scopo della legge era quello di riconoscere i diritti di tutti i figli naturali, nati anche al di fuori del matrimonio, ma il sapore della norma è più di una legittimazione dei diritti degli adulti, al di là di ogni responsabilità civile contratta attraverso il matrimonio. «Se davvero si volevano tutelare i figli, perché si è votato per dare ai responsabili di un incesto il diritto di riconoscere quel figlio, contro il suo vero interesse e contrastando con l’articolo 564 del Codice penale che prevede il carcere per chi pratica l’incesto? Il contrasto tra la nuova legislazione civile e il Codice penale porterà a una sua depenalizzazione. Vedere la gente esultare in aula per l’approvazione di questa legge è stato uno spettacolo grottesco».

Chi ha voluto questa norma ha parlato, come Rosy Bindi, di una civiltà liberata dal fardello del bigottismo che non tutela i figli nati fuori dal matrimonio, anche quelli dell’incesto che si dice non avessero diritti. È così?
In aula c’era chi citava santi e sacre scritture a favore di questa norma; io mi sono limitato laicamente a citare il diritto positivo e a svolgere considerazioni esclusivamente laiche. In primo luogo, oggi il divieto di riconoscimento – come tutti sanno, ma è il caso di ricordarlo – non è assoluto. Il riconoscimento è possibile in una serie di ipotesi: quando si ignorava al momento del concepimento l’esistenza di un vincolo parentale; quando, in epoca successiva al concepimento, è venuto meno per l’annullamento di un matrimonio il vincolo di affinità. Non solo, la giurisprudenza ha applicato la categoria della buona fede anche alla vittima di violenza, quindi la donna che subiva la violenza dell’incesto poteva già operare il riconoscimento. Il figlio, poi, come recita l’articolo 580 del Codice civile, non otteneva l’eredità ma solo da un punto di vista formale, perché – di fatto – aveva diritto ad un assegno vitalizio che corrispondeva all’eredità che gli sarebbe spettata. Il figlio naturale, senza essere costretto ad apparire figlio di un rapporto incestuoso, poteva quindi ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione e, se maggiorenne ed in stato di bisogno, ottenere anche gli alimenti, come prevede l’articolo 279 del Codice civile. È nell’interesse di un figlio, che si trovi in tale drammatica situazione, avere questo marchio, che non dipende dalla sua volontà, ma può dipendere anche dalla volontà di chi è stato autore di una violenza? Perché qui non è più il figlio che, maggiorenne – come dice l’attuale normativa -, decide sul riconoscimento o meno, ma è l’esatto contrario, è il padre o la madre, comunque chi ha commesso una violenza, che d’ora in poi potrà decidere autonomamente se riconoscerlo o meno. Si può arrivare a delle vere e propria assurdità: L’articolo 564 del Codice penale, che nessuno ancora ha abolito, punisce come un delitto con pena severa l’atto di incesto, che accadrà ora?

Perché sono stati respinti gli emendamenti alla legge, anche se contrari solo a questo passaggio?
Per un insieme di ragioni gravi. Da una parte la sinistra ormai non si presenta più come un alternativa sul piano economico e politico, ma ha spostato la sua attenzione, come tutti i partiti europei, verso temi antropologici di matrice libertaria e radicale. Questo purtroppo accade perché ormai le politiche economiche, strutturali e di sviluppo sono stabilite dall’Europa. C’è poi una ragione politica: si sta rinforzando il patto con Sel a cui si dà carta bianca su tutte le proposte più ideologiche. Non meno grave il fatto che, dall’altra parte, il Pdl sia assente. Siamo pochi ad avere le idee chiare sull’importanza di queste tematiche per la società futura. Perciò è mancata, anche in questo caso, la volontà di agire con decisione. Peggio: il partito non è stato capace di fare una battaglia e un terzo di noi ha votato a favore della norma. e così hanno agito anche ad alcuni parlamentari della Lega, ma anche dell’Udc. Vedremo se questi stessi saranno quelli che sentiremo riempirsi la bocca di slogan sulla famiglia durante la prossima campagna elettorale. Perciò dico che bisogna leggere bene le analisi del sangue di chi parlerà: si può già fare guardando chi ha votato la norma sull’incesto. Perché, come diceva Jean-Paul Sartre, «quanto alla famiglia, scomparirà soltanto quando avremo cominciato a sbarazzarci del tabù dell’incesto; la libertà deve essere pagata a questo prezzo».

