martedì 11 dicembre 2012

divina liturgia

Non sempre serve solo capire


C'era un raggio di sole che dritto come un dardo illuminava i libriccini poggiati sui banchi di legno, una freccia di luce che penetrava dal cortile antico, mentre risuonavano le campane del mezzogiorno ... 
di Lidia Lombardi

   Ravvivava il rosa, il verde, il giallo dei marmi. Aumentava il tripudio dei candelieri, dei putti dorati nel legno e di quelli affrescati nella volta, angioletti che volano in gloria excelsis Deo. 
   «Te igitur, clementissime Pater, per Iesum Christum Filium tuum Dominum nostrum, supplices rogamus...». Te dunque, Padre clementissimo, per Gesù Cristo tuo Figlio e nostro Signore supplichiamo ....

   Come in un miracolo, quel raggio di sole ha rubato cielo alle nuvole, ieri a mezzogiorno. E nel momento che non poteva che essere «quel» momento ha reso splendenti le parole stampate nei libriccini. Trecento libriccini di una Messa speciale, la più speciale che Roma abbia avuto da decenni.

   «Dominica I Adventus - Missa Solemnis» sul frontespizio. Già, la prima domenica di Avvento, l'avvio dell'attesa, del mondo assorto nella speranza di rigenerazione e di senso. Trecento libriccini. 
   «In nomine Patri et Filii et Spiritus Sancti», sussurrano i trecento riuniti sotto la volta con gli angioletti del Paradiso e nella sala attigua, dove troneggia il nobile camino. 
   Trecento persone che ieri hanno vissuto una piccola grande rinascita: nella chiesa della Madonna della Clemenza e di Sant'Aniceto, dentro Palazzo Altemps, il cardinale che nel '600 volle edificio e cappella, si è svolta per loro (l'ingresso era libero) la celebrazione liturgica in rito antico accompagnata dalle musiche che Giovanni Angelo Altemps compose e fece comporre.

   Se ne stavano col fiato sospeso, quelle persone. Il respiro non poteva interrompere la concentrazione, la riscoperta di senso, la memoria di come parliamo e di come preghiamo. 
   Il latino del messale era come la nenia della balia, che nutre e culla, non distrae con gli orpelli, punta dritto al vero e all'utile. 
   Utile e vero per l'anima di chi crede, utile e vero per la mente di chi si inchina alla conoscenza, alla Storia, alle radici. In una parola, alla nostra civiltà.

   Certo, il Vaticano II - pensavano, chissà, molte di quelle persone, e c'erano tanti giovani, con la camicia e il maglione, o con la felpa e i jeans - ha attuato la più grande rivoluzione nella Messa, parlata nella lingua viva di tutti, rivolta a tutti, come la faccia del sacerdote girata non più verso l'altare ma verso i credenti. 
   Certo, la Messa postconciliare è diventata democratica. E però la democrazia qualche volta sfiora la demagogia, e allora si svuota di significato. Dimentica da dove viene e dove vuole andare.   
   Sostituisce rituali al rito. Divaga e annacqua.

   E allora ritrovare per una volta gli accenti antichi, la lentezza del canto, l'austerità del gesto non è levare, ma dare. 
   Certo, ai fedeli si richiede impegno, gusto, pazienza nel decifrare il canto e le parole e nel rinunciare al troppo facile. 
   Un celebrante ieratico, come il diacono e il suddiacono; un manipolo di officianti all'unisono nei gesti e nella genuflessione, oppure ciascuno intento al turibolo dell'incenso, al cero ai piedi dell'altare, al pallio che purifica durante la lettura del Vangelo stratificano significati che avevamo dimenticato. 
   Per esempio, che nel momento in cui celebra, il Sacerdote è Cristo. 
   E infatti i Ministri entrano in chiesa col capo coperto, lo scoprono officiando, lo ricoprono subito dopo il «Ite, missa est». 
   Anche all'omelia, le parole ai fedeli extraliturgia, il celebrante indossa il copricapo.

   E l'omelia di ieri a Palazzo Altemps ha ricongiunto fede, arte, musica, rievocando il costume della nobiltà capitolina, degli ottimati di Santa Romana Chiesa: «In questi spazi la bellezza è al servizio di Dio, la Verità è nella raffinatezza della musica, nella magnificenza di pitture e architetture, è omaggio al mistero di Dio, presente nella Santa Messa. Qui c'è ciò che l'uomo riceve da Dio, fa per Dio e fa con Dio». 
   Poi il sacerdote è ritornato all'altare, ha sussurrato il latino del messale, ha consacrato il pane e il vino, ha impartito Comunione e Benedizione. Le musiche dei seicenteschi Bartei, Allegri, Giovannelli, suonate e cantate dall'ensemble Festina Lente, modulavano Kyrie, Gloria, Credo.

    All'uscita da Palazzo Altemps - sede del Museo Nazionale Romano che ha eccezionalmente aperto la chiesa di Sant'Aniceto - Roma era di nuovo grigia di nuvole. Ma la Messa in latino aveva rimestato nella memoria di chi l'aveva ascoltata.
   Non sempre serve solo capire. Non capivano il latino i due viandanti poveri e sporchi dipinti da Caravaggio per la pala d'altare nella vicina chiesa di Sant'Agostino. Però dialogavano con la Madonna dei Pellegrini. Misteriosa, eppure quanto vera.

Il Tempo.it, 03/12/2012

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