Eucaristia e divorzio. Chiarimento necessario in attesa del
Sinodo sulla Famiglia del 2015
Chiarimento necessario in
attesa del Sinodo sulla Famiglia del 2015
di Pierfrancesco Nardini
Se si può comprendere un
ateo che critica la posizione della Chiesa Cattolica sul divorzio e sul divieto
di accedere all’Eucarestia per i divorziati sposati con rito civile, non si
capisce assolutamente la critica sollevata da molti che si dicono cattolici.
Partiamo dal presupposto
che se uno dice di essere cattolico sa cos’è la Fede cattolica, conosce cioè i
dettami alla base della stessa ed i principi a cui la Chiesa deve rifarsi.
Conosce quindi il Catechismo. Conosce il Magistero. Almeno conosce i tratti
fondamentali di quel che sostiene di credere.
Dato questo presupposto,
riassumiamo in breve (per quanto possibile) quel che da sempre è la legge sul
matrimonio e sull’Eucarestia.
Fondamentale è, in primis, ricordare, e
purtroppo mi rendo conto ce ne sia spesso il bisogno, che «il matrimonio non fu
istituito né restaurato dagli uomini, ma da Dio; non dagli uomini ma da Dio,
autore della natura, e da Gesù Cristo, Redentore della medesima natura, fu
presidiato di leggi e confermato e nobilitato. Tali leggi perciò non possono
andar soggette ad alcun giudizio umano e ad alcuna contraria convenzione,
nemmeno degli stessi coniugi» (Pio XI, Casti
connubii, 31.12.1930).
E tra quelle leggi
ricordate da Pio XI ce ne sono alcune in cui Cristo certifica l’indissolubilità
del matrimonio e condanna senza mezzi termini divorzio e seconde nozze: «Fu
anche detto: - Chiunque rimanda la propria moglie, le dia il libello del
divorzio. - Io invece dico a voi: - Chiunque manda via la propria moglie, salvo
il caso di fornicazione, la rende adultera, e chiunque sposa la donna mandata
via, commette adulterio» (Mt 5, 31-32); «Allora i Farisei andarono a trovarlo,
e per tentarlo gli domandarono: “È lecito mandar via la propria moglie per
qualunque motivo?”. Egli rispose: “Non avete letto che il Creatore da principio
li creò maschio e femmina e disse: - Per questo lascerà l’uomo suo padre e sua
madre e si unirà con sua moglie e i due saranno una sola carne? Perciò essi non
sono più due, ma una sola carne. Non divida dunque l’uomo quello che Dio ha
congiunto”. “Perché dunque,” gli chiesero “Mosè prescrisse di darle il libello
del ripudio e di mandarla via?”. Rispose loro. “Per la durezza del vostro cuore
Mosè vi permise di ripudiare le vostre mogli; ma da principio non era così. Io
poi vi dico che chiunque mandi via sua moglie, salvo il caso di fornicazione, e
ne sposa un’altra, commette adulterio, e chi s’ammoglia con la donna ripudiata,
diventa adultero» (Mt 19, 3-9); cfr. anche Mc 10, 2-12 e Lc 16, 18.
Impossibile dunque
continuare a cercare un modo per sostenere che non è possibile riportare a Gesù
la condanna del divorzio e delle seconde nozze e che fu la Chiesa a inventare
tutto, così sostenendo anche che la Chiesa ha manipolato a proprio piacimento
il “vero” insegnamento di Cristo.
Gesù Cristo condanna con
chiarezza e forza «il divorzio, come causa di peccati e di dissoluzione. Egli
condanna ogni degradazione dei sensi e riconduce il matrimonio alla sua
nobiltà; ridona alla donna la sua dignità, negando con forza che ella sia
oggetto di piacere o termine di ammirazioni sensuali o sentimentali … Toglie
ogni pretesto anche legale alla corruzione e alla degradazione della donna e
abolisce la legge del ripudio; vuole che la donna sia regina e madre nella casa
e non sia come un oggetto di divertimento che si desidera e si abbandona come
si vuole»[1].