Hanno votato la legge sull’incesto. Qualcuno si è spinto fino a teorizzare che sia lecito?
Chi teorizza che i figli si possono fare in qualsiasi caso e che i genitori non devono essere discriminati rispetto a quelli sposati sono molti, con Paola Concia in testa. Solo che la cosa è subdola perché la lesione dei diritti dei bambini non è esplicita, ma passa con il vessillo della difesa dei diritti degli adulti: bisogna avere diritti senza responsabilità delle proprie azioni. Questa è l’idea di libertà teorizzata dai più radicali. Poi, di fatto, pagano i bambini, ma intanto le norme passano anche con lo sponsor di certi cattolici che sempre più ingrossano le cifre dei voti radicali.

Sui temi antropologici le differenze fra i partiti vanno sempre più assottigliandosi. Cosa accadrà alle prossime elezioni?
Nella prossima legislazione la maggioranza sarà ancora più libertaria. Date le forze in campo, mi pare evidente che stiamo andando verso un’estremizzazione dei temi etici. Si proporrà il riconoscimento della famiglia omosessuale, la legalizzazione dell’eutanasia, la legge sull’omofobia. E tutto avverrà anche grazie al silenzio imbarazzato di molti, come ormai accade da tempo. Forse ci si accorgerà di quello che sta accadendo quando dovranno chiudere i seminari o le scuole paritarie, come sta succedendo Oltreoceano, ma sarà tardi.

Le spinte libertarie e l’assenza di un’alternativa e un’azione forte ci stanno portando a quello che Pier Paolo Pasolini dichiarò negli anni Settanta, quando profetizzo la svolta del Pci, favorevole ad aborto e divorzio, verso un grande partito radicale di massa?
Ci stiamo tutti omologando. Ma a quanti hanno citato il Vangelo e i santi a sproposito per giustificare la norma a favore dell’incesto vorrei ricordare le cronache di Sodoma e Gomorra e la fine dell’impero romano imploso nella sua immoralità. Mentre a chi tace dico che, come Sodoma e Gomorra, forse meritiamo la distruzione dei partiti e della politica già in atto.
[Fonte: Tempi.it, 28.11.12]

Leggi anche: In nome dell’uguaglianza, la legge sull’incesto è cieca e sorda alla realtà (Tempi, 27.11.12)

Maschio e femmina?

Una differenza da superare

(di Federico Catani) Risale a circa due anni fa l’istituzione, in Svezia, dell’asilo statale Egalia, dove i bambini vengono, se così si può dire, privati della propria sessualità. In nome delle pari opportunità, infatti, i fanciulli dell’istituto scandinavo ricevono un’educazione tale per cui l’essere maschio o femmina viene messo tra parentesi, in quanto sarebbe pregiudizievole per un corretto e libero sviluppo della personalità e per la tutela del diritto all’uguaglianza e alla non discriminazione tra i sessi.

Maschio e femmina- Una differenza da superareIl 15 novembre scorso, su “Repubblica” è stato ripreso un articolo di John Tagliabue, in cui il giornalista del “New York Times” esprime viva soddisfazione per questa inquietante iniziativa. «Nella piccola biblioteca della scuola – nota compiaciuto Tagliabue – sono presenti poche fiabe tradizionali, come Cenerentola o Biancaneve, con i loro rigidi stereotipi maschili e femminili, però ci sono molti racconti i cui protagonisti sono genitori single, figli adottivi o coppie dello stesso sesso». Inoltre, il pezzo prosegue spiegando che «le bambine non vengono spinte a giocare con cucine-giocattolo e i mattoncini del Lego non sono considerati giochi per maschi. Quando un alunno si fa male, gli insegnanti lo confortano come farebbero con le bambine. E tutti possono giocare con le bambole, alcune delle quali sono di colore».

