Preti a Roma, preti a Parigi. La Croce n°5
Per gentile concessione del direttore del quotidiano LA CROCE (clicca su), Mario Adinolfi, pubblicherò qui, a distanza di circa una settimana dalla pubblicazione sul quotidiano cartaceo, i miei articoli lì apparsi, e quasi sempre collocati a pagina 4 tra il Vangelo del giorno e un discorso “integrale” del papa Francesco. Ho in partenza e deliberatamente rinunciato a qualsiasi mio scritto di vaticanismo, concentrandomi invece sulle piccole cose della vita nelle quali il “grande”, ossia ciò che conta, si disvela. E’ dell’Essenziale soffuso nei piccoli gesti della vita quotidiana che scriverò. Una sorta di appuntamento fisso sul quotidiano di ispirazione cristiana e cattolica, nel quale incido dei piccoli “cammeo”, che quando li ho proposti ad Adinolfi, così li ho spiegati:
«Il mio desiderio sarebbe periodicamente scrivere di questi piccoli “cammèo” su Roma, in genere dalla prospettiva del quartiere Africano: quadretti patetici e drammatici, comici sovente, dove si cerca il sacro nel profano, Dio nell’alienazione dell’essere sconosciuti dentro la metropoli».
Ogni “cammèo” verrà qui riportato con una foto nella versione cartacea su La Croce di una settimana-dieci giorni prima e in formato word per facilitarne la lettura.
Qui il mio primo intervento, risalente a sabato 17 gennaio 2015
CAMMEO 1 - Preti a Roma, preti a Parigi*
La Croce quotidiano, 17 gennaio 2015
di Antonio Margheriti Mastino
Vado a cena con un giovane amico prete, nei dintorni della Tiburtina. Mi aspetta in auto davanti al Verano. Sarebbe vestito laicamente, non fosse per la linguetta al collo che indica il suo stato. Quando stiamo per giungere al locale fa un gesto che mi raggela il cuore: si sfila via la linguetta dal collo. «Ti dà fastidio?», no dico, mica sono indemoniato. «Non per te, è che quando vado in locali dove non sono abituati a vedere preti, preferisco toglierla». Ossia mimetizzarsi. Ho capito. Non servono domande. Mi avvolge una grande amarezza, una sensazione di sconfitta: capisco a che punto è la notte, ma non per via del prete: del contesto. Ma quel che più mi bruciava è che tutto questo avveniva nella città del papa, nel cuore stesso della cristianità. Figurarsi altrove!
Certo, sì, ho pensato a quelle parole di Gesù “chi si vergogna di me, io mi vergognerò di lui”. Ma non ho detto niente: mi mancavano le parole, il coraggio anche. Ho inghiottito muto il boccone gelido. Tanto più che sapevo essere un buon prete: non si vergognava del suo Signore, era imbarazzo, e paura: di essere ferito dalla pazzia d’Occidente. Chiunque, in qualsiasi locale, oggi, anche qui a Roma, vedendo un prete potrebbe sentirsi titolato a dire “ehi tu, pedofilo!”. Sono cose che possono ucciderti dentro.
Che è successo? Tante cose: la campagna mediatica, nevrastenica, che ci martella da anni, ha ridotto agli occhi del mondo il prete a un paria: una volta, tanto tempo fa, era considerato la punta di diamante del mondo, lo chiamavano, in Francia, “Primo Stato”, dopo venivano gli aristocratici.
Non riusciamo più a vedere un prete per quel che è e dire “quello è un ministro del culto”, è uno con le mani consacrate, assume le funzioni di Cristo all’altare. No. Pensiamo: chissà quali sono le sue colpe, potrebbe essere un farabutto, uno dalla doppia morale. Associamo per riflesso condizionato la parola prete a “pedofilo”.
Allora, poveracci, come possono si mimetizzano per le strade di questa Città Eterna. “Lo dice la televisione”, pensa l’uomo della strada, così come un tempo diceva “l’ha detto il parroco”: è prete ergo è molestatore. Del resto, cosa fa il pensiero unico dominante dal suo medium di massa se non aggiungere alla parola “prete cattolico” ogni volta che la pronuncia la parola “scandalo”, “abuso”, “pedofilia”? L’associazione – come ben sanno gli esperti di messaggi subliminali – a furia di ripeterla da ogni megafono, presto diventerà automatica nella testa della massa anonima, l’allusione si fa verità.
