domenica 23 settembre 2012

san silvano del monte athos

24 SETTEMBRE
San Silvano del Monte Athos, monaco




Simeone Ivanovic Antonov nacque nel 1866 a Sciovsk, villaggio della provincia russa di Tambov, in una numerosa famiglia di contadini. Nell’autunno del 1892, dopo aver svolto il servizio militare, lasciò la Russia per il Monte Athos, dove divenne monaco presso il Monastero di san Panteleimon, giunto in quegli anni al suo apogeo con oltre 2000 monaci. Nel 1896 fece la professione monastica, ricevendo il nome di Silvano, e nel 1911 divenne schimonaco, titolo riservato agli asceti più esperti. Lavorò nel metochion (latifondo di proprietà di un monastero athonita, ma sito fuori della penisola athonita) di Kalamareia, poi al mulino del suo Monastero. Dopo molta insistenza ottenne il permesso dell’igumeno di ritirarsi al Rossikon, il primitivo monastero di san Panteleimon divenuto luogo di ritiro per asceti e staretz. Dopo un anno e mezzo venne richiamato al Monastero per assumervi l’incarico di economo alle costruzioni. Morì il 24 sett. 1938. Fu canonizzato il 26 nov. 1987 dal Patriarca Ecumenico Dimitrios I.

San Silvano l’aghiorita condusse una vita semplice e lineare come i contadini russi ed i monaci athoniti. Non fu un monaco dotto, ma divenne un santo monaco dell’Umiltà divina. Suo primo discepolo fu l’archimandrita Sofronio (Sergio Sakharov, Mosca, 22 settembre1896 – Tolleshunt, Essex, 11 luglio 1993) che poi divenne suo biografo. Sofronio conobbe padre Silvano nel 1931 e da allora suo unico scopo divenne impregnarsi dello spirito del suo staretz. Custode dei suoi scritti, ne curò la pubblicazione in russo, provvedendo poi alla loro traduzione nelle principali lingue moderne. Il padre di Silvano, Ivan Petrovic Antonov, fu il suo primo staretz per la grande umiltà, in vista della quale Silvano ricevette numerose grazie mistiche: udì la voce della Vergine Maria, ricevette il dono della preghiera continua e spontanea, vide nello Spirito Santo il Signore Risorto e udì il segreto della divina Umiltà dalla viva voce del Cristo disceso agli inferi. Ricolmato di così tanti doni, divenne splendido esempio della virtù evangelica dell’umiltà, riscoperta come qualità primordiale di Dio. Viveva ancora nel mondo, immerso nella lussuria e nell’ira violenta, quando udì la dolcissima voce della Madre di Dio che lo richiamò dal peccato. La vocazione provocò la decisiva conversione cristiana di Silvano che maturò nella ferma decisione ad abbracciare la vita monastica. Giunto al Monte Athos si gettò nella conversione e s’immerse nella preghiera e dopo sole tre settimane dal suo arrivo all’Athos, la preghiera penetrò a tal punto nel suo cuore che ne sgorgò spontanea e continua, come sorgente dissigillata. Questo dono prezioso non lo esentò dalle tentazioni della carne e dei demoni, al punto che Silvano giunse quasi a disperare della propria salvezza. In questa tragica situazione, durante un vespro primaverile del 1893, mentre recitando la formula della preghiera del cuore guardava l’icona del Salvatore nella chiesa di sant’Elia, vide al suo posto la persona del Signore risorto e fu ripieno di Spirito Santo. Il Risorto non proferì parole ma con il suo sguardo calmo ed umile penetrò il cuore del novizio, colmandolo della grazia vivente dello Spirito Santo, sperimentato da Silvano nel corpo e nell’anima. Tale dolcezza indescrivibile scemò pian piano, plasmando così la sua anima con la forma del desiderio abissale di Dio. L’elogio inopportuno ricevuto da uno staretz per le grandi mete spirituali raggiunte in così giovane età, contagiò Silvano con il virus della vanità. Per quindici anni Silvano lottò contro il pensiero sottile e proteiforme dell’orgoglio, malattia spirituale che lo angustiò fino alla fine dei suoi giorni. La superbia è la radice ultima del peccato, tale pensiero diabolico è il più difficile da estirpare perché assume le forme più diverse, accompagnato spesso da visioni o falsamente celestiali secondo la natura luciferina del Maligno, o direttamente di demoni che torturano l’anima.