Nella Sua infinita
sapienza, si rifà alle parole della Genesi (2, 24) che determina la natura del
matrimonio e chiarisce che «non si trattava di un’unione capricciosa o
accidentale di due creature, ma di un’unione intima, così piena da formare come
una sola carne, benedetta da Dio per attuare la riproduzione e la conservazione
del genere umano. L’uomo, dunque, non poteva separare ciò che Dio ha congiunto
con una legge di provvidenza e di amore che è sacra»[2].
Il Magistero della Chiesa
Cattolica, dunque, non può che essersi attenuto a quel che il suo Fondatore ha
insegnato e ha ribadito con chiarezza lungo il corso dei secoli[3].
Da tutto quanto riportato
appare chiaro che il divorzio è da considerare una grave offesa al sacramento
del matrimonio[4], ma ancor prima alle parole stesse di N.S. Gesù Cristo che
ordinò «non divida dunque l’uomo quello che Dio ha congiunto».
Ulteriore e indiscutibile
conseguenza di questi dettami di Cristo, almeno per uno che si dice cattolico,
è che la grave offesa procurata al sacramento del matrimonio con il divorzio e
le seconde nozze “rate e consumate” pone chi l’ha fatta nella condizione di
peccato mortale.
Il Catechismo di San Pio X
ci insegna che «il peccato mortale è una disubbidienza alla legge di Dio in
cosa grave, fatta con piena avvertenza e deliberato consenso» (can. 143) e che
la grazia di Dio perduta per il peccato mortale «si riacquista con una buona
confessione sacramentale o col dolore perfetto che libera dai peccati, sebbene
resti l’obbligo di confessarli» (can. 146).
Sempre il Catechismo di San
Pio X ci insegna che «essere in grazia di Dio significa avere la coscienza
monda da ogni peccato mortale» (can. 336).
Tutta questa premessa è
utile a riassumere alcuni punti fondamentali della dottrina cattolica, che,
ribadisco, chi si dice cattolico dovrebbe conoscere; punti necessari anche per
poter capire perché una persona che ha divorziato e poi si è sposata con rito
civile con un altro/a partner non è in grazia di Dio.
Non è palese che, se Gesù
ha condannato il divorzio, ammonendo l’uomo di non dividere ciò che Dio ha
unito, se Gesù ha chiamato adultero/a chi, ripudiati la moglie o il marito, si
congiunge con altra persona, chi contravviene ai Suoi insegnamenti ed alle Sue
prescrizioni in modo grave cade nella condizione di peccato mortale? Possibile
ci sia chi si dice cattolico e gli sembra strano quanto ricordato?
Data però la certezza di quanto
sopra riportato, arriviamo alla centro del nostro discorso.
Alla base del dubbio sul
divieto di accedere all’Eucarestia per i divorziati sposati civilmente non c’è
tanto la non conoscenza approfondita della dottrina sul matrimonio, quanto
(peggio) la mancata conoscenza di cosa sia l’Eucarestia. O, forse, in alcuni
casi, il non volerlo vedere. Altrimenti non si spiega.
Se, infatti, uno sa cos’è
l’Eucarestia, Chi c’è nell’Eucarestia, come fa a sostenere che chi è in peccato
mortale possa avvicinarsi a questo Sacramento?
Misteri della vita. O,
forse, semplicemente effetti della crisi della e nella Chiesa.
È necessario un piccolo
sunto.
Sempre riportandosi al
Catechismo di San Pio X, studiamo che l’Eucaristia «è il sacramento che, sotto
le apparenze del pane e del vino, contiene realmente Corpo, Sangue, Anima e
Divinità del Nostro Signor Gesù Cristo per nutrimento delle anime» (can. 316) e
che «nell’Eucaristia c’è lo stesso Gesù Cristo che è in cielo, e che nacque in
terra da Maria Vergine» (can. 322)[5]. Inoltre sappiamo che «sotto le apparenze
del pane c’è tutto Gesù Cristo, in Corpo, Sangue, Anima e Divinità; e così
sotto quelle del vino» (can. 331).
Anche questa è una verità
indiscutibile e costantemente ricordata dal Magistero della Chiesa[6].
