domenica 2 settembre 2012

cresima


Di Gesù ci s’innamora




È chiarissimo a tutti voi, ma a me preme sottolineare come questo appello sia diverso dagli altri, dalle centinaia, migliaia di appelli a cui siamo stati sottoposti nella nostra vita, a partire dalla scuola materna dove si diceva il nostro nome e si segnavano i presenti e gli assenti. Questo vostro dire “presente” non è solo un’attestazione di presenza fisica – ci sono, sono arrivato, mi sono presentato, non ho preso sonno stamattina, giorno della mia Cresima – ma significa molto di più. Significa essere presenti ad un mistero, ma anche consegnarsi a quel mistero. Quindi non è una semplice contiguità – ci sono io e c’è quest’altra persona che è Gesù che manda il Suo Spirito – ma un lasciarsi prendere da quello Spirito e lasciarsi modellare da quella presenza.

Mi è venuto da chiedervi: che avete fatto stanotte?

Sulle prime è una domanda un po’ indiscreta … Che vuole sapere il Vescovo? Vorrei sapere – ma non ve lo chiedo, è una domanda che lascio a mezz’aria – che sentimenti vi hanno animati la notte scorsa. C’era una meravigliosa luna piena … È la luna della Pasqua, la luna che ha accompagnato Gesù nei momenti decisivi della sua passione e morte. È una domanda che non vuole entrare nella vostra vita privata, ma confortare il Vescovo – sarà un’illusione? – che stanotte abbiate fatto fatica ad addormentarvi, nella percezione che vi siate preparati a questa celebrazione come i cavalieri nel Medioevo – e, ancora oggi, in certi ordini cavallereschi che però rimangono solo di nome e di fasto – con una “veglia d’armi”. La notte che precedeva la propria investitura a cavaliere, veniva vissuta stando svegli e si chiamava “veglia d’armi” perché quell’evento, quel poggiare la spada sulla spalla, da parte del gran cavaliere, del gran cerimoniere (i titoli si sprecano nel mondo cavalleresco, ieri come oggi), costituiva uno spartiacque: prima e dopo. Sarà così anche per voi? è un’illusione che oggi i giovani possano dire: prima della Cresima e dopo la Cresima? prima di quel giorno e dopo quel giorno? Per questo vi ho chiesto cosa avete fatto ieri sera e quanto, quella sera, vi sia parsa una sera d’addio a un modo di vivere, e questa mattina, con le sue luci, un buongiorno ad una nuova stagione di vita, quella di cristiani adulti, di cavalieri che sono capaci di andare ovunque, di raggiungere qualsiasi meta, purché il Re glielo indichi.

