Tenere le posizioni e restare in piedi in un mondo di rovine
di Enrico Maria Romano
Che la società italiana (ed europea) di questo scorcio di XXI secolo sia profondamente malata è diventata una di quelle asserzioni certe e ovvie le quali, seppur facenti parte della contingenza storica, si impongono di fatto come fossero verità di fede o di ragione. La crisi economica non c’entra nulla.Anzi, proprio una “decrescita” del consumismo e del profitto, così come un superamento della logica mercantile del capitalismo, potrebbero costituire delle parziali e benefiche vie di uscita dal male abnorme che ci circonda e che non è nelle cose materiali come tali, ma nella brama di possesso delle stesse, ovvero nella vita vissuta all’insegna della comodità, dell’edonismo e del benessere fisico.
La malattia fondamentale della modernità tardiva che stiamo vivendo sta, essenzialmente, nella perdita della tradizione intesa anzitutto come patrimonio di valori, di “miti” e di assiomi che hanno fatto grandi, nei secoli, le nazioni e gli antichi popoli d’Europa. Ma quali sono questi valori-miti-assiomi di cui sopra? Ebbene, eccone un campione, un po’ alla rinfusa: il valore catartico del sacrificio e del dolore, l’amore inconcusso della patria e della propria famiglia, la fedeltà assoluta alla parola data e alla promessa fatta, il comune senso del pudore, la superiorità della saggezza dell’anziano rispetto al dinamismo del giovane, la impari dignità tra uomini e bestie, il primato dello studio intellettuale sulle pur stimabili attività manuali, l’apprezzamento speciale per la vita religiosa di frati, suore, monaci e monache. Se questi punti si sono evaporati o sono comunque svaniti nel nulla, ciò non è senza conseguenze drammatiche. Faccio notare che questi sopraelencati valori erano (e sono) accessibili a tutti, al di là del grado di scolarizzazione raggiunto e non hanno nulla a che vedere con certo elitismo culturale-estetico messo in mostra da alcuni. Si rileggano i valori posti a cardine della tradizione oggi perduta: nessuno di essi richiede la laurea in lettere classiche o titoli di presunta nobiltà (gli stessi indotti contadini di un tempo avevano stima del professore, mostrandosi in ciò più filosofi di quegli intellettuali di oggi che stimano maggiormente la cura del corpo che quella dell’anima); tutti quei valori perduti e da ristabilire però, richiedono buon cuore e buona volontà, ma anche un supporto sociale che è completamente svanito nel nulla, e non a partire dalla Rivoluzione francese, come a volte si dice, ma solo dal secondo dopoguerra. Infatti nel periodo che va dalla fine del ‘700 alla metà del ‘900 quei valori, giudicati assiologici dal sottoscritto, erano largamente condivisi dai popoli europei, non ultimo il già glorioso a vario titolo, popolo italiano.
Se vi era – e certamente vi era! – un maggior senso della famiglia nell’ambiente social-comunista degli anni ’50 e ’60 del Novecento, malgrado il dichiarato progetto marxista-rivoluzionario di cancellazione della famiglia stessa (cf. K. Marx, Ideologia tedesca), di quanto ne abbiano mediamente i giovani di oggi, né comunisti né purtroppo anti-comunisti, è segno che vi è stato in parallelo un quasi mutamento antropologico di fondo, destinato a portare al collasso ogni istituzione civile e pubblica. Che oggi si parli impunemente e senza rabbrividire di “diritti dei gay”, prediligendo una categoria sociale a tutte le altre categorie possibili all’interno del corpo sociale (come i postini, i calvi, gli zingari, i romanisti o i panettieri), questo è un segno ulteriore chevi è stata una perdita del senso della civiltà, oltre ogni limite di umana decenza.Inutile citare ancora le allarmanti statistiche disponibili, basta andare con occhio meticoloso sul sito dell’Istat o di analoghi enti, per verificare il crollo della famiglia, della morale, dell’educazione e della religione. Questi crolli evidentemente sono strettamente correlati: al crollo della famiglia per esempio (causata da divorzio e separazione, o anche dai matrimoni senza Dio), farà seguito quasi sempre la perdita della buona educazione nei giovani, così come la perdita della fede in un ventenne è quasi sempre accompagnata dal rifiuto pratico/teorico della morale naturale e cristiana.