Per poter fare una buona
Comunione, il cattolico sa che deve essere in grazia di Dio e che deve essere
consapevole di Chi si va a ricevere[7]. Quindi che non deve essere in peccato
mortale (anche se comunque sarebbe meglio evitare anche di avere peccati
veniali) e avere certezza che ci si sta accostando a N.S. Gesù Cristo[8].
Non si può aver il minimo
dubbio che chi si trova nella condizione che Cristo ha avvertito di evitare,
cioè aver sciolto il matrimonio ed essersi unito ad altra persona, è in stato
di peccato mortale costante, esattamente come chi convive more uxorio, ma anche
di chi intrattiene rapporti sessuali con una persona sposata con altri.
L’unione successiva al divorzio, pur avendola certificata di fronte ad
un’autorità civile, non esiste per Dio.
Chi è in questa condizione
inoltre contravviene anche all’altro elemento necessario per la validità e
utilità della Confessione: il dolore dei peccati ed il proponimento di non
commetterne più[9]. Non può essere assolto chi non abbia questi requisiti ed
allora l’unico modo che ha il divorziato sposato civilmente di potervi accedere
è quello di uscire dalla situazione di grave peccato e viverla in continenza e
secondo le regole di Dio (anche se, per motivi gravi, come l’educazione dei
figli, dovesse continuare a vivere con il partner).
A quanto sembra, si chiede
invece da parte di molti che si ammettano alla Comunione i divorziati sposati
civilmente solo con un “percorso di penitenza” che servirebbe quasi solo a
“bonificare” il secondo matrimonio.
Alla luce di quanto appena
ricordato si comprende facilmente l’impossibilità di accogliere questa ipotesi:
è in netto contrasto con il dettato divino, perché permetterebbe a chi è in
peccato grave (il periodo di “penitenza” non sarebbe certo il sacramento della
Confessione) e, soprattutto, continua ad esserlo (non si dice che si debba
essere pentiti, né che si debba lasciare la condizione di peccato, anzi, il
contrario, dopo il periodo di “penitenza” si potrà tranquillamente continuare a
vivere come se nulla fosse stato) di avvicinarsi comunque a Cristo.
In conclusione, alla luce
della dottrina pervenutaci da Gesù, come si può continuare a cercare un modo
per avvicinare i divorziati sposati civilmente all’Eucarestia? Come si può
voler accostare chi è in peccato mortale a Cristo, senza con ciò stravolgere e
manipolare l’insegnamento del nostro Signore?
Sostenere questi tentativi,
come si diceva, vuol dire ignorare, o peggio non voler più vedere, a Chi si
vuole far questo e disinteressarsi dell’aspetto divino delle istituzioni in
oggetto, nonché del sacrilegio a cui si va incontro.
Portando così se stessi, e
chi in buona fede segue queste tesi, alla morte dell’anima: «perché chi mangia
e beve senza riconoscere il corpo del Signore, mangia e beve la propria
condanna»[10].
Iniziamo invece a dire la
verità, senza la paura di dar fastidio al mondo, ricordandoci che si è nel
mondo, ma non si è del mondo. Iniziamo a fare la vera carità che è dire la
verità a chi ne è lontano. Iniziamo a ricordare che l’unico modo che abbiamo per
accostarci degnamente a Cristo, e quindi all’Eucarestia, è quello di accedere
prima al sacramento della Confessione, «sacramento istituito da Gesù Cristo per
rimettere i peccati commessi dopo il Battesimo»[11]. Che questo prima ancora
che un obbligo è un nostro interesse, perché ci permette di salvare la nostra
anima.
E ritorniamo a spiegare
che, se la Chiesa non ammette alla Comunione eucaristica chi ha divorziato e si
è unito civilmente ad altra persona, è perché «sono essi a non poter esservi
ammessi, dal momento che il loro stato e la loro condizione di vita
contraddicono oggettivamente a quell’unione di amore tra Cristo e la Chiesa,
significata e attuata dall’Eucaristia»[12] ed anche che «c’è un altro peculiare
motivo pastorale: se si ammettessero queste persone all’Eucaristia, i fedeli
rimarrebbero indotti in errore e confusione circa la dottrina della Chiesa
sull’indissolubilità del matrimonio»[13].