In pratica si è davanti al trionfo del politicamente e sessualmente corretto e un quotidiano laicista, relativista e anticristiano come “Repubblica” non può che gongolare. Sono ben quaranta i piccoli iscritti ad Egalia e non è difficile provare una profonda pena per questi poveri bambini vittime dell’insensataggine dei propri genitori. Chi mai potrà quantificare i danni psicologici che subiranno?

Nell’articolo, Tagliabue nota con malcelato entusiasmo che «la Svezia è probabilmente altrettanto celebre per la sua mentalità egualitaria quanto lo è per i mobili Ikea». E noi aggiungiamo che le due realtà si fondono: non è un caso infatti, che gli spot pubblicitari di Ikea, di cui uno molto recente e trasmesso su tutte le televisioni, hanno più volte promosso l’omosessualità, facendola apparire come uno dei tanti comportamenti possibili. Non c’è da stupirsi quindi se per difendere l’uguaglianza e le pari opportunità uno Stato ritenuto avanzato e di esempio per tutti come la Svezia arrivi a consentire oscenità come l’asilo “desessualizzato”. In questa struttura, «evitiamo di usare parole come bambino o bambina. ‒ dice una maestra intervistata dal giornalista americano ‒ Preferiamo usare il nome, oppure diciamo andiamo, ragazzi!».

Insomma, con la scusa della non discriminazione, così solennemente sbandierata ai nostri giorni, si arriva a giustificare un’aberrazione vera e propria. Dalla Svezia, poi, l’invenzione si è diffusa in Danimarca, Islanda e Lituania. In quest’ultima nazione, un tempo cattolicissima, si è deciso di dare il via a un progetto, finanziato dall’Unione Europea, che prevede negli asili la lettura di testi che dovrebbero aiutare i bambini a comprendere il valore della cosiddetta “flessibilità sessuale”: si tratta per lo più di storie in cui si raccontano le avventure di maschi e femmine che si scambiano i ruoli. I toni enfatici usati da Tagliabue e fatti propri dal giornale di Ezio Mauro nel parlare dell’asilo svedese non possono essere tollerati.

L’ideologia del gender ormai prende sempre più piede e in Francia il presidente Hollande ha deciso di legalizzare i matrimoni omosessuali con possibilità di adozione. In Italia la questione delle unioni civili ritornerà nella imminente campagna elettorale. Certo, forse la vicenda di Egalia resta al momento un fatto isolato. Ma poiché nessuno sembra badare allo scandalo e anzi in uno dei più importanti quotidiani italiani se ne parla con soddisfazione, i motivi di preoccupazione sono tanti.

http://www.corrispondenzaromana.it/maschio-e-femmina-una-differenza-da-superare/

giovedì 29 novembre 2012

anno della fede

FUORI DELLA CHIESA NON C'E' SALVEZZA
Extra Ecclesiam nulla salus: un'incontestabile verità di fede, messa in discussione anche da cattolici succubi della mentalità relativista per cui tutte le religioni sarebbero buone ...
 