Duramente impegnato nel combattimento spirituale, durante una notte di veglia del 1908, Silvano dialogò con il Cristo disceso agli inferi: gli chiese di liberarlo dai demoni che gli impedi-vano la preghiera ed il Cristo gli svelò che la presenza dei diavoli era dovuta al suo orgoglio. Istruito dalla diagnosi di Cristo sulla vera natura del suo stato patologico, Silvano gli chiese di insegnargli la via dell’umiltà e Cristo gliela rivelò, dicendogli: “Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare”. Applicando la terapia di Cristo contro l’orgoglio Silvano ne acquisì l’umiltà, e così scoprì che l’Umiltà di Cristo è l’unica condizione per custodire lo Spirito Santo nel cuore.
La via dell’umiltà di Cristo, su cui Silvano si incamminò negli ultimi trent’anni della sua vita terrena, non è nuova, essendo stata aperta dalla divina Condiscendenza con il parlare le lingue degli uomini, fino ad assumere poi la carne umana. Tale antica via dell’umiltà è però una via stretta, tant’è che pochi sono quelli che la percorrono fino alla fine seguendo il Cristo fin negli inferi.
Tra costoro vi sono l’anonimo ciabattino di Alessandria d’Egitto, sant’Antonio l’egiziano, abba Poemen, abba Sisoes e abba Macario, santa Teresa Eustochio Verzeri, santa Teresa del bambin Gesù, Adrienne von Speyr, la beata madre Teresa di Calcutta. Ma anche prima di Cristo vi furono testimoni della divina Umiltà, quali il patriarca Abramo, il profeta Mosé, il re Davide, i profeti Elia, Geremia e Daniele e Giobbe ed infine l’ultimo dei profeti san Giovanni il precursore.
Secondo san Silvano, la cosa più ardua, non è tenere il proprio spirito agli inferi, che equivale a considerarsi sinceramente degni della dannazione e immeritevoli del paradiso, bensì è sperare sempre senza venir meno, cosa che per Silvano coincide con la forza del cuore, il coraggio. Le conseguenze del pensiero rivelato da Cristo a Silvano sono tre: la conoscenza di Dio nello Spirito Santo, la memoria del proprio essere una creatura ed un peccatore, la necessità di amare i nemici. Questi tre effetti applicano l’unguento dell’umiltà di Dio alle tre relazioni costitutive della persona umana (la relazione a Dio, a sé, agli altri) che così può recuperare la somiglianza perduta con il Creatore.  
Autore: Paolo Gobbini      
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Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare
I foglietti e i quaderni, scritti da Silvano dell'Athos negli ultimi anni della sua vita, sono la testimonianza spirituale veritiera di un uomo che, ritornato uno con Dio, ritrova l'unità con tutte le cose, attraverso la forza del grande dono, lo Spirito santo, resta trasfigu­rato e capace di trasfigurare tutto il creato, perfino il male di cui esso è pervaso.
Silvano non vaga alla periferia della speranza cri­stiana: in fondo egli ridice con parole sue, nel suo hic et nunc, ciò che la Chiesa canta la notte pasqua­le: «Tutto è pieno di luce, i cieli, la terra e anche l'inferno. Tutta la creazione celebri la risurrezione di Cristo nella quale la sua vita trova fondamento, illuminati di gioia, abbracciamoci e chiamiamoci: "Fratelli"; a quanti ci odiano diciamo: "Perdonia­moci a causa della risurrezione di Cristo", e cantia­mo: "Cristo è risorto dai morti, con la sua morte ha vinto la morte, a tutti quelli che sono nelle tombe ha donato la vita!"».
