venerdì 27 dicembre 2013

DELENDA CARTAGO

“Sono venuto per sfasciare tutto…”


di Antonio Villa
P. Fidenzio Volpi si lamenta per “la calunnia” che gli attribuisce “la distruzione del carisma” dei Francescani dell’Immacolata. Eppure, al di là delle intenzioni che si presuppongono buone, la distruzione del carisma è in atto, proprio attraverso il governo autocratico di p. Volpi. D’altra parte, lui stesso aveva ammesso: “sono venuto per sfasciare tutto e per ricostruire”. Certo, vogliamo pensare che intendesse sfasciare la struttura portante dell’istituto (governo, formazione, gestione economica, programmazione delle missioni, ecc.), non il carisma il quale, al contrario, avrebbe dovuto esser liberato dalla suddetta struttura che, a suo parere, non era più portante, ma soffocante. ..
Ebbene, proprio quest’ultimo giudizio, che ha portato alla decisione di commissariare l’istituto, non corrisponde alla realtà e lo dimostra, tra l’altro, il numero sempre crescente di giovani vocazioni italiane e europee che riempivano le case di formazione FI, oggetto d’invidia e incredulità da parte di molti teorici del rinnovamento della vita religiosa, frustrati dalla desertificazione dei loro noviziati. A tal proposito, dovremmo tutti ben ponderare e praticare le parole di Papa Francesco:
«All’interno del Popolo di Dio e nelle diverse comunità, quante guerre! Nel quartiere, nel posto di lavoro, quante guerre per invidie e gelosie, anche tra cristiani! … Attenzione alla tentazione dell’invidia! Siamo sulla stessa barca e andiamo verso lo stesso porto! Chiediamo la grazia di rallegrarci dei frutti degli altri, che sono di tutti» (Evangelii gaudium, nn. 98. 99).
Ci si è basati sulla testimonianza scritta di una minoranza di religiosi, influenzati da una campagna ossessiva di calunnie e maldicenze («Quelli che in una comunità fanno chiacchiere sui fratelli, sui membri della comunità, vogliono uccidere» secondo Papa Francesco, omelia del 2 settembre 2013), e non si è dato all’ex consiglio generale l’opportunità di difendersi dalle accuse. La difesa non c’è stata, perché sarebbe emerso chiaramente che l’oggetto del contendere non erano, come si è fatto credere pretestuosamente, presunti abusi o irregolarità, o peggio, scandali che non esistono, ma la stessa visione della vita religiosa: più tradizionale quella dei Fondatori, più progressista quella dei contestatori. E’ l’eterno conflitto che accompagna la bi millenaria storia della Chiesa e che al suo interno ha visto dei Santi schierati ora da una parte, ora dall’altra: si pensi a Sant’Ippolito di Roma, contrapposto a san Callisto Papa; si pensi alle controversie occorse tra san Cipriano e papa santo Stefano I; tra il b. Antonio Rosmini e il b. papa Pio IX; tra il b. Giovanni XXIII e s. Pio da Pietrelcina… Si pensi alla storia travagliata delle riforme religiose…
Solo la Santità di Cristo e di Maria riescono a superare queste opposizioni e, collocandosi su un livello superiore, mantengono integra l’unità della Chiesa. Ma nemmeno la santità di Cristo, di Maria e della Chiesa riescono a mantenere l’unità delle famiglie religiose, le quali, al contrario della Chiesa, si rinnovano attraverso “riforme” che producono inevitabilmente divisioni rigeneratrici. Historia docet. Cosa sarebbe la spiritualità benedettina senza le riforme cistercensi, trappiste…? Cosa sarebbe la spiritualità carmelitana senza la riforma di santa Teresa di san Giovanni della Croce; cosa sarebbe la spiritualità francescana senza le riforme dell’Osservanza e dei Cappuccini, ai quali appartiene pure p. Fidenzio Volpi?
