È Gesù che “tradisce” Giuda. Una controstoria per intuizioni dell’Iscariota
Una controstoria di Giuda, il padre di tutte le teologie della liberazione. Una rivisitazione dei moventi che portarono allo scandalo di quella notte di tenerezza, equivoci, illusioni e disillusioni, di tradimenti infine, passione e morte. Di verità. Per scoprire che Gesù, agli occhi di Giuda, è il “traditore”: lui, Giuda, ha solo cercato di dimostrare che egli era davvero il Messia. Quanta tenerezza c’era in quel bacio di Giuda… .
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di don Marco Scandelli
Si può parlare di Giuda a Natale?
L’Anno liturgico ha i suoi ritmi e i suoi spazi. Non c’è né tempo né spazio per parlare di Giuda a Natale: Giuda Iscariota, colui che prima fu scelto da Gesù nel numero dei Dodici e poi si impiccò ad un albero. Colui che secondo Dante non avrà mai parte alla Gloria di Dio, ma eternamente sarà masticato da Lucifero in quanto “traditore” (Inferno, XXXIV 61-63).
Qualche settimana fa stavo discutendo con il Mastino sul mistero del peccato e la sequela cristiana, quando improvvisamente l’ho fermato. Non so spiegarmi come, ma ho avuto l’intuizione di aver compreso il perché, perché Giuda si è spinto fino a macchiarsi del delitto più grave che possa esserci: “tradire sangue innocente”. Perché mentre parlavamo ho capito che forse l’avrebbe potuto fare chiunque fosse stato al suo posto, magari anche io.
Purtroppo siamo abituati a pensare a Giuda come a un’immagine demoniaca, dimenticandoci che innanzitutto egli è un uomo. Non è un ladro, nemmeno un assassino: è nostro fratello, uno di noi.
E come noi amava Gesù, credeva in lui, forse anche più dei suoi compagni, forse anche più di Pietro. Anche se in modo sbagliato. Certo! Per questo l’ha consegnato ai suoi carnefici. Come fanno gli amici che si sentono traditi. Per questo infine si è ucciso.
L’Apostolo seguace di Satana?
La mente umana ragiona più facilmente in modo binario: “vero-falso”, “giusto-sbagliato”, “Dio-Satana”, come se le due alternative avessero lo stesso spessore ontologico. In questo senso Giuda è sicuramente un “cattivo”, è all’Inferno, tra quelli che “è bene non seguirne l’esempio”, magari che è necessario conoscere, ma sui quali non servono tante indagini. “è un cattivo”. Punto. Se non è bianco è nero.
In sintesi, da una parte c’è Dio e dall’altra Satana: il mondo è diviso tra chi è con Dio e chi è con Satana. Giuda sta con Satana. Ciascuno sceglie la sua parte.
E dunque, come mai Gesù ha chiamato Giuda nel Collegio degli Apostoli? La risposta non è semplice e le interpretazioni eterodosse sono testimoniate già nel II secolo d.C. Da essa nascono infatti altre questioni cristologiche e filosofiche di non minore importanza circa la prescienza del Figlio o la libertà umana: se Gesù era veramente il Cristo, come ha fatto a non capire che Giuda l’avrebbe tradito? O forse Gesù si è servito di lui perché il suo destino potesse compiersi? E dunque in cosa consisterebbe la colpa di Giuda? Non sarebbe meglio dire che erano in qualche modo “complici”?
Giuda, detto Iscariota: cioè?
Le notizie su Giuda si trovano fondamentalmente nei Vangeli: figlio di un certo Simone, era soprannominato “Iscariota”. Attorno a questo nomignolo le interpretazioni si sono moltiplicate.
L’etimologia esatta è difficile da individuare. Non si sa se questo gli venne attribuito dalla primitiva comunità cristiana per sintetizzarne l’immoralità (gli aramaici sakar e shiqrai significano rispettivamente “consegnare” e “ladro”) o se fosse conosciuto già così durante la sua vita (Ish-Qriyoth significa “uomo di Qerioth”).
