Sull'accanimento terapeutico
A due giorni dal funerale del cardinale Carlo Maria Martini, arcivescovo emerito di Milano, riprendo questo articolo dal blog Campari e De Maistre a proposito della questione dell'accanimento terapeutico. A corpo ancora caldo, non appena saputa la notizia del rifiuto dell'accanimento terapeutico, i soliti noti anticlericali non si sono risparmiati critiche feroci alla Chiesa cattolica ed alla sua dottrina, sparando senza controllo falsità che prontamente sono state accolte dall'eruditissimo (ossimoro) mondo di Facebook: ma qui, lo si sa, la realtà è ormai diventata una questione di maggioranza, e molti utenti sarebbero pronti a giurare di avere cinque teste e sei gambe, se l'affermazione avesse un sufficiente numero di likes e shares. Agli utenti ancora capaci di ragionare un minimo con la propria testa e disposti a sentire obiettivamente come stanno le cose propongo, dunque, la lettura di questo articolo, ricco di referenze e rimandi ai documenti ufficiali della Chiesa.
Il cardinal Martini: l'accanimento terapeutico e quello dei soliti sciacalli
Di Giacomo Diana
Di Giacomo Diana
E' ufficiale: l'anafabetismo religioso è alle stelle. Il Cardinale Martini è morto, rifiutando l'accanimento terapeutico. Apriti cielo: tutti i media hanno presentato il gesto del prelato come un atto di rivolta e dissenso al Magistero della Chiesa, ignorando - tuttavia - che la Chiesa da sempre ne consente il rifiuto; la stessa scelta fu presa anche dal morente Giovanni Paolo II.
Da Vendola a Fo, fino ai Radicali: il cardinale è divenuto l'eroe del dissenso tra i prelati.
Il leader di Sel Nichi Vendola ha affermato che Martini "sceglie il primato della dignità, un atto straordinario su cui tutti, a partire dai vertici della chiesa, devono riflettere". Parte del popolo della Rete, al solito sensibile alle suggestioni tanto al chilo, adotta seduta stante il porporato morente ed inizia a rumoreggiare di "ultima lezione teologica" e di "esempio alla Chiesa per la Chiesa": "Almeno Martini sapeva che il Medioevo è finito". Gran parte - invece - ne approfitta per dar sfogo al livore anticlericale: "Questi maledetti preti negano alle persone una morte dignitosa, ma per essi sclegono eccome. Ipocriti". Non son neppure mancati - e come avrebbe potuto essere diversamente? - quelli che hanno poi augurato al cardinale (e poi al resto del clero) di finire all'Inferno. Ammirevole.
Da lì in avanti, il coro è pressoché unanime. Estrema sinistra, Radicali, maestri del pensiero radical chic, persino qualche isolata voce di centrodestra, come quella del deputato del Pdl Alfonso Papa ("Il suo no al sondino fa riflettere"). Parenti Welby ed Englaro a tracciare paralleli tra le vicende dei propri cari e quella di Martini. Dario Fo butta lì che la scelta di rifiutare l’accanimento terapeutico "è stupenda e mostra che tipo di persona fosse". Tutti in fila per rendere il più ipocrita degli omaggi, per travestire da pietà la smania di andare a sventolare quel corpo in faccia alla Chiesa dicendo: visto che anche i vostri ci danno ragione?
Ma la situazione - invero - è alquanto triste, e attesta non solo una generale ignoranza crassa (della società e dei media), che non porta a fare alcun distinguo tra eutanasia e accanimento terapeutico, ma anche l'analfabetismo religioso di quanti attaccano la Chiesa senza neppure conoscerne la dottrina.
Che differenza c'è tra eutanasia e rifiuto dell'accanimento terapeutico?
L'eutanasia è il procurare intenzionalmente la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica. L'individuo, tuttavia, non è in fin di vita. Si tratta di una scelta di non accettazione della compromissione della propria condizione fisica, per cui si sceglie la morte come via di fuga. Questa è l'eutanasia, a cui la Chiesa è da sempre contraria.
Il rifiuto dell'accanimento terapeutico è - invece - il prendere semplicemente atto che non c’è più niente da fare, che non c’è alcun intervento che può cambiare una situazione ormai irreversibile, per cui vengono interrotte quelle pratiche mediche volte solo al prolungare al malato un'agonia dall'esito di morte ormai certo.
Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: “L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente” (CCC, 2278).