Siamo convinti che agli uomini, piombati oggi in una notte che non è la «notte» di Giovanni della Croce, sia necessario ridire e narrare il messaggio dell'u­nione con Dio, dell'ineffabile attrazione di Cristo, dell'esperienza dello Spirito santo. Proprio di questo mes­saggio Silvano, in grande semplicità e trasparenza, si è fatto ministro e a noi, che attendiamo dei santi, egli si presenta con umiltà, senza pensare di diventare un maestro spirituale; se ha scritto, lo ha fatto «solo sulla bontà del Signore», annotando giorno dopo giorno, con estrema facilità e con cuore da fanciullo, ciò che ­la sua anima arrivava a conoscere del Signore attraverso Io Spirito santo: esperienza ricevuta in dono, non carpita.
A Silvano, che si è donato totalmente a Dio, Dio ha donato se stesso. Questo sanctum commercium, il nostro starec l'ha percepito con forza, forse senza viverlo visibilmente con la stessa intensità; ma chi può dire che l'intensità di ciò che si percepisce deb­ba corrispondere all'intensità di ciò che manifestatamente si vive? Silvano è vissuto come semplice mo­naco, come mugnaio, come un economo di un qualsiasi monastero, un semplice laico: eppure ha saputo vivere dell'Amore in ogni istante, celebrando l'estasi nella vita quotidiana, versando lacrime o cantando di gioia come un ferito dall'Amore Infinito. Se France­sco d'Assisi fu assimilato a Cristo sulla croce del Golgota mediante le stigmate, le mani, il costato, ed i piedi piagati, Silvano dell'Athos, parallelamen­te, fu reso simile al Signore scendendo agli inferi sen­za mai disperare.
È la voce stessa del Signore, percepita nella con­templazione e costantemente ubbidita, che chiede al­lo starec. «Tieni il tuo spirito agli inferi e non dispe­rare!». Come Mosè che accetta di restare fuori dalla Terra promessa purché vi entri Israele, come Cristo che va agli inferi affinchè gli uomini entrino nel Regno, come Paolo che vuole essere anatema, scomuni­cato perché i suoi fratelli di sangue, gli ebrei, si sal­vino, così anche Silvano si tiene agli inferi perché l’ inferno sia svuotato.
L'estasi quotidiana, gemito d'amore, cosciente par­tecipazione alle sofferenze di Cristo, festa del profon­do del cuore, è il frutto normale di una vita spesa alla ricerca di Dio. Oggi però questo desiderio di Dio sem­bra indebolirsi: al desiderio di Dio gli uomini sono ten­tati di sostituire il desiderio delle cose, diventando sen­za saperlo degli idolatri infelici che non trovano libertà ma schiavitù, non gioia ma angoscia. Silvano ci rivolge un appello, ci canta il desiderio di Dio senza misura, ci fa vedere nuovamente un cristianesimo religione di pace e di umili, religione di viventi per il solo Amore di Dio.

NOSTALGIA DI DIO
Una notte stavo seduto nella mia cella, ed ecco la colletta si riempi di demoni. Pregai incessante-mente e il Signore li cac­ciò, ma essi ritornarono. Allora mi alzai per prostrarmi davanti alle icone, ma i demoni mi circondarono e uno di loro si mise davanti a me in modo che non potevo prostrarmi davanti alle icone, perché apparentemente mi sarei prostrato davanti a lui. Allora mi sedetti di nuovo e dissi: « Signore, tu vedi che io voglio pregarti con spirito puro, ma i demoni me lo impedi­scono. Dimmi che cosa devo fare perché se ne vadano via da me! » E mi giunse la risposta del Signore: « Gli orgogliosi sono sempre perseguitati in questo modo dai demoni ».