Una delle interpretazioni però da sempre più in voga vuole che “Iscariota” derivi dall’ebraico ekariot con il quale si indicavano i sicari all’interno della setta degli Zeloti. Di ciò sono inoltre testimoni anche alcuni manoscritti antichi del Nuovo Testamento che accanto al nome di Giuda hanno l’aggiunta di “zelota”. E in effetti che un combattente messianico sinceramente convinto della sua causa si mettesse alla sequela del più convincente Messia di tutti i tempi non dovrebbe stupire!
Ma se si tiene conto di questa sua particolare devozione alla causa israelitica, si comprendono in sinossi i diversi passi della Scrittura che parlano di lui: la chiave di lettura più adeguata per comprendere umanamente e psicologicamente le scelte di Giuda, senza farlo apparire un illogico e un deficiente, è il suo attaccamento ad una idea materiale, politica, anche militare della “salvezza d’Israele”.
Gesù il liberatore politico. Come Giuda
Per Giuda Gesù era il liberatore, il discendente di Davide chiamato a combattere contro il nuovo Golia, l’Impero Romano.
Quando venne scelto a far parte di un gruppo ristretto di uomini, una dozzina, si sentì preferito e privilegiato. Forse pensava che quel gruppo fosse una sorta di cabina di regia per l’arruolamento di soldati: essi dovevano diventare i capi di futuri Contubernia e di Centurie di matrice giudaica. Certamente non fu l’unico degli Apostoli che la pensasse in questo modo.
Poi nacque il gruppo dei settanta, l’attenzione intorno a Gesù cresceva e le persone si moltiplicavano. Ma una cosa diventava sempre più chiara in Giuda: Gesù non contava solo su un esercito di uomini, dal momento che lui aveva già un esercito numeroso e forte di Angeli, Troni, Dominazioni, miriadi di leve arruolate direttamente in cielo. Ne aveva parlato lui. Ne parlavano le Scritture. Gesù era il Messia, perciò doveva per forza essere il liberatore che dalla Galilea stava marciando su Gerusalemme per guidare la rivolta in nome del Dio Sabaoth, il Dio degli eserciti.
Certo, vi erano volte in cui Gesù parlava in modo strano: di amore, di perdono, di misericordia, di non violenza … ma poi parlava di “padri contro figli” (Lc 12,53), diceva che era venuto a “portare la spada” (Mt 10,34), a “portare fuochi” con il desiderio che già fossero accesi (Lc 12,49-51).
Possiamo quasi vederli: Gesù che parla con i discepoli e Giuda che passa tra la folla per galvanizzare le frange più politicizzate, per passare in rassegna quell’esercito in potenza. Come quel giorno in cui sentì più volte da lontano la parola “beati”, ma alle sue orecchie arrivò solo “i perseguitati per la giustizia perché di essi è il Regno dei Cieli” (Mt 5,10). Che grande condottiero, Gesù!
O ancora, quelle volte in cui Gesù parlava di pace: Giuda si fermava, ascoltava per un po’ e con la scusa che a volte il Maestro parlava in modo strano, tornava a raccontare ai suoi più fidati che Gesù aveva rivelato che per la Pasqua si sarebbero recati a Gerusalemme dove finalmente avrebbe liberato il popolo, che addirittura era pronto a morire (Mc 8,31): la guerra stava per iniziare!
Giovanni dice che Giuda ruba. Ma Giuda non è avido
Giuda teneva la cassa. Giovanni dice che era “ladro” perché “prendeva quello che vi mettevano dentro” (Gv 12,4-6): ma per Giuda quel denaro serviva solo alla causa, la “sua” causa. Ecco perché si indignò molto quando vide volatilizzarsi trecento denari per un profumo che si poteva vendere e invece fu “versato”, inutilmente, secondo lui, sui piedi di Gesù. Con trecento denari si potevano comprare almeno dieci schiavi.
Ma a cosa servivano tutti quei soldi? “Per i poveri”, disse Giuda. Probabilmente non mentiva: si potevano dare davvero ai poveri perché comprassero armi, si potevano dare ai mercenari. Il suo non era un falso moralismo. Le armi costano e tutti dovevano rifornirsene per combattere. Il denaro serviva alla guerra. Oh, sia chiaro: guerra di “liberazione”, per come la vedeva lui.