di Corrado Gnerre
 
 
Domanda: Sono una donna molto anziana (ho più di ottant'anni). Quando feci il catechismo ricordo che si diceva che al di fuori della Chiesa non vi è possibilità di salvezza. Ora sembra che nessuno più affermi una tal cosa. È cambiata la dottrina? Ma se è davvero cambiata, chi ci dice che ciò che si afferma oggi sia più vero rispetto a ciò che si affermava ai miei tempi? Aiutatemi a capire. (Maria Gabriella, Teramo)
Gentile Maria Gabriella, stia tranquilla. La dottrina cattolica non è affatto cambiata. Piuttosto si è da tempo diffusa, anche all'interno degli ambienti cattolici, una mentalità di tipo relativista (tutte le religioni sono buone).
L'Extra Ecclesiam nulla salus è un'incontestabile verità di fede, è lo è perché è stata continuamente ripetuta dai Padri e dal Magistero. Di esempi se ne potrebbero fare tanti. Le cito Pio XII che dice: «Ora tra le cose che la Chiesa ha sempre predicate e che non cesserà mai dall'insegnare, vi è pure questa infallibile dichiarazione che dice che non vi è salvezza fuori della Chiesa» (Lettera al Sant'Officio, dell'8/11/1949). Queste parole sono importanti perché un papa dice chiaramente che la verità dell'Extra Ecclesiam nulla salus non solo sarà sempre insegnata ma è anche una dichiarazione infallibile.
Il Beato Giovanni XXIII, il Papa del Concilio Vaticano II, dice: «(...) gli uomini possono sicuramente raggiungere la salvezza, solamente quando sono a lui [il Romano Pontefice] congiunti, poiché il Romano Pontefice è il Vicario di Cristo e rappresenta in terra la sua persona» (Omelia nel giorno della sua incoronazione, 4/11/1958). E lo stesso Concilio Vaticano II afferma: «Il santo Concilio (...) basandosi sulla sacra Scrittura e sulla Tradizione, insegna che questa Chiesa peregrinante è necessaria alla salvezza» (Lumen gentium, 14).
Poi, cara lettrice – diciamolo francamente – è un problema di logica. Se la Chiesa non fosse necessaria per la salvezza, quale sarebbe il motivo per cui Gesù ha comandato di andare fino agli estremi confini della Terra? (Mt. 16,15-16).
Rimane però una domanda: ma chi si trova senza colpa personale fuori della Chiesa, può, per questo, essere condannato? La Chiesa Cattolica da sempre (non è una novità degli ultimi tempi) ha affermato che chi si trova fuori della Chiesa senza colpa, non può, per questo, essere condannato.
S'ipotizzano due possibili "ignoranze": la cosiddetta "dotta ignoranza" e la cosiddetta "ignoranza invincibile". Per dotta ignoranza (significativa contraddizione: "dotta"/"ignoranza") s'intende quella situazione in cui non si è mai ricevuto l'annuncio cristiano, per cui si è in uno stato d'ignoranza incolpevole, ma nello stesso tempo si desidera intimamente (ecco perché si parla d'ignoranza "dotta") aderire alla Verità che purtroppo non si conosce.
Per ignoranza invincibile s'intende invece quella situazione in cui si è ricevuto l'annuncio cristiano, ma lo stato d'ignoranza è tale (invincibile appunto) che non si può superare. Il beato Papa Pio IX, un papa non certo del periodo post-conciliare, afferma nell'enciclica Singolari quidam del 17/3/1856: «(...) nella Chiesa Cattolica, per il fatto che essa conserva il vero culto, vi è il santuario inviolabile della fede stessa, e il tempio di Dio, fuori del quale, salvo la scusa di una invincibile ignoranza, non si può sperare né la vita né la salvezza».
Si presenta adesso una questione: se ci si può salvare perché senza colpa si è fuori della Chiesa Cattolica, allora viene meno il "Fuori della Chiesa non c'è salvezza"...
E invece non c'è contraddizione. Condizione necessaria per far parte della Chiesa è ricevere il battesimo. Ma non esiste solo il "battesimo-di-acqua" (quello che viene amministrato ordinariamente), esistono anche il "battesimo-di-sangue" e il "battesimo-di-desiderio". Il battesimo-di-sangue riguarda il martirio subìto senza che ancora si è ricevuto il Battesimo. Il battesimo-di-desiderio invece è quando un adulto in attesa di ricevere il battesimo dovesse morire improvvisamente.
Prendiamo in considerazione quest'ultimo tipo di battesimo. Colui o colei che si trova nella situazione della dotta ignoranza o dell'ignoranza invincibile ha un desiderio di aderire al vero Dio; è un desiderio implicito e non esplicito, ma è ugualmente un desiderio. Dunque, non è formalmente nella Chiesa, ma lo è sostanzialmente. E lo è sostanzialmente grazie a una sorta di battesimo-di-desiderio.
In questo modo viene tanto salvaguardato il principio giusto che possano salvarsi coloro che in buona fede non sono cattolici, quanto il principio dell'Extra Ecclesiam nulla salus. A proposito del desiderio implicito, Papa san Pio X, nel suo celebre Catechismo, dice: «Chi, trovandosi senza sua colpa, ossia in buona fede, fuori della Chiesa, avesse ricevuto il Battesimo, o ne avesse il desiderio almeno implicito; cercasse inoltre sinceramente la verità e compisse la volontà di Dio come meglio può; benché separato dal corpo della Chiesa, sarebbe unito all'anima di lei e quindi in via di salute».
Rimane ancora un'altra questione: qual è il criterio che il Signore utilizza per capire se un'anima desidera davvero aderire a Lui? Vi è da dire che qui c'è molta confusione. Spesso si dice: se qualcuno senza colpa non è cattolico, è bene che pratichi "bene" la propria religione. Ciò è invece sbagliato.
Se il desiderio implicito di aderire al vero Dio si deve esprimere con lo sforzo di praticare bene la propria (falsa) religione, allora ciò significherebbe che ogni religione è di per sé "via di salvezza"; e se così fosse, verrebbe meno l'esclusivismo salvifico della Redenzione di Cristo.
Piuttosto il criterio è un altro: lo sforzo riguarda non la pratica della propria religione, ma l'adesione alla legge naturale. Certamente possono salvarsi anche i musulmani, gli induisti, i buddisti... incolpevoli per il loro non essere cristiani, ma non grazie all'essere musulmani, induisti e buddisti, bensì malgrado siano musulmani, induisti, buddisti ... o quant'altro.
 