Non ci scandalizziamo, dunque, se ancor oggi succedono queste cose. Da un certo punto di vista, è segno di vitalità, è segno che nei Francescani dell’Immacolata c’è gente che crede fermamente in un ideale, ed è disposta a sacrificarsi per esso. Tutti si riconoscono nell’ideale fondazionale di p. Stefano M. Manelli, e anche molti di quelli che ora lo combattono in certo senso lo venerano, perché riconoscono che devono a lui tutto, o quasi tutto, quello che di buono hanno appreso circa la via francescano-mariana alla santità. Solo che questi ultimi, a differenza della maggioranza che è rimasta unita ai Fondatori, ritengono che, soprattutto dal 2008 in poi, p. Stefano M. Manelli abbia adulterato sostanzialmente il carisma, sbilanciandosi eccessivamente verso il tradizionalismo. Il casus belli è stata la lettera circolare del 21 novembre 2011 in cui il Consiglio generale esortava, senza imporre, ad adottare, con prudenza e discrezione, il Vetus Ordo quale preghiera liturgica preferenziale comunitaria.
Per p. Stefano Manelli questa promozione del Vetus ordo, senza imposizione, significava corrispondere ai desiderata del Santo Padre Benedetto XVI, chiaramente espressi nella sua abbondante letteratura liturgica e perlomeno impliciti nel suo recente magistero; per i contestatori, al contrario, era tradire il carisma originario FI e la natura stessa di quei documenti (Motu proprio Summorum Pontificum; Istruzione Universae Ecclesiae) che, a detta loro, erano riservati ai lefebvriani e a una piccola frangia di gruppi tradizionalisti cattolici fanatici.
Questo è il nodo gordiano della vexata quaestio, ma proprio questo nodo non è ancora stato sciolto.
I due gruppi di frati hanno dialogato (gennaio 2012) per tentare una conciliazione interna ma, visto che l’interpretazione degli stessi testi era irriducibilmente diversa, i contestatori sono ricorsi alla Congregazione dei Religiosi. Questa, guidata dal card. focolarino Joao Braz de Aviz, al posto di mediare in vista di una soluzione concordata, ha mandato prima un visitatore e poi un commissario come p. Volpi, prendendo così la parte dei contestatori contro il Consiglio Generale; si lasciava, però, ancora sistematicamente a latere il problema n. 1, che è quello sopra citato dell’eterna tensione tra tradizione e progresso e della conseguente diversa interpretazione della nuova legislazione liturgica sul Vetus ordo la quale, dopo 40 anni di accelerazione verso il novus, ha mosso qualche passo in direzione della tradizione.
Si preferisce occultare questa questione, e rimanere sui pretesti – benché infondati – perché, se la si affrontasse con tutto il rigore ermeneutico che essa merita, si vedrebbe chiaramente che p. Stefano Manelli ha agito in piena conformità al diritto che gli veniva dalla recente legislazione in materia (Summorum Pontificum; Universae Ecclesiae). Questa – checché si dica – non è solo per i lefebvriani e per i cattolici nostalgici; al contrario, il suo fine è quello di “offrire a tutti i fedeli la Liturgia Romana nell’Usus Antiquior, considerata tesoro prezioso da conservare” (UE, § 8).
In questo senso favorevole a p. Manelli e all’ex Consiglio Generale, si è espressa la Pontificia Commissione Ecclesia Dei su perizia presentata ad hoc da un autorevole perito dei testi legislativi pontifici. La lettera del Consiglio Generale del 21 novembre 2011 non era altro che questo: voler offrire a tutti i frati FI l’uso più antico della liturgia romana, considerata tesoro prezioso da conservare, secondo lo spirito e la lettera di SP e UE. La questione della prudenza, dell’opportunità, delle modalità, viene dopo, e sarà la storia a giudicarla. In ogni caso, anche se sotto questi aspetti si poteva fare meglio, i provvedimenti presi contro il governo di p. Stefano M. Manelli sembrano del tutto sproporzionati, se non si suppone da parte sua un vero e proprio abuso di autorità. Che però, non c’è stato. Così, al posto di aiutare l’istituto a risolvere il problema del Vetus ordo quoad modum, si è intervenuti con p. Volpi, il quale sta distruggendo quoad substantiam, e il Vetus ordo, e l’Istituto stesso.