Infatti, più si avvicinavano a Gerusalemme, gli apostoli con Gesù, e più cresceva in Giuda l’agitazione: era preoccupato, preso dall’eccitazione per la realizzazione definitiva di ciò per cui lui aveva dedicato tutta la sua vita, almeno quella adulta. Non sapeva quali piani avesse Gesù. Sapeva che l’esercito celeste era pronto. Ciò che mancava era solo l’occasione, mancava il movente perché del Messia si scatenasse l’ira e si compisse l’ora.
I giorni intanto passavano e Gesù non sembrava voler lottare. Gesù stava tradendo le aspettative di Giuda. Sembrava che si fosse come intimidito: voleva ancora combattere i romani? Ora diceva che bisognava “dare a Cesare quel che è di Cesare” (Lc 20,20-26), quasi ne sembra complice. A Gerusalemme sfidava ancora volentieri i capi d’Israele, ma non aveva la stessa verve nei confronti degli invasori. Giuda è avvilito, è impaziente, è confuso, sta montando dentro di lui l’irritazione.
Fu allora che “Satana entrò in Giuda, detto Iscariota, che era nel numero dei Dodici” (Lc 22,3): Giuda decise in cuor suo di forzare gli eventi. Satana ci aveva già provato con Pietro: “Rimettiti dietro a me, Satana”, si era sentito dire da Cristo. Ora il Padre della menzogna era riuscito a vincere il cuore diviso di Giuda che si risolse nel “consegnare” Gesù.
Voleva “consegnarlo” perché fosse a tutti chiaro che era il Messia
Giunti a Gerusalemme, si verificò un’escalation di eventi che portò infine i Sommi Sacerdoti a decidersi per la pena di morte nei confronti del presunto Messia. Giuda non aveva mai avuto simpatia per questi uomini: erano venuti a patti con il potere romano, quindi erano dei traditori per lui.
Ma egli capì che era necessario scendere a patti con loro. L’accordo con i Sommi Sacerdoti ebbe perciò un senso diverso per le parti contraenti. Questi lo fecero per mettere a morte Gesù. Giuda voleva solo “consegnarlo” perché si decidesse ad iniziare la guerra (cfr. Mc 14,10-11; Mt 26,14-16; Lc 22,3-6). Scese a patti con i nemici per far precipitare le cose, per mettere Gesù all’angolo, perché finalmente si scatenasse l’Inferno: Gesù sarebbe stato costretto a chiamare le Legioni di Angeli per farsi difendere.
Giuda veramente crede, secondo il suo equivoco, che gli angeli del cielo sarebbero scesi a combattere accanto ai discepoli-soldati del Messia: non erano forse state scritte e dette tutte queste cose? Ecco, Giuda, il politico e il patriota, interpreta alla lettera.
Giuda aveva pensato che prima o poi Gesù avrebbe capito. Alla fine lo avrebbe anche ricompensato ponendolo a capo di chissà quante città (cfr. Lc 19,11-27). Sarebbe diventato il primo degli Apostoli per meriti. Non era un vero tradimento!
E poi arrivò quell’istante in cui Gesù disse quella frase: “Quello che devi fare fallo al più presto” (Gv 13, 27). Immaginiamo Giuda! Avrà pensato: “Cavoli, forse Gesù comincia a capire cosa voglio fare ed è d’accordo con me!”. Giuda si sentiva il liberatore di Gesù. Aveva invertito i ruoli.
Giuda amava sinceramente Gesù. Ma un Gesù idolo
Lo amava tanto, aveva sacrificato ogni cosa per lui, credendo in lui più di ogni altra persona: sapeva che Gesù era colui che avrebbe portato a compimento le promesse di Dio, che avrebbe ridonato la terra promessa al popolo legittimato a possederla. Era il suo leader e il suo liberatore, ma secondo una logica tutta politica e terrestre.
Quanta tenerezza vi fu in quel bacio; ma anche quanta malizia! Un gesto d’amore, tenero eppure perverso. Carico di significati contrastanti, immagine pluriforme della guerra che da tempo si combatteva nel cuore di Giuda. In quel bacio Giuda ha riposto ogni speranza: il bacio di un amico, il coltello di un traditore, il falso segnale per l’arresto, la messa al muro di un re timido, l’inizio della guerra finale.