Fonte: Radici Cristiane, dicembre 2011

Tota Pulchra

Tota Pulchra
INIZIA LA NOVENA DELL' IMMACOLATA

Dio non esiste?

Dio non esiste!


Heinrich Biber's Requiem in A major, 1

BEATO VINCENZO ROMANO

29 NOVEMBRE
BEATO VINCENZO ROMANO
parroco


ANTIFONA D'INGRESSO Lo Spirito del Signore è sopra di me; per questo mi ha consacrato con l'unzione, mi ha mandato per annunziare ai poveri il lieto messaggio, e a risanare chi ha il cuore affranto. Lc 4,18
COLLETTA    O Dio, che per la salvezza delle anime, hai reso il beato Vincenzo Romano modello di zelo pastorale nella tua Chiesa, concedici di seguire il suo esempio per essere nel mondo, con carità operosa, a servizio del tuo regno. Per il nostro Signore..

PRIMA LETTURATi ho posto per sentinella alla casa d’Israele.Dal libro del profeta Ezechiele 3, 16-21
In quei giorni, mi fu rivolta questa parola del Signore: «Figlio dell’uomo, ti ho posto per sentinella alla casa d’Israele. Quando sentirai dalla mia bocca una parola, tu dovrai avvertirli da parte mia. Se io dico al malvagio: Tu morirai! E tu non lo avverti e non parli perché il malvagio desista dalla sua condotta perversa e viva, egli, il malvagio, morirà per la sua iniquità, ma della sua morte io domanderò conto a te. Ma se tu ammonisci il malvagio ed egli non si allontana dalla sua malvagità e dalla sua perversa condotta, egli morirà per il suo peccato, ma tu ti sarai salvato. Così, se il giusto si allontana dalla sua giustizia e commette l’iniquità, io porrò un inciampo davanti a lui ed egli morirà; poiché tu non l’avrai avvertito, morirà per il suo peccato e le opere giuste da lui compiute non saranno più ricordate; ma della morte di lui domanderò conto a te. Se tu invece avrai avvertito il giusto di non peccare ed egli non peccherà, egli vivrà, perché è stato avvertito e tu ti sarai salvato». Parola di Dio.

SALMO RESPONSORIALE Salmo 22
Rit.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla.

Su pascoli erbosi il Signore mi fa riposare,
ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino,
per amore del suo nome.
 Se dovessi camminare in una valle oscura,
non temerei alcun male, perché tu sei con me.
Il tuo bastone e il tuo vincastro
mi danno sicurezza.  


Davanti a me tu prepari una mensa
sotto gli occhi dei miei nemici;
cospargi di olio il mio capo.
Il mio calice trabocca. 
Felicità e grazia mi saranno compagne
tutti i giorni della mia vita,
e abiterò nella casa del Signore
per lunghissimi anni. 
 

CANTO AL VANGELO Gv 15,4.5 Alleluia, alleluia.
Rimanete in me e io in voi, dice il Signore:
chi rimane in me porta molto frutto. Alleluia, alleluia.

