Il buonismo ci acceca
Carenze
culturali e politiche sono retoriche supplenze di identità ambigue
di Piero
Ostellino
"Non abbiamo perso l’occasione, anche
questa volta, di mostrare d’essere un Paese da Terzo Mondo al quale, come non
bastasse, c'è chi detta la linea pauperista fra l’ottuso entusiasmo
di chi mostra di credere ben poco nel messaggio di Cristo .....".
Il miserevole spettacolo che l’Italia politica e giornalistica sta dando sulla strage di Parigi e il suo seguito è figlio allo stesso tempo — salvo minoritarie e lodevoli eccezioni — di carenza culturale e di stupidità politica. Entrambe sono la retorica supplenza della nostra identità ambigua e compromissoria. Perciò, in nome della convivenza con l’Islam, auspichiamo di fondare un nuovo Illuminismo, non sapendo palesemente che ce n’è già stato uno sul quale abbiamo fondato la nostra civilisation, mentre sono loro che non lo hanno ancora fatto e che dovrebbero farlo.
Ci si è lamentati che le forze dell’ordine francesi non fossero
riuscite a catturare rapidamente i due lombrosiani criminali artefici della
strage parigina. Ignoriamo, o fingiamo di ignorare, che ciò era dovuto al fatto
che il cosiddetto estremismo islamico naviga nel mare delle collusioni e delle
complicità con l’islamismo che chiamiamo ostinatamente moderato. Che moderato
non è e che si è profondamente radicato nel continente con l’immigrazione. È
stupefacente che a non capirlo sia proprio quella stessa sinistra che, da noi,
aveva felicemente contribuito a isolare il terrorismo delle Brigate rosse
prendendo realisticamente atto che esso navigava nel mare delle complicità
antiliberali e anticapitalistiche generate dal «lessico familiare» comunista.
L’ignoranza che, da noi, circonda il caso francese rivela l’incapacità
culturale, non solo della sinistra, di capire che cosa è stata, in Occidente,
l’uscita dal Medioevo, la separazione della politica dalla religione, la
cancellazione del dominio della fede religiosa sulla politica e la nascita
dello Stato moderno; incapacità di capire che si accompagna a quella di
prendere atto, per converso, che l’Islamismo è ancora immerso nel Medioevo ed è
soprattutto incapace di uscirne.
Le
patetiche invocazioni al dialogo, alla reciproca comprensione che si elevano da
ogni chiacchierata televisiva, da ogni articolo di giornale, sono figlie di un
buonismo retorico, politicamente corretto, incapace di guardare alla «realtà
effettuale» con onestà intellettuale. Non stiamo dando prova neppure
approssimativa di essere gli eredi di Machiavelli, bensì, all’opposto,
riveliamo di essere i velleitari nipotini di Brancaleone da Norcia, lo
strampalato protagonista di una saga cinematografica. Il miserevole spettacolo
che diamo è anche la conseguenza dell’insipienza culturale di una sinistra che
— perduto il rapporto organico con l’Unione sovietica, spazzata via dalle «dure
repliche della storia» — non sa, o non vuole, darsi una identità. La nostra
insipienza politica è generata dall’incultura.
Non abbiamo perso l’occasione,
anche questa volta, di mostrare d’essere un Paese da Terzo Mondo al quale, come
non bastasse, un pauperismo che detta la linea fra l’ottuso entusiasmo di fedeli
che mostrano di credere ben poco nel messaggio di Cristo e molto più di essere
i sudditi di una gerarchia che assomiglia a una corporazione o a un partito.
Avevo definito l’Islam, in un precedente articolo, una teocrazia, aggiungendo
che qualsiasi tentativo, da parte nostra, di trovare con esso una qualche forma
di conciliazione si sarebbe rivelato, a causa della contraddizione logica e
storica, illusorio.
Che
piaccia o no al buonismo, siamo diversi. È inutile nascondersi dietro il dito
di un universalismo di facciata che non regge alla prova della logica e della
storia. Siamo anche migliori, avendo noi conosciuto, e praticato da alcuni
secoli — a differenza di loro che sono, e vogliono restare, una teocrazia — la
separazione della religione dalla politica. Pur con tutti i nostri limiti,
pratichiamo l’insegnamento dell’Illuminismo e siamo entrati da tempo nella
Modernità, mentre loro ne sono ancora fuori e non danno neppure segno di
volerci entrare. Viviamo in regimi che praticano la tolleranza nei confronti di
chi non la pensa allo stesso nostro modo o professa una religione diversa dalla
nostra; siamo società che, per dirla con Isaiah Berlin, professano e rispettano
la «pluralità di valori». Chi non la pensa come noi, non è considerato e
trattato come un nemico. Loro ci considerano «infedeli» rispetto alle loro
convinzioni e alla loro prassi; un nemico da sterminare come hanno fatto nei
confronti della redazione del settimanale satirico parigino il cui torto era di
aver fatto dell’ironia sul loro credo. Per noi, gli islamici sono gente che la
pensa in un modo diverso.
Da figlio del Cristianesimo e del liberalismo mi
chiedo come si possano uccidere uomini e donne in nome del proprio dio. Il
criminale che torna sui suoi passi per finire un agente ferito e a terra è una
bestia, con tutto il rispetto per gli animali. Le nostre reciproche culture
sono inconciliabili ed è persino ridicolo auspicare che ci si possa incontrare
almeno a metà strada. Dovremo convivere, sapendo che ci vorrebbero colonizzare
e dominare attraverso quel «cavallo di Troia» che è l’immigrazione e che noi
stessi incoraggiamo. Lo ripeto. Non siamo noi che dobbiamo riscoprire (ndr. rinunciare) le nostre
radici. Sono loro che devono rinunciare alle loro. Sempre che vogliano
convivere pacificamente. Cosa di cui dubito.
10 gennaio 2015 | 08:17
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http://www.corriere.it/editoriali/15_gennaio_10/buonismo-che-ci-acceca-5b07abd8-9890-11e4-8d78-4120bf431cb5.shtml
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