Allora dissi: « Signore, Dio di misericordia, l'anima mia ti conosce, dimmi che cosa devo fare perché la mia anima sia umi­liata ».
E il Signore mi rispose: « Tieni il tuo spirito agli inferi e non disperare ».
Da allora io tengo il mio spirito agli inferi e brucio nel fuoco tenebroso e ardo di amore per il Signore e lo cerco con le lacrime e grido: « La fine è vicina, io morirò e abiterò nella buia prigione dell'inferno: là io, solo, brucerò e avrò nostalgià del Signore e piangerò: Dove sei, mio Signore, tu che l'ani­ma mia conosce? » E da questo pensiero trassi grande giova­mento. II mio spirito venne purificato e la mia anima trovò riposo. (...)
Il mio corpo è disteso sulla terra; ma il mio spirito si in­nalza verso il Signore per vederlo nella sua gloria. Benché io sia un grande peccatore, il Signore mi ha concesso di conoscerlo nello Spirito santo; la mia anima lo conosce e sa che la sua bontà non ha confini e sa quale gioia viene da lui.
Finché l'anima non ha conosciuto la gioia divina, teme la morte. Essa teme anche Dio, perché non sa quanto Egli sia umile, dolce e misericordioso, poiché nessuno può comprendere l'amore di Cristo senza aver prima gustato la grazia dello Spi­rito santo.
Fratelli amatissimi nel Signore, lo stesso Signore è testi­mone per la mia anima che io scrivo la verità. Sappiatelo, fra­telli, e che nessuno si illuda: chi non ama suo fratello tanto meno ama Dio. La Scrittura ci riporta fedelmente questa ve­rità e noi dobbiamo compierla: allora constaterai in te stesso la misericordia del Signore che nella sua dolcezza ha soggiogato l'anima.

SIGNORE, IO CERCO IL TUO VOLTO                           
La madre di Dio e Giuseppe cercarono con ansia Cristo quando egli restò a Gerusalemme, intrattenendosi al Tempio con gli anziani e Io trovarono solo dopo tre giorni. Come do­veva essere triste il cuore della madre di Dio in quei giorni! Essa pensava: « Dovei sei, figlio mio diletto? Dovei sei, mia preziosa luce? Dove sei, mio cuore adorato? » Allo stesso modo ogni anima deve cercare il Figlio di Dio e Figlio della Vergine finché non l'abbia trovato.
L'anima che ha conosciuto l'amore divino nello Spirito san­to prova al momento della morte un certo timore, poiché du­rante la sua vita ha commesso dei peccati e si sente in colpa. Ma quando vedrà il Signore, sarà beata nel contemplare il suo volto misericordioso e dolce e il Signore non si ricorderà dei suoi peccati a motivo della sua immensa dolcezza e del suo amore. L'anima, fin dal suo primo sguardo rivolto al Signore, sarà invasa dall'amore divino e verrà completamente trasfigu­rata da questo amore e dalla dolcezza dello Spirito santo.
I nostri padri sono passati dalla terra al cielo; ma che fanno lassù? Dimorano nell'amore divino e contemplano la bellezza del volto del Signore. La bellezza del Signore riempie ogni ani­ma di gioia e di amore. Questa bellezza è conosciuta anche sul­la terra, ma in misura minore, poiché un corpo corruttibile non può sopportare la pienezza dell'amore. Qui sulla terra il Si­gnore concede all'uomo, secondo la sua capacità, di sopportare il fuoco e la grazia tanto quanto la mano generosa del Signore vuole concedergli.
L'anima mia si è avvicinata alla morte e desidera ardente­mente vedere il Signore e dimorare con lui in eterno. Il Signore mi ha perdonato molti peccati e mi ha fatto conoscere per mezzo dello Spirito santo come Egli ami gli uomini.
Tutto il cielo si meraviglia dell'incarnazione del Signore: co­me Lui, il supremo Signore, è venuto a salvare noi peccatori e con le sue sofferenze ci ha acquistato il riposo eterno. La mia anima non vuole pensare a nient'altro ma è attratta là dove si trova il Signore. (...)