VANGELO Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto.                                                                          .
 Dal  vangelo secondo Giovanni                                                                             15, 1-8
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «Io sono la vera vite e il Padre mio è il vignaiolo. Ogni tralcio che in me non porta frutto, lo toglie e ogni tralcio che porta frutto, lo pota perché porti più frutto. Voi siete già mondi, per la parola che vi ho annunziato. Rimanete in me e io in voi. Come il tralcio non può far frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Io sono la vite, voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, fa molto frutto, perché senza di me non potete far nulla. Chi non rimane in me viene gettato via come il tralcio e si secca, e poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi, chiedete quel che volete e vi sarà dato. In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli». Parola del Signore.

ORAZIONE SULLE OFFERTE    Accogli, Signore, i nostri doni nel ricordo del beato Vincenzo Romano e fà che il sacrificio eucaristico che proclama la tua gloria ci ottenga la salvezza eterna. Per Cristo nostro Signore.
PREFAZIO
E’
veramente cosa buona e giusta, nostro dovere e fonte di salvezza, lodarti e ringraziarti sempre, Dio onnipotente ed eterno, per Cristo nostro Signore. Tu doni alla tua Chiesa la gioia di celebrare la festa di Vincenzo Romano, con i suoi esempi la rafforzi, con i suoi insegnamenti l’ammaestri, con la sua intercessione la proteggi. Per questo dono della tua benevolenza, uniti agli angeli e ai santi, con voce unanime cantiamo l’inno della tua lode: Santo, Santo, Santo, …
ANTIFONA ALLA COMUNIONE «Ecco, io sono con voi tutti i giorni sino alla fine del mondo», dice il Signore. Mt 28,20
ORAZIONE DOPO LA COMUNIONE    La comunione alla tua mensa, Signore, ci disponga alla gioia dell’eterno convito, che il beato Vincenzo Romano ha meritato come fedele dispensatore dei tuoi misteri. Per cristo nostro Signore.
Oppure:
O Dio, nostro Padre, che ci hai nutriti con il pane della vita, fa’ che seguendo l’esempio del beato Vincenzo Romano
ti onoriamo con fedele servizio, e ci prodighiamo con carità instancabile per il bene dei fratelli. Per Cristo nostro Signore..

29 NOVEMBRE
BEATO VINCENZO ROMANO

SECONDA LETTURA
Dai "Discorsi" di Paolo VI, papa
(Discorso tenuto il giorno della beatificazione, 17.XI.1963 AAS 1963, pp. 1039-1044)
Mi sono fatto tutto a tutti
Il beato Vincenzo Romano provò anche lui la paura di un ministero così impegnativo e responsabile come è quello del parroco; avrebbe voluto sottrarsi a tale onore, ed ebbe a dire di sé: "Avrei voluto piut­tosto la morte che aggravarmi di questo sì pericoloso peso della cura d'anime; questa carica non si può accettare né per onore, né per interesse, né per altro fine, ma soltanto per volontà di Dio. " Riscontriamo così in lui una somiglianza con il san­to Curato d'Ars, anch'egli oppresso interiormente dalla responsabilità dei doveri pastorali, fino a ten­tare di fuggire dalla sua parrocchia. Abbiamo nomi­nato S. Giovanni Maria Vianney, il Curato d'Ars: sa­rebbe interessante notare molti altri aspetti di so­miglianza tra quel santo parroco e questo, legati en­trambi da eguali doveri ed entrambi straordinaria­mente abili a esercitarvi, sia pure in forme e misure differenti, virtù analoghe e a ricavarne meriti somi­glianti. Troveremo così anche in Vincenzo Romano una grande profusione di parola di Dio; da quella sistematica, e non mai abbastanza raccomandabile, della catechesi, vera base della vita religiosa e pro­fonda esigenza del nostro tempo, a quella esortativa ed edificante.
Troveremo la premura antiveggente di far parteci­pare i fedeli alla celebrazione della s. Messa; un suo libretto dal titolo "La Messa pratica" ci dice come egli avesse l'intuito di quella necessità che l'assem­blea dei fedeli preghi bene, preghi insieme e preghi coordinando pensieri e voci a quelli del sacerdote celebrante, necessità la quale oggi è riconosciuta dalla dottrina della Chiesa e promossa dai movi­menti liturgici.
Troveremo una carità che si espande fuori del puro esercizio del culto e s'interessa e si affatica per tutti i bisogni umani privi d'altro soccorso: il parroco a nulla è estraneo, tutti conosce, tutti conforta, tutti ammonisce, tutti benefica.
Anzi la sua carità da individuale si fa sociale, da spi­rituale anche professionale ed economica (per ri­tornare subito morale e religiosa), se ciò è richiesto da quel bene delle anime, che per un parroco è "su­prema lex".
Così che egli merita che lo consideriamo, come si suol dire, "d'attualità", come esempio di virtù di cui il nostro tempo ha manifesto bisogno. E lo avranno caro come protettore e come modello i fedeli tutti, ma in modo particolare i sacerdoti, quelli diocesani specialmente, per i quali l'obbligo della perfezione cristiana non è sostenuta dalla professione religio­sa, ma è reclamato sia dalla loro dignità, sia dal loro ministero, e quando questo sia esercitato con pienezza di carità, mediante il ministero stesso quella perfezione diventa possibile e grande.