Quanto poi alla presunta deformazione del carisma originario: come la riforma liturgica di Paolo VI non ha intaccato il carisma originario di nessun ordine religioso, che per secoli ha celebrato secondo il Vetus ordo, così la piccola “riforma della riforma” di Benedetto XVI non può intaccare il carisma dei Francescani dell’Immacolata che da meno di 40 anni celebrano secondo il Novus Ordo. Dice bene p. Lanzetta: la liturgia precede il carisma religioso e la cattolicità del carisma religioso è misurata dalla sua compatibilità con ogni autentica riforma della liturgia, da cui fiorisce, si sviluppa e trae nutrimento. Oggi, come dimostrano poca cattolicità i tradizionalisti che dicono: la morte, ma non la messa di Paolo VI; così sono poco cattolici i progressisti che dicono: la morte, ma non la messa del beato Giovanni XXIII.
L’ideologia tradizionalista è dannosa quanto l’ideologia progressista. Padre Stefano, da uomo saggio e illuminato, per la grazia di stato che gli è stata data in quanto Fondatore e Ministro Generale dei Francescani dell’Immacolata, ha imboccato esattamente la via media, in perfetto equilibrio tra i due opposti estremismi. E’ stato uno dei pochi, e per questa sua santa audacia è stato premiato dall’aumento esponenziale delle vocazioni. Ma non è stato premiato da p. Fidenzio, che “è venuto per sfasciare tutto”, dando credito “a priori” (perché il problema di fondo non è stato risolto) ai contestatori del Padre Fondatore, giustificando la sua azione devastatrice con dei semplici pretesti privi di fondamento in re.
Non si è tenuto conto che sin dalle origini i Fondatori di Casa Mariana si sono ispirati più da vicino alla Tradizione integrale (liturgica-dogmatica-morale-ascetica, che non è integralismo), e non si è tenuto conto che la legislazione liturgica di Benedetto XVI ha permesso ai Fondatori di sviluppare ed esplicitare le “rationes seminales liturgicae” contenute nel carisma fondazionale, ma “ibernate” durante i decenni del divieto del Vetus ordo. Non si è voluto riconoscere l’analogia esistente tra questo processo di crescita del carisma religioso FI e la Tradizione vivente della Chiesa, di cui oggi tanto si parla, e che comporta una crescita progressiva e “organica” nella comprensione della Verità (senza sostanziale mutazione).
Con il commissariamento, si è condannata, almeno implicitamente, non tanto la persona di p. Stefano M. Manelli, quanto la linea eccessivamente tradizionalista che egli, si dice, ha voluto imporre all’istituto. Ora, però, si vuole fare esattamente il contrario, alla giacobina maniera. Da qui la missione affidata a p. Fidenzio Volpi: “sfasciare tutto per poi ricostruire”, senza considerare che, quando si sfascia il corpo di una persona, fisica o morale che sia, quella persona semplicemente muore, e il suo spirito se ne va in altro luogo. Nessuna palingenesi mai ci sarà, se non alla fine del mondo. E così sarà dei Francescani dell’Immacolata, se continua la gestione sconsiderata di p. Volpi. L’istituto sfasciato e portato alla tomba sarà quello di p. Stefano M. Manelli, di p. Gabriele M. Pellettieri e della grande maggioranza dei frati che sono con loro; l’istituto “ricostruito” (se ancora ce ne sarà uno) sarà quello di p. Volpi e dei pochi che hanno applaudito al suo arrivo, ma non saranno più i Francescani dell’Immacolata delle origini, perché sradicati dal rapporto vitale con i loro Fondatori.
Lo sbaglio di p. Volpi è proprio questo, illudersi che dopo lo “sfascio totale” ci possa essere una miracolosa risurrezione dello spirito originario dei Fondatori, contro quello che i Fondatori viventi ritengono sia il vero bene dell’istituto, senza che ci sia stata una condanna da parte della Chiesa nei confronti di “questo vero bene” (ossia il “passo” verso la Tradizione con la promozione preferenziale del Vetus ordo).