Gesù l’avrebbe apprezzato. I Sommi Sacerdoti se ne sarebbero pentiti. Lui ne avrebbe guadagnato in gloria.
Ma non era solo un’idea di Giuda! Pietro stesso deve aver avuto in cuore questi sentimenti se “messa mano alla spada, la estrasse e colpì il servo del Sommo Sacerdote” (Mt 26-51).
Eppure, quel bacio fu la fine di ogni speranza: i piani di Giuda andarono in frantumi. Gesù si fece arrestare. “No! Gesù doveva ribellarsi. Questo era il piano”.
E le speranze svanirono nel momento stesso in cui Gesù disse a nuora (Pietro) perché suocera (Giuda) ascoltasse: “Pensi forse che io non possa pregare il Padre mio, che mi darebbe subito più di dodici Legioni di Angeli?” (Mt 26,53). Questo era ciò che Giuda aveva in cuor suo: “Allora Gesù poteva. Gesù era in grado. Le Legioni erano pronte, esistevano!”.
Gesù, se avesse voluto … ma non lo volle. Era satanico, pensiero di uomini. Non era il pensiero di Dio (cfr. Mc 8,33).
Pietro lo capì e rimise la spada nel fodero. Giuda invece pensò che il suo ideale si era frantumato. Gesù era un perdente. Ma quel perdente era stato anche il solo e vero amico che ebbe in tutta la sua vita. E lui l’aveva tradito. L’aveva fatto condannare a morte.
Le teologie della liberazione ragionano come Giuda
Riconsegnate le monete, anzi gettate letteralmente in faccia ai presunti vincitori, Giuda non solo riconobbe che non ci sarebbe stata nessuna teocrazia, ma addirittura si rese conto del fatto che se Gesù moriva era per mano sua. Si pentì e andò a impiccarsi (cfr. Mt 27,3-4).
Giuda era un patriota, aveva voluto forzare l’inizio della guerra, ma l’unica cosa che aveva ottenuto era stata la morte con un bacio del suo unico “amico”.
Tralasciamo le controversie sul discorso di Pietro in Atti (cfr. 1,15-20), come l’eterno destino di Giuda (la Chiesa non “canonizza” i dannati) e ciò che è accaduto nel momento in cui emise il suo ultimo respiro. Consideriamo solo le azioni e le scelte raccontateci nel Nuovo Testamento. Il problema di Giuda fu quello di non aver compreso il significato dell’Incarnazione, il senso del Natale: Giuda si è impiccato perché non si è inginocchiato di fronte al Dio Bambino.
E per questo Giuda dovrebbe ispirare naturalmente una umana simpatia, perché egli è davvero nostro fratello. Egli incarna infatti l’immagine di tanti uomini che rimangono delusi dall’apparente sconfitta ed estromissione di Dio dal mondo contemporaneo. Di uomini che fanno tanta fatica nel tentativo di forzare gli eventi a vantaggio della giustizia perché pensano che Dio non possa astenersi dall’intervenire. Di persone che vanno dietro a ideologie – pensiamo al progressismo cattolico, a cattolicesimo “sociologico”, alle teologie della “liberazione”, che si muovono esattamente nella logica dell’Iscariota – e non si accorgono che la risposta ai propri desideri passa nella semplicità di un Dio umile e disposto a farsi umiliare.
Egli è l’immagine che meglio rappresenta ciascuno di noi quando non abbiamo fede nello Spirito Santo e perciò scriviamo piani (pastorali) nel tentativo ironico di supplirne l’apparente sconfitta.
Dio, a Betlemme, non è entrato nel mondo per comandare con la forza e le armi. Le armi di Dio sono la verità e la carità. Giuda non ha compreso questo. E come lui anche noi tante volte non lo capiamo: non capiamo che la vera forza è mansuetudine, che la vera libertà è obbedienza e che il vero amore è distacco.
Non capiamo cioè che la Chiesa e il mondo sono sempre sotto lo sguardo paterno di Dio il quale non lancia fulmini se si prendono direzioni sbagliate, per non sradicare insieme alla zizzania anche il grano buono (Mt 13,24-30).
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