E chi è questo Re?
È uno che può dire, come avete appena ascoltato dal Vangelo, in una maniera molto dura, chiedendo un prezzo altissimo: Chi vuol venire dietro di me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Noi non portiamo una spada: noi portiamo una spada al contrario, una spada che è una croce; è spada per noi più che per gli altri, perché ci ferisce, è una parola che ci scava continuamente, che ci dice che dobbiamo cambiare, convertirci. Per gli altri è una croce da annunciare, da guardare nei momenti di difficoltà per essere salvi. Chi può chiedere tanto? La risposta è: un maestro. Parola che immagino nella vostra vita non abbia grande fascino.
Avete avuto dei maestri? Ne avete in questo momento? C’è un maestro dentro di voi che è una persona incontrata nell’infanzia, nell’adolescenza, nella prima giovinezza, che ci ha affascinati al punto – il vocabolario è psicologico – da introiettarlo, cioè da proiettarlo dentro di noi, cosicché, anche se questo maestro fosse morto, rimane dentro di noi.
Gli insegnamenti ricevuti vanno ben oltre il fatto che ci vediamo, che ci incontriamo, che possiamo parlare. Un maestro, come un diamante, è per sempre. E perché vi parlo del maestro? Perché, dovreste sapere – anche qui spero di sfondare una porta aperta – che il Santo Protettore della vostra parrocchia ha avuto un grande maestro che si chiamava Agostino. Non era un Agostino qualsiasi, era Sant’Agostino, forse il più grande, almeno nei termini della produzione (per quello che ci è giunto, perché tante cose di Agostino sono andate perdute), il più grande dottore, il più grande maestro della fede, ovviamente dopo Gesù e gli apostoli. La grandezza di Eraclio è stata quella di aver incontrato Agostino.
Eraclio si è sentito attratto dal modo con cui Agostino parlava – di più – dal modo con cui Agostino viveva, e lo scelse, senza saperlo, a suo maestro.
Quand’è che una persona diventa maestro? Lo dirò in una maniera un po’ provocatoria ed equivoca per certi aspetti (ma a volte le cose grandi sono equivoche): è la persona di cui ci innamoriamo.
Non ci si innamora solo dell’uomo, della donna della nostra vita, del ragazzo, della ragazza, del marito, della moglie (speriamo che si possa ancora parlare di innamoramento dentro le mura del Matrimonio), ma ci si innamora anche di un maestro. Una persona non è maestro perché insegna italiano, inglese, latino o tiene delle lezioni all’Università: quello è un insegnante, e una cosa è l’insegnante, una cosa è il maestro. Tutti sono insegnanti, a scuola e all’università, ma tra questi insegnanti forse ci siamo imbattuti in un maestro.
Il maestro parla al cuore, il maestro non dà l’assegno, non è pedante, non ci fa sbadigliare, piuttosto ci fa battere il cuore. Del maestro conserviamo delle reliquie, del maestro baceremmo, come voi giovani per gli idoli del calcio o della musica leggera, le orme che ha lasciato. Perché vi sto dicendo questo? Perché Eraclio è diventato grande all’ombra di un grande maestro. Agostino ha avuto tanti ad ascoltarlo, folle, ma Eraclio era particolarmente presente. Erano presenti tanti alle catechesi di Agostino sui salmi, su san Giovanni (solo a leggere tutto quello che ci è arrivato da Sant’Agostino ci vuole una vita), ma Eraclio era iperpresente, non si lasciava sfuggire neanche una parola, come si dice di un profeta nell’Antico Testamento, non lasciò andare a vuoto neppure una parola. Guardava il maestro negli occhi, forse dopo un po’ di tempo che l’aveva ascoltato riusciva anche ad anticiparne le mosse: Adesso dirà questo… Adesso farà questo esempio… Adesso citerà questo poeta… Adesso utilizzerà questo espediente oratorio…

Come si chiama uno così? Innamorato.
Spero che, almeno una volta, voi vi siate innamorati di un maestro nella vostra vita, altrimenti non tirerete fuori nulla di buono dalle vostre tasche, dalle vostre menti, dai vostri giorni. Gesù, per voi che adesso vi cresimate, diventa questo maestro da ascoltare, non solo perché è un insegnante, ma perché è il Maestro. E il Maestro lo si segue anche se ci porta all’inferno. Anche quando il Maestro ci chiede un prezzo alto, riteniamo che siano spiccioli; è esigente ma non ci pesa, parla a lungo ma non ci scoccia, non ci fa sbadigliare.
Un maestro diventa una forma dentro la quale entriamo per essere formati. Cos’è la formazione scolastica, umana, affettiva, se non entrare in una forma? Questa forma è una persona. Voi donne, quando fate i pasticcini – spero siate brave pasticciere, a volte lo sono anche i maschi – fate la pasta frolla e poi date la forma: una conchiglia, un cuore, una stella… Tiro fuori la forma che voglio dare a questo dolce e la forma è il maestro. Quelli che vengono formati dal maestro sono simili. Probabilmente chi, a distanza di 20’anni dalla morte di Agostino sentiva parlare Eraclio, diventato suo successore, indicato da Agostino come successore (è uno dei pochi casi nella storia, come leggerete nel libro del dottor Cifonelli, appena pubblicato, di un Vescovo che, prima di morire, ha detto: Il mio successore sarà…), gli sembrava di sentir parlare ancora Sant’Agostino, perché la forma era quella. Con un termine inglese, che riguarda la psicologia, si dice imprinting: l’esperienza fondamentale, le coordinate intorno cui si svolgerà una vita dipende dall’imprinting. Oggi ricevete un imprinting; è il secondo, il primo l’avete ricevuto nel Battesimo, incoscienti, ma adesso ricevete un imprinting coscienti, perché nessuno di voi è stato costretto a cresimarsi. Adesso il resto della vostra vita dovrà andare sotto la forma che lo Spirito vi darà attraverso le povere mani del vostro Vescovo.
Se qualcuno vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua. Chi vorrà salvare la propria vita la perderà; chi vorrà perdere la propria vita per me la salverà.
Tutto questo è assurdo se non è inserito in questo rapporto di amore tra un discepolo e un maestro, perché del Maestro – ricordatelo – ci s’innamora.

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