Non era dello sfascio totale che i Francescani dell’Immacolata avevano bisogno. Se qualche sbilanciamento verso la Tradizione ci fosse stato, c’era tutto lo spazio possibile per un dialogo, per una mediazione, per una chiarificazione e per un eventuale aggiustamento. Come i frati avevano cominciato a fare nel gennaio 2012. Avevano bisogno di aiuto. Ma al posto di aiutarli a dialogare, per chiarire il problema che soggiace a questa triste contesa, si è intervenuti pragmaticamente a modo di “golpe”. Si trattava di agire con esprit de finesse e si voluto colpire con uno tsunami, c’era bisogno dell’antiinfiammatorio ed è stato amputato l’arto, c’era bisogno di un cesellatore ed è venuto un picconatore.
Dopo 5 mesi dal commissariamento, ancora non si conoscono le vere ragioni dello stesso commissariamento. Oramai il commissariamento si spiega con se stesso, per la legge dell’assuefazione al dato di fatto. All’inizio si diceva che ci sono delle enormità dal punto di vista morale, economico, formativo… Ma alla domanda: quali sono in concreto queste enormità? La risposta era: Adesso non lo possiamo dire, ma verranno fuori, verranno fuori. A distanza di 5 mesi non è venuto fuori nulla, se non l’ideologia distruttiva di p. Volpi nei confronti del Vetus ordo e del modo più tradizionale di concepire la vita religiosa: il Vetus ordo deve sparire e con esso i Francescani dell’Immacolata che si permettono di promuoverlo.
Da 4 mesi il Commissario proibisce a molti frati FI, senza motivazione e contro la volontà del Papa, di celebrare ilVetus ordo. In seguito: limita drasticamente la libertà personale del Padre Fondatore; disperde i suoi più stretti collaboratori; decreta la sospensione di tutte riunioni del Terz’ordine e delle associazioni; chiude il seminario; vieta la collaborazione con la casa editrice; sospende le ordinazioni… Siamo allo “sfascio”totale: p. Volpi sta realizzando la prima parte del suo piano. Ora vediamo se ci sarà il tempo e la forza per il passo successivo, la ricostruzione di un istituto che non sarà più quello dei Francescani dell’Immacolata, o si passerà direttamente all’eutanasia, perché si prenderà atto che l’istituto, ormai, è “irrecuperabile”.
Questa è il “sentire cum Ecclesia” di p. Volpi e di qualcuno che lo sostiene nei Sacri Palazzi, ma non è “il sentire” del Papa, il quale non è contro il Vetus ordo, come invece è p. Volpi e quelli che lo sostengono. È vero che il Papa ha approvato il commissariamento, e stanno circolando immagini che vorrebbero ostentare la sua perfetta sintonia con il Commissario. Ma è altrettanto vero che il Papa non conosce la realtà dei fatti, né prima, né durante il commissariamento, e siamo certi che se li conoscesse, e certamente verrà il giorno che li conoscerà, allora porrà fine a questo ingiusto stato di cose, che non finisce di scandalizzare i buoni fedeli del mondo intero.
La querelle scoppiata in seno ai Francescani dell’Immacolata, non dimentichiamolo, riflette la situazione della Chiesa. 4 anni fa Papa Benedetto XVI, scrivendo ai Vescovi di tutto il mondo, citava le forti parole di san Paolo:
“Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni gli altri!” (Gal 5, 15)…
E commentava:
«purtroppo questo “mordere e divorare” esiste anche oggi nella Chiesa come espressione di una libertà mal interpretata» (Benedetto XVI, Lettera ai Vescovi circa la remissione della scomunica ai 4 vescovi consacrati da mons. Lefebvre, 10 marzo 2009). 
A distanza di 5 mesi dal commissariamento dei Francescani dell’Immacolata, chiediamo che si finisca di “morderli e divorarli” e, se al loro interno, ci sono due modi d’intendere lo stesso carisma, si conceda ai due gruppi di continuare il loro cammino separatamente, con pace delle loro coscienza, e per il bene della Santa Chiesa.

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