Così come si deve tornare a
spiegare che è la riconciliazione nel sacramento della Confessione l’unica strada
possibile per il riavvicinamento all’Eucaristia e che questa «può essere
accordata solo a quelli che, pentiti di aver violato il segno dell’Alleanza e
della fedeltà a Cristo, sono sinceramente disposti ad una forma di vita non più
in contraddizione con l’indissolubilità del matrimonio»[14] e quindi la
continenza.
Solo così, con chiarezza e
fermezza (che non vogliono assolutamente significare intolleranza!), si potrà
imboccare la strada di un ritorno ad un credo totalmente e realmente cattolico.
In primis, è questo è il problema
più serio, a cominciare da molti esponenti del Clero.
Note:
[1] Don Dolindo Ruotolo, Commento ai quattro Vangeli, Vangelo di Matteo, Casa Mariana
Editrice.
[2] Ibid.
[3] «…non è lecito alla
donna andare sposa a un altro. E qualora si sia sposata, e quand’anche ne sia
seguita l’unione carnale, deve da lui separarsi, e essere costretta dal rigore
ecclesiastico a tornare dal primo, anche se altri pensano diversamente e in
altro modo talvolta sia stato giudicato anche da alcuni nostri predecessori»,
Alessandro III, Lettera (frammenti) Verum
post all’arcivescovo di
Salerno, data incerta; «Certamente quello che il Signore dice nel Vangelo, non
è lecito all’uomo ripudiare sua moglie, se non in caso di fornicazione [Mt
5,32; 19,9], è da intendersi, secondo l’interpretazione della santa Parola,
riferito a coloro il cui matrimonio è stato consumato con l’unione carnale,
senza la quale il matrimonio non può essere consumato, e dunque, se la suddetta
donna non è stata conosciuta da suo marito, le è lecito passare alla vita
religiosa», Lettera Ex publico
instrumento al vescovo di
Brescia, data incerta, Concilio Lateranense III; «Se qualcuno dirà che il
matrimonio non è in senso vero e proprio uno dei sette sacramenti della legge
evangelica, istituito da Cristo, ma che è stato inventato dagli uomini nella
chiesa, e non conferisce la grazia, sia anatema”» e «Se qualcuno dirà che la
chiesa sbaglia quando ha insegnato e insegna, secondo la dottrina del Vangelo e
degli apostoli, che il vincolo del matrimonio non può essere sciolto per
l’adulterio di uno dei coniugi; che nessuno dei due, nemmeno l’innocente, che
non ha dato motivo all’adulterio, può contrarre un altro matrimonio, vivente l’altro
coniuge; che commette adulterio il marito che, cacciata l’adultera, ne sposi
un’altra, e la moglie che, cacciato l’adultero, ne sposi un altro, sia
anatema», Concilio di Trento, Sez. XXIV, Dottrina e canoni sul matrimonio,
Cann. 1 e 7, 11 novembre 1563; «Se poi la chiesa non sbagliò né sbaglia,
allorché insegnò o insegna queste cose, ed è perciò del tutto certo che il
matrimonio non può essere sciolto neppure a causa dell’adulterio, è evidente
che gli altri motivi più lievi di divorzio che si suole addurre, valgono ancor
meno e sono da ritenere del tutto inconsistenti» ed «E anzitutto, quanto
all’indissolubile fermezza del patto coniugale, Cristo medesimo vi insiste
dicendo: “Ciò che Dio ha congiunto, l’uomo non separi” [Mt 19,6]; e: “Chiunque
ripudia la propria moglie e ne prende un’altra commette adulterio: e chiunque
prende quella che è stata ripudiata dal marito commette adulterio” [Lc 16,18].
In questa indissolubilità ripone appunto sant’Agostino il bene che egli chiama
del sacramento, con queste chiare parole: “Nel sacramento poi [si fa in modo]
che il matrimonio non sia sciolto e il ripudiato o la ripudiata non si unisca
ad altri, neppure a motivo della prole” [De Genesi ad litteram, IX, 7, n. 12]»
ed ancora «E se l’uomo ingiuriosamente tenta di separarlo [ciò che Dio ha
unito, ndr], il suo atto è
del tutto nullo; e resta valido perciò quanto Cristo apertamente confermò:
“Chiunque rimanda la moglie e ne sposa un’altra, è adultero e chi sposa la
rimandata dal suo marito, è adultero” [Lc 16,18]. E queste parole di Cristo
riguardano qualsiasi matrimonio, anche quello soltanto naturale e legittimo,
giacché a ogni vero matrimonio spetta quella indissolubilità, per la quale esso
è sottratto, quanto alla soluzione del vincolo, e all’arbitrio delle parti e ad
ogni potestà civile», Pio XI, Casti
connubii, 31.12.1930.