Hanno paura, poveracci: paura persino della loro innocenza – perché quando sei innocente fa più male – paura dei risvolti della loro scelta scandalosa: accettare il sacerdozio di Cristo di questi tempi, che pressappoco è com’era accettarlo ai tempi di Nerone e Domiziano. Paura del sospetto, che per molti è l’anticamera della verità. I sospetti hanno sempre ucciso gli uomini. Il sospetto e non le prove, uccise Gesù.
Questo a Roma, l’altra Città Santa. Epperò è lo stesso prete che camminando per le strade di un’altra capitale europea che non è mai stata cattolica, orgogliosa della sua totale secolarizzazione e del suo apparente “multiculturalismo”, camminandoci vestito da prete cattolico, viene fermato per le strade del centro da un ragazzo, che se ne fa gran meraviglia di questo incontro. «Lei è un prete?», e a momenti forse si è sentito vacillare, qualcun altro che sta per additarlo per colpe che non ha. «Sì». «Che meraviglia! Non ci posso credere!». Non ci può credere? Se avesse incontrato un dodo redivivo si sarebbe sorpreso meno: un prete è diventato un’attrazione. «Padre, per piacere, mi benedica!», lì e subito. Il prete resta interdetto, commosso anche.
Quella linguetta al collo ne aveva fatto l’insperato testimone della speranza cristiana. In una città che da tanto s’era scordata di Dio, che anzi l’aveva abolito. Ma Dio non è morto nel cuore dell’uomo. A Roma non sono una rarità i preti: non ci rendiamo conto di quale sovrabbondanza di grazia siamo bersaglio. Le cose le capisci e le apprezzi quando le perdi.
Forse c’è davvero da sperare che alla fine l’eterogenesi dei fini darà compimento alla grande profezia del Curato d’Ars : «Verrà un tempo in cui gli uomini saranno così stanchi degli uomini che basterà far loro il nome di Dio e di Cristo per vederli piangere».
***
Incontro a una cena a via Germanico, nelle vicinanze di San Pietro, in casa di una mecenate, e protettrice di preti smarriti, un Legionario di Cristo messicano, padre Miguel. Ha sofferto come tutti là dentro la vicenda scabrosa del fondatore della sua congregazione, Maciel Degollado. È vestito con l’abito di rigore dei suoi confratelli: una talare e una fascia nera ai fianchi. E così bardato, racconta, si avventurò nella metropolitana di Parigi, la capitale della nazione che un tempo si diceva “cristianissima”, la “Figlia primigenia della Chiesa”, ma così non è più: è capitale del laicismo più violento, come violenta è l’avversione al cattolicesimo, e, per giunta e quasi per castigo divino, al contempo sta diventando anche la capitale europea dell’esatto opposto del laicismo: l’islamismo, che giusto qualche giorno fa gli ha servito il primo conto, salatissimo, sanguinoso.
Mentre addirittura in talare percorre la metropolitana nessuno gli dà del pedofilo, dell’omofobo, del piromane che mette al rogo il libero pensiero insieme a quell’altro spostato di Giordano Bruno. Entra nel vagone, e un ragazzo lo guarda lo guarda. Un ragazzo parigino, occidentale, presumibilmente cattolico seppur nominalmente.
«Mi perdoni, monsieur, posso farle una domanda? Perché è vestito così?» Perché sono prete cattolico. «E cosa significa essere prete cattolico?» Incredibile! Credere nella resurrezione di Gesù, che vincendo la morte ci ha donato la vita eterna: ma lei conosce Gesù? «Per sentito dire, monsieur.» Lei è battezzato? «Battezzato? Non so, non ricordo: dovrei chiedere ai miei genitori». E questo nella Gallia, la terra che per prima si fece cristiana. Ma non crede in niente?, domanda calmo il legionario. «Io sono un razionalista, che c’è oltre la ragione? Però, vorrei sapere di questo Gesù: vorrei capire cosa spinge un uomo come lei a vestirsi così, qui non ne ho mai visti». Il legionario gli dà un appuntamento, per spiegare meglio. Da quel giorno, vagliando puntiglioso e contestando “secondo ragione” ogni affermazione del prete nel racconto della storia della salvezza, è iniziata la sua conoscenza di Gesù, il suo catechismo, un’amicizia eminentemente cristiana. La nuova evangelizzazione ha avuto inizio da un atto di estremo anticonformismo: indossare, il solo, la talare nella capitale del laicismo e dell’islamismo europeo. Seguendo il consiglio di Pietro: «Andate, spiegate chi siete, rispondete a chi vi domanda ragione della speranza che è in voi. Ma fatelo con dolcezza».
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