L’ottimismo di Papa Francesco ha fatto credere a molti cattolici che i problemi sociali ed ecclesiali, pur gravi, siano quasi scomparsi e che il Papa creda che la società e la Chiesa stessa siano vicine alla soluzione dei problemi stessi. Ma non è così. D’altra parte, il Papa non può contraddire i suoi immediati predecessori, e sia Paolo VI che Giovanni Paolo II e Benedetto XVI hanno detto, con viva preoccupazione, che il “fumo di Satana” (nella Chiesa), “l’apostasia silenziosa” (in Europa) e la “dittatura del relativismo” (nel mondo intero), erano e sono dei mali tremendi e tremendamente diffusi, da cui forse solo l’aiuto dall’alto ci potrà liberare. A questo punto però che fare? Stanti così le cose, come agire per risollevare la situazione della società? A volte si dice, e non è sbagliato (ma rischia di essere vago): farsi santi e questo basterà. Fosse così facile, oggi, farsi santi! E poi alcuni fanno consistere la santità in una vita meramente devota e pia, con molta religiosità, messe, rosari e stop. Mentre si prepara l’apocalisse, anzi durante l’apocalisse in atto, ci si mette a dire il santo Rosario e chi s’è visto, s’è visto! Sarebbe meglio, secondo me, senza omettere il Rosario di cui sopra, cercare nel nostro piccolo ambiente sociale e familiare, di riprodurre quella società umana e cristiana, che a livello pubblico stiamo rapidissimamente perdendo (o abbiamo perso già al 90%). Chiaro o no?
Nelle amicizie, nel lavoro, nelle parrocchie e nei gruppi che frequentiamo cercare di portare avanti questa duplice linea guida: da un lato denunciare apertamente i mali del tempo senza timori di sorta, avendo soltanto la cautela di non terrorizzare i pusilli, di non fare un danno maggiore e di essere graduali ed elastici come lo fu lo stesso Cristo nel proclamare la sua divinità e nel fondare la sua Chiesa. Lui che tutto poteva, attese i tempi di Dio e non partì con l’evangelizzazione a 18 anni, sbandierando la sua divinità, facendo portenti su richiesta e scomunicando a destra e a manca. Ci vuole una certa pedagogia e un certo savoir faire nel descrivere la realtà terrifica che ci sta davanti. Se dico ai bambini che lo Stato italiano per pura ideologia ammazza nei suoi ospedali migliaia di bambini all’anno (cosa verissima dall’approvazione della 194), forse rischio di scandalizzarli un po’, dunque è meglio andarci piano, senza mai negare la verità, pur abominevole che sia. D’altra parte, è d’uopo cercare con vivo impegno e forte zelo di avere quella carità, quella dolcezza, quella pazienza, quell’apertura di cuore e di mente che si dovrebbe avere nella società cristiana la quale, se è severa nei valori e non concede nulla a Satana e ai suoi accoliti, è altresì forgiata dalla buone maniere (e non dal manierismo borghese!), dalla dolcezza del tratto, dalla bontà e dall’elevatezza dei costumi come ci hanno insegnato innumerevoli santi.
Se nelle nostre famiglie cattoliche, unite e armoniose, si respirerà quell’atmosfera evangelica che ha reso immortale la cristianità italiana, e se tante famiglie si uniranno per quanto possibile tra loro, non senza l’aiuto di oasi spirituali sacerdotali e religiose, allora potremo sperare di invertire il corso, per nulla predeterminato, della storia e della politica. Senza fare come gli statunitensi amish e vivere separati dal resto del mondo definito impuro e decadente, potremo “separarci” dall’immondo mondo di oggi, grazie alla vita virtuosa che condurremo, se ne abbiamo la volontà. Vita virtuosa che è resa facile ed accessibile proprio dalla costituzione di piccole cristianità, sparse ma legate tra loro da vincoli di amicizia e di fraternità.Non bisogna indietreggiare nelle idee e negli ideali, ma senza la costituzione di centri di resistenza e di contrattacco, sarebbe difficilissimo non essere contagiati dai numerosi virus della modernità tardiva, tendenzialmente morta e mortifera. La famiglia cattolica deve essere oggi un baluardo: famiglia sana e forte, di buona cultura (se possibile) e ben educata, allegra e gioviale ( riso fa buon sangue e chi è triste pecca…), combattiva e pia, intransigente nei principi e misericordiosa colle anime sbandate dal nemico comune.
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