[4] Cfr. cann. 2382 e 2385
Catechismo della Chiesa Cattolica.
[5] Si vedano anche i cann.
325 e 327.
[6] «Noi fermamente e senza
dubbio alcuno con cuore puro crediamo, e con semplicità con parole credenti
affermiamo, che il sacrificio, cioè il pane e il vino, dopo la consacrazione è
il vero corpo e il vero sangue del Signore nostro Gesù Cristo; nel quale noi
crediamo che nulla di più da un sacerdote buono e nulla di meno da uno cattivo
è compiuto; perché si compie non per merito del consacrante, ma per la parola
del Creatore e per la forza dello Spirito Santo», Innocenzo III, Lettera Eius exemplo all’arcivescovo di Tarragona,
18.12.1208, Professione di fede prescritta ai valdesi; «…infatti il suo corpo e
il suo sangue sono contenuti veramente nel sacramento dell’altare, sotto la
specie del pane e del vino, poiché il pane è transustanziato nel corpo, e il
vino nel sangue per divino potere», Concilio Lateranense IV, Cap. 1,
11-30/11/1215; Nella Lettera di Clemente IV Quanto
sincerius del 28.10.1267
all’arcivescovo Maurino di Narbonne, il Papa riprende l’arcivescovo, dicendosi
scandalizzato, che aveva asserito che «Gesù Cristo non è con la sua essenza
sull’altare, ma solamente come indicato sotto un segno». Clemente IV dice
chiaramente che tali affermazioni «contengono una manifesta eresia e annullano
la verità di quel sacramento»; «E in virtù delle stesse parole [di Cristo, ndr] la sostanza del pane si
trasforma in corpo di Cristo, e la sostanza del vino in sangue. Ciò avviene
però in modo tale che tutto il Cristo è contenuto sotto la specie del pane e
tutto sotto la specie del vino e, se anche questi elementi venissero divisi in
parti, in ogni parte di ostia consacrata e di vino consacrato vi è tutto il
Cristo», Concilio di Firenze, Bolla sull’unione con gli armeni Exsultate Deo, 22.1.1439; «In
primo luogo questo santo sinodo insegna e professa apertamente e semplicemente
che nel divino sacramento della santa eucaristia, dopo la consacrazione del
pane e del vino, il nostro Signore Gesù Cristo, vero Dio e vero uomo, è
contenuto veramente, realmente e sostanzialmente [can. 1], sotto l’apparenza di
quelle cose sensibili» (Cap. 1) - «È quindi verissimo che sotto una sola specie
è contenuto tanto, quanto sotto entrambe. Cristo, infatti, è tutto e integro
sotto la specie del pane e sotto qualsiasi parte di questa specie; e similmente
è tutto sotto la specie del vino e sotto ogni sua parte» (Cap. 3) - «Poiché il
Cristo, nostro redentore, ha detto che ciò che offriva sotto la specie del pane
era veramente il suo corpo, nella chiesa di Dio vi fu sempre la convinzione, e
questo santo concilio lo dichiara ora di nuovo, che con la consacrazione del
pane e del vino si opera la conversione di tutta la sostanza del pane nella
sostanza del corpo del Cristo, nostro Signore, e di tutta la sostanza del vino
nella sostanza del suo sangue. Questa conversione, quindi, in modo conveniente
e appropriato è chiamata dalla santa chiesa cattolica transustanziazione» (Cap.