Ribadisce pure il documento della Pontificia accademia per la vita sul “Rispetto della dignità del morente” del 2000:
“Nell’immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile e imminente è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita poiché vi è grande differenza etica tra ‘procurare la morte e ‘permettere la morte’: il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa” (6).
Ed è la migliore descrizione della scelta del cardinale Martini.
Da Vendola a Fo, fino ai Radicali: il cardinale è divenuto l'eroe del dissenso tra i prelati.
Il leader di Sel Nichi Vendola ha affermato che Martini "sceglie il primato della dignità, un atto straordinario su cui tutti, a partire dai vertici della chiesa, devono riflettere". Parte del popolo della Rete, al solito sensibile alle suggestioni tanto al chilo, adotta seduta stante il porporato morente ed inizia a rumoreggiare di "ultima lezione teologica" e di "esempio alla Chiesa per la Chiesa": "Almeno Martini sapeva che il Medioevo è finito". Gran parte - invece - ne approfitta per dar sfogo al livore anticlericale: "Questi maledetti preti negano alle persone una morte dignitosa, ma per essi sclegono eccome. Ipocriti". Non son neppure mancati - e come avrebbe potuto essere diversamente? - quelli che hanno poi augurato al cardinale (e poi al resto del clero) di finire all'Inferno. Ammirevole.
Da lì in avanti, il coro è pressoché unanime. Estrema sinistra, Radicali, maestri del pensiero radical chic, persino qualche isolata voce di centrodestra, come quella del deputato del Pdl Alfonso Papa ("Il suo no al sondino fa riflettere"). Parenti Welby ed Englaro a tracciare paralleli tra le vicende dei propri cari e quella di Martini. Dario Fo butta lì che la scelta di rifiutare l’accanimento terapeutico "è stupenda e mostra che tipo di persona fosse". Tutti in fila per rendere il più ipocrita degli omaggi, per travestire da pietà la smania di andare a sventolare quel corpo in faccia alla Chiesa dicendo: visto che anche i vostri ci danno ragione?
Ma la situazione - invero - è alquanto triste, e attesta non solo una generale ignoranza crassa (della società e dei media), che non porta a fare alcun distinguo tra eutanasia e accanimento terapeutico, ma anche l'analfabetismo religioso di quanti attaccano la Chiesa senza neppure conoscerne la dottrina.
Che differenza c'è tra eutanasia e rifiuto dell'accanimento terapeutico?
L'eutanasia è il procurare intenzionalmente la morte di un individuo la cui qualità della vita sia permanentemente compromessa da una malattia, menomazione o condizione psichica. L'individuo, tuttavia, non è in fin di vita. Si tratta di una scelta di non accettazione della compromissione della propria condizione fisica, per cui si sceglie la morte come via di fuga. Questa è l'eutanasia, a cui la Chiesa è da sempre contraria.
Il rifiuto dell'accanimento terapeutico è - invece - il prendere semplicemente atto che non c’è più niente da fare, che non c’è alcun intervento che può cambiare una situazione ormai irreversibile, per cui vengono interrotte quelle pratiche mediche volte solo al prolungare al malato un'agonia dall'esito di morte ormai certo.
Il Catechismo della Chiesa cattolica afferma: “L'interruzione di procedure mediche onerose, pericolose, straordinarie o sproporzionate rispetto ai risultati attesi può essere legittima. In tal caso si ha la rinuncia all'accanimento terapeutico. Non si vuole così procurare la morte: si accetta di non poterla impedire. Le decisioni devono essere prese dal paziente, se ne ha la competenza e la capacità, o, altrimenti, da coloro che ne hanno legalmente il diritto, rispettando sempre la ragionevole volontà e gli interessi legittimi del paziente” (CCC, 2278).
Ribadisce pure il documento della Pontificia accademia per la vita sul “Rispetto della dignità del morente” del 2000:
“Nell’immediatezza di una morte che appare ormai inevitabile e imminente è lecito in coscienza prendere la decisione di rinunciare a trattamenti che procurerebbero soltanto un prolungamento precario e penoso della vita poiché vi è grande differenza etica tra ‘procurare la morte e ‘permettere la morte’: il primo atteggiamento rifiuta e nega la vita, il secondo accetta il naturale compimento di essa” (6).
Ed è la migliore descrizione della scelta del cardinale Martini.
Fonte: campariedemaistre.com.
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