RESPONSORIO                                                         I Tim., 11. 12. 6
Tendi alla giustizia, alla pietà, alla fede, alla cari­tà, alla pazienza, alla dolcezza.
* Questo tu devi pro­clamare ed insegnare; e sii esempio ai fedeli.
Proponendo  queste cose ai fratelli sarai un buon ministro di Cristo Gesù.
Questo tu devi proclamare ed insegnare; e sii esempio ai fedeli.

ORAZIONE
O Dio, che per la salvezza delle anime hai reso il beato Vincenzo Romano modello di zelo pastorale nella tua Chiesa, concedici di seguire il suo esem­pio per essere nel mondo, con carità operosa, a ser­vizio del tuo regno. Per il nostro Signore.

mercoledì 28 novembre 2012

parrocchia s. maria del borgo

SAN NICANDRO GARGANICO

Parr. S. Maria del Borgo

Il colore liturgico per i funerali e la Commemorazione dei defunti è ancora il nero. Chi dice il contrario è "fuori strada"



Per il 2 Novembre e nelle Messe da Requiem un appello accorato in favore del colore liturgico nero.

Scriveva (il profetico) Pio XII di venerata memoria nella sua enciclica "Mediator Dei" sulla Sacra Liturgia (1947) a proposito delle innovazioni temerarie che sentiva turbinare intorno a sè già al suo tempo, con il pretesto del presunto "ritorno all'antico":

È certamente cosa saggia e lodevolissima risalire con la mente e con l'anima alle fonti della sacra Liturgia, perché il suo studio, riportandosi alle origini, aiuta non poco a comprendere il significato delle feste e a indagare con maggiore profondità e accuratezza il senso delle cerimonie; ma non è certamente cosa altrettanto saggia e lodevole ridurre tutto e in ogni modo all'antico. Così, per fare un esempio, è fuori strada chi vuole restituire all'altare l'antica forma di mensa; chi vuole eliminare dai paramenti liturgici il colore nero; chi vuole escludere dai templi le immagini e le statue sacre; chi vuole cancellare nella raffigurazione del Redentore crocifisso i dolori acerrimi da Lui sofferti; chi ripudia e riprova il canto polifonico anche quando è conforme alle norme emanate dalla Santa Sede.
 
     
Queste parole, pur valide e confermate tuttora per la messa di Paolo VI dall' Ordinamento Generale del Messale Romano al num. 346  sono rese  - come spesso succede nell'odierna e superopzionale liturgia latina - carta straccia da un semplice "oppure": l'insidiosa alternativa al ribasso. 
Infatti il numero 346 dell'Ordinamento in vigore afferma con forza: "Riguardo al colore delle sacre vesti, si mantenga l’uso tradizionale". L'uso tradizionale, in Italia, fino agli anni '70 era (e sarebbe ancora), per i funerali e la commemorazione dei defunti, il nero.
 