L'anima mia si ricorda di Te, Signore, tutto il giorno e tutta la notte e ti cerca incessantemente. Il tuo spirito mi induce a cercarti e al tuo ricordo il mio spirito gioisce. La mia anima ti ha amato ed è contenta che Tu sia il mio Signore e il mio Dio. Io languisco per te fino alle lacrime. Benché nel mondo si trovi la bellezza, nulla di ciò che si trova sulla terra mi da gioia: la mia anima non desidera che il Signore e come un bambino che ha perso sua madre si rivolge incessantemente verso il Signore e grida: « L'anima mia languisce per te e io ti cerco tra le la­crime ».
O Signore, effondi il tuo spirito sul mondo intero!
O Spirito santo, vieni a dimorare in noi affinchè tutti con una sola voce rendiamo gloria al nostro Creatore, Padre, Figlio e Spirito santo. Amen! Arch. Sofronio, Silvano del Monte Athos. Vita, dottrina, scritti, Torino 1978,

NON HO ANCORA RAGGIUNTO L'UMILTÀ
Giovedì 15 settembre 1938 (2 settembre secondo il calen­dario Giuliano), verso le cinque del mattino (secondo la maniera atonita di contare: verso l'undicesima ora), andai a veder lo staretz al magazzino e come al solito lo trovai sereno; parlava con voce normale, anche se era un po' sordo. Non notai alcun cambiamento esteriore; stava svolgendo il suo lavoro quotidiano.
Ritornai a trovarlo nella sua cella verso le dieci del mattino. Era seduto su una sedia vicino al tavolino, era cambiato e gli domandai:
- Staretz, che cosa avete?
- Non mi sento bene.
- Che cosa vi sentite?
- Non lo so.
Si alzò dalla sedia e si sedette con lentezza sul letto, appog­giandosi contro il muro e, semidisteso, si sosteneva col braccio destro. Raddrizzando lentamente il collo sollevò il capo: la sof­ferenza era dipinta sul suo volto. Gli domandai:
- Staretz, state per morire?
- Non ho ancora raggiunto l'umiltà - fu la risposta.
Lentamente appoggiò le gambe sul letto, si voltò sul fianco e si coricò completamente vestito. Dopo un breve silenzio gli dissi:
- Staretz, non sarebbe meglio andare in infermeria?
Lo staretz accettò di andarvi ma era già troppo debole per recarvisi da solo, e bisognava sostenerlo. Con tristezza lo con­dussi all'infermeria.
L'infermeria del monastero non dispone di alcuna attrezza­tura specializzata per diagnosticare le malattie, per cui nessuno sapeva con esattezza di che cosa soffrisse lo staretz; lo stato della sua salute però peggiorava di giorno in giorno.
Secondo l'uso del monastero, poiché era gravemente malato riceveva la Comunione ogni giorno. Il lunedì diciannove ricevette l'unzione dei malati.
Andavo a trovarlo spesso, ma non osavo mai disturbarlo ri­volgendogli la parola, per cui mi sedevo vicino all'uscio socchiuso e restavo fuori dalla stanzetta. Durante la vita dello staretz ho avuto molte occasioni di vedere come egli vivesse e di udire dalla sua bocca molte cose che rivelavano l'itinerario interiore del suo cammino spirituale; e mi fu anche data la possibilità di cono­scere, seppure fino ad un certo punto, come egli si avvicinasse al grande mistero della morte. Ma il momento stesso della morte mi fu nascosto.
Negli ultimi giorni della sua vita, dall'inizio della malattia fino alla morte, lo staretz restò in silenzio. Quand'era in vita infatti mi aveva raccontato che un monaco, preparandosi alla morte, aveva passato tutto il tempo in infermeria tenendo gli occhi chiusi per non turbare la memoria di Dio con qualche immagine esteriore. E quando l'amico e compagno d'ascesi di questo monaco andava a trovarlo, egli non scambiava che qual­che parola con lui ma senza aprire gli occhi, riconoscendolo solo dalla voce. Ricordandomi di questo fatto, non disturbavo il ri­poso dello staretz con domande, tranne in qualche raro momento eccezionale.