4), Concilio di Trento, Sess. XIII, 11.10.1551, Decreto sul sacramento
dell’Eucaristia; «Se qualcuno negherà che nel sacramento dell’eucaristia è
contenuto veramente, realmente, sostanzialmente il corpo e il sangue di nostro
Signore Gesù Cristo, con l’anima e la divinità, e, quindi, il Cristo tutto
intero, ma dirà che esso vi è solo come in un simbolo o una figura, o solo con
la sua potenza, sia anatema» (Can. 1), Concilio di Trento, Sess. XXII,
17.9.1562, Dottrina e canoni sul sacrificio della Messa; «Riconosco parimenti
che nella messa viene offerto a Dio un vero e proprio sacrificio di espiazione
per i vivi e per i morti, e che nel santissimo sacramento dell’eucaristia c’è
veramente, realmente e sostanzialmente il corpo e il sangue, insieme all’anima
e alla divinità, del nostro Signore Gesù Cristo, e che avviene la
trasformazione di tutta la sostanza del vino e del sangue, trasformazione che
la chiesa cattolica chiama transustanziazione. Confesso che anche sotto una
delle due specie viene assunto Cristo completo e integro e il vero sacramento»,
Pio IV, Bolla Iniunctum nobis,
13.11.1564, Professione di
fede tridentina; «Anche se è quanto mai conveniente che quelli che fanno
uso della comunione frequente e quotidiana siano privi di peccati veniali, per
lo meno quelli pienamente deliberati, e dall’affetto nei loro confronti, è
tuttavia sufficiente che siano senza peccati mortali, unitamente al proposito
di non peccare mai più nel futuro», S. Pio X, Decreto Sacra Tridentina Synodus,
16.12.1905, La comunione
eucaristica quotidiana, punto 3; «Il sacrificio dell’altare non è una pura
e semplice commemorazione della passione e morte di Gesù Cristo, ma è un vero e
proprio sacrificio, nel quale, immolandosi incruentemente, il sommo sacerdote
da ciò che fece una volta sulla croce offrendo al Padre tutto se stesso,
vittima graditissima … Per mezzo della “transustanziazione” del pane in corpo e
del vino in sangue di Cristo, come si ha realmente presente il suo corpo, così
si ha il suo sangue; le specie eucaristiche poi, sotto le quali è presente,
simboleggiano la cruenta separazione del corpo e del sangue», Pio XII,
Enciclica Mediator Dei,
20.11.1947; «Tale presenza si dice “reale” non per esclusione, quasi che le
altre non siano “reali”, ma per antonomasia perché è anche corporale e
sostanziale, e in forza di essa Cristo, Uomo-Dio, tutto intero si fa presente.
Malamente dunque qualcuno spiegherebbe questa forma di presenza, immaginando il
corpo di Cristo glorioso di natura “pneumatica” onnipresente; oppure
riducendola ai limiti di un simbolismo, come se questo augustissimo sacramento
in niente altro consistesse che in un segno efficace “della spirituale presenza
di Cristo e della sua intima congiunzione con i fedeli membri del corpo
mistico», Paolo VI, Enciclica Mysterium fidei, 3.9.1965.
[7] Catechismo di San Pio
X, can. 335.
[8] Ibid.,, can.
337.
[9] Ibid., can 358.
[10] San Paolo, 1 Cor 11, 29.
[11] Catechismo di San Pio
X, can. 335; vedi anche can. 373 e Concilio di Trento, Sess. XIV, 25.11.1551,
can. 6.
[12] S. Giovanni Paolo II, Familiaris consortio, 84.
[13] Ibid.
[14] Ibid.
http://www.scuolaecclesiamater.org/2015/01/eucaristia-e-divorzio-chiarimento.html
Durante la mia ricerca su Google per un aiuto per ottenere la mia ex amante che si ha divorziato di nuovo, mi sono imbattuto in questo meraviglioso uomo chiamato DR.AGBAZARA che ha fatto un bel lavoro per avermi aiutato a ottenere il mio marito divorziato indietro entro 48 ore .. Io credo che mai queste cose come questo può essere possibile, ma ora io sono una testimonianza vivente perché AGBAZARA TEMPIO effettivamente portato la mia amante indietro, se si sta ancora dubitare perché non contattare DR.AGBAZARA TEMPLE su e-mail: (agbazara@gmail.com) OR lui su +2348104102662, allora vi prometto che dopo 48 ore si dovrà motivi per festeggiare, come me.
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