 
Quindi, secondo il capoverso e) Il colore nero si può usare, dove è prassi consueta, nelle Messe per i defunti. Peccato che in tutto l'orbe latino sarebbe prassi consueta questo colore, a parte il Giappone che godeva già di un'eccezione, perchè il colore del lutto è laggiù il bianco e non nero. Purtroppo, prima, il paragrafo d) aveva introdotto già fatto scattare l'opzione: d) Il colore viola si usa nel tempo di Avvento e di Quaresima. Si può usare negli Uffici e nelle Messe per i defunti
 
 
 
Si può fare così oppure colà. La regola sarebbe il nero, ma visto che lo vogliamo eliminare e non possiamo, si son detti gli estensori della riforma, facciamo una bella opzione, poi screditiamo quello che si è sempre fatto e ritenuto ovvio e così introduciamo dovunque la seconda scelta.
E con questo "oppure", anche a causa del neo-cristiano-falso-povero uso di risparmiare sulle casule e paramenti, il nero è andato scomparendo: tanto si può usare il viola. La stessa fine ha fatto il rosaceo, che per sole due domeniche all'anno, non ha proprio la minima possibilità di sopravvivere ai tagli del budget in sacrestia!
 

 
Così è velocemente sparito un colore, il nero, che faceva parte integrante del linguaggio religioso della morte e del lutto. E' rimasto tenacemente fino ad oggi come colore socialmente atteso per il funerale (e vestito dai convenuti), ma è sparito dai presbiteri e dai presbitéri. E questo con oltraggiose motivazioni ideologiche del tipo: "è lugubre, fa pensare alla morte, ma noi celebriamo la risurrezione, mica la morte!". Allora - se proprio fosse vera questa la motivazione - si abbia il coraggio di passare direttamente al bianco, come fanno negli Stati Uniti, dove tutti i cattolici ormai sono sepolti con il colore dei Santi e dei Beati confessori. Il viola invece dice penitenza: ma la penitenza è per i vivi, che penitenza deve fare ormai il povero defunto? Il viola dice attesa (Avvento): oramai, per il caro trapassato, è tardi per attendere, non aspetta più nulla, l'incontro è già avvenuto.
Il viola - infine - nell'unione di blu e rosso parla dell'unione fra divino e umano: ma nel defunto noi vediamo invece la separazione dell'anima dal corpo, lo spirito torna al creatore e il corpo alla terra.
Il viola, dunque, non ha nessuna delle proprietà simboliche necessarie per significare la morte, nè la speranza della risurrezione. Tuttavia, pur di eliminare il nero (come già presagiva Pio XII parlando di andare "fuori strada") è stato comunque  introdotto questo colore per le celebrazioni funebri.. 
 
 

Se invece si ha la fortuna di possedere nell'armadio della propria chiesa qualche pianeta funebre di un tempo, o si fa un giro sui cataloghi più recenti dei fornitori liturgici, si vedrà con sorpresa che i paramenti neri hanno una proprietà speciale. Sono sempre ricamati o intessuti di argento o d'oro.
Proprio per motivi simbolici. Stanno a dire, con il linguaggio del colore che si usa solo per le occasioni funebri:  tutto sembra nero, come la morte, la fine, la mancanza di vita, ma si intravvede - invece - sul nero la luce (oro e argento) che viene dalla speranza, anzi dalla certezza della fede nel Signore Risorto. E' lui la luce che illumina e anzi risalta meglio sullo sfondo oscuro della presente situazione di morte, lutto e distacco.
Antropologicamente rispettosi della serietà della morte e insieme teologicamente annuncianti l'irrompere della luce eterna che viene dal Risorto: questo sono i paramenti neri, mai aboliti da nessuno, ma semplicemente nascosti dall'ignoranza del clero e dal credere alle "leggende sacrestane" messe in giro dagli innovatori a tutti i costi.
 

 
QUINDI: consiglio per chi vuole fare un bel regalo alla sua Chiesa, magari in memoria di un familiare defunto, una casula nera.                            
Se poi potete spendere di più potete salvare qualcuna delle pianete antiche e ricamate che si trovano in giro, cacciate dalle sacrestie e vendute per due soldi trenta-quarant'anni fa, e adesso ricercate e rivendute (agli unici che possono usarle, i preti) a caro prezzo!

Testo preso da: Il colore liturgico per i funerali e la Commemorazione dei defunti è ancora il nero. Chi dice il contrario è "fuori strada" http://www.cantualeantonianum.com/2010/10/il-colore-liturgico-per-i-funerali-e-la.html#ixzz1cMz4LA7Z
http://www.cantualeantonianum.com