All'inizio della settimana lo stato dello staretz divenne cri­tico. Il venerdì 23 settembre, la sera prima del calar del sole, il suo confessore, padre Sergio, andò da lui per leggergli il "Can­tico della Santa Vergine", Canone di intercessione per la dipar­tita dell'anima e che si chiama anche "preghiera per gli agoniz­zanti". Avvicinandosi al letto del malato, il confessore disse: « Padre Silvano, benediteci ». Lo staretz aprì gli occhi e, in silenzio, ci guardò con dolcezza. Il suo volto era estremamente pallido, ma rappacificato. Il confessore allora, vedendo che lo staretz taceva, gli domandò:
- Ebbene, padre Silvano, ci riconoscete?
- Vi riconosco - rispose, con voce fioca ma chiara.
- E come vi sentite?
- Bene, mi sento bene.
Questa risposta era forse dettata dal desiderio dell'asceta di nascondere le sue sofferenze e non manifestarle lamentandosi della sua malattia, oppure lo staretz stava veramente bene spiri­tualmente per cui la sua malattia non si faceva già più sentire e non disturbava la pace della sua anima? Non lo so.
- Noi siamo venuti - disse il padre spirituale - per pregare con voi e recitare il Canone della Madre di Dio... Volete?
- Sì, Io voglio veramente.., grazie... lo desidero ardente­mente.
Padre Sergio iniziò a leggere il Canone. Lo staretz, pallidis­simo, era supino, tranquillo, immobile e aveva gli occhi chiusi;
il braccio destro era appoggiato sul petto, il sinistro era abban­donato lungo il corpo, io riuscii, senza muoverlo, a controllare con preoccupazione le pulsazioni del braccio destro: erano estre­mamente irregolari; talvolta appena percettibili, talvolta più for­ti, ma in entrambi i casi erano irregolari e cambiavano costan­temente.
Terminata la lettura della preghiera degli agonizzanti lo sta­retz aprì ancora gli occhi, ci ringraziò a bassa voce e ci separam­mo da lui dicendogli: « A domani mattina ».
Verso mezzanotte padre Nicola, l'infermiere, entrò nella stan­zetta e lo staretz gli chiese:
- Hanno recitato il Mattutino?
- Sì - rispose l'infermiere. Ed aggiunse se avesse bisogno di qualcosa.
- No, grazie, non ho bisogno di nulla.
La serenità manifestata dallo staretz nel porre questa do­manda e nel rispondere all'infermiere, e il fatto stesso che udisse la lettura del Mattutino, appena percepibile in quell'angolo riti­rato dimostrava come egli fosse ancora cosciente e in possesso delle sue facoltà. Al termine del Mattutino, cioè circa un'ora e mezza dopo questa breve conversazione, Padre Nicola ritornò dallo staretz e rimase stupefatto nel trovarlo già morto. Nessuno l'aveva udito spirare, anche coloro che dormivano vicinissimi a lui. Questa fu la sua dolce dipartita. Arch. Sofronio, Silvano del Monte Alhos. Vita, dottrina, scritti, Torino 1978, p. 229 ss

ORAZIONE Dio misericordioso, che attraverso l'effusione dello Spirito santo hai concesso a Silvano dell'Athos di scendere con il suo spirito all'inferno senza disperare, gli hai donato l'amore per i nemici: per la sua testimonianza, concedi anche a noi di cantare il tuo amore in questa vita e oltre la morte, nell’ eternità. Per il nostro Signore Gesù Cristo, tuo Figlio che è Dio e vive e regna con te nell'unità dello Spirito Santo, per tutti secoli dei secoli.

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