mercoledì 9 ottobre 2013

il papa a scalfari

OSSERVAZIONI SULL’INTERVISTA 

A “LA REPUBBLICA” 

DI PAPA FRANCESCO





Martedì 1° ottobre 2013 è uscita, sul quotidiano progressista “la Repubblica”, una lunga intervista al Papa felicemente regnante Francesco condotta dal fondatore e direttore emerito dello stesso giornale Eugenio Scalfari, già destinatario di una lettera aperta da parte dello stesso Papa; ciò che mi ha lasciato perplesso e mi ha spinto a riprendere in mano, dopo un po’ di tempo, la penna, non è stata, tanto, la modalità (l’Apostolo dice al suo discepolo San Tito di predicare opportune et importune, per quanto, solitamente, al Papa non si fanno interviste, non è certo un interlocutore qualsiasi), quanto, in alcune parti, il contenuto di quell’intervista, che proverò ora ad analizzare. Premetto fin da subito che sono un grande estimatore di questo Papa (e, soprattutto, e questo vale per la nuova categoria degli “scismatici ratzingeriani”, che il Papa adesso è lui), e che più volte l’ho difeso da chi, quasi papolatra sotto Benedetto XVI, è quasi approdato, con Francesco, al sedevacantismo, e continuerò certo a farlo; tuttavia, stavolta, non ho potuto fare a meno di esprimermi. Fin dall’inizio, giustamente, il Papa ribadisce che l’attuale preoccupante situazione politico-economica interessa anche la Chiesa, che “deve sentirsi responsabile sia delle anime sia dei corpi” (e qui possiamo anche ricordare un punto già espresso dal suo predecessore Benedetto XVI, secondo cui la crisi economica era originata prima di tutto da una crisi morale e di fede), poi, però, leggiamo che “ciascuno di noi ha una sua visione del Bene, e anche del Male” e che “dobbiamo incitarlo a procedere verso quello che lui pensa sia il Bene”; certo è vero, ciascuno di noi ha proprie idee sul Bene e sul Male, ma queste corrispondono, rispettivamente, a Dio (“bene infinito e nostra eterna felicità”, come diciamo, ogni mattina appena alzati e ogni sera prima di dormire, nell’Atto di Carità), e al malum vitandum? E l’“Amore per gli altri, come il nostro Signore l’ha predicato”, la Carità di cui leggiamo nell’Apostolo Paolo che si rivolge ai Corinzi, non è basato e fondato sulla Verità? E la Verità, non è Nostro Signore Gesù Cristo? “Comprendilo o anima, se lo puoi, che Dio è Verità” dice Sant’Agostino d’Ippona. Certamente “il Figlio di Dio si è Incarnato per infondere nell’anima degli uomini il sentimento della fratellanza” (uno dei tre “valori”, se così li possiamo chiamare, che l’illuminismo ha scippato, con un furto per niente sacro, al messaggio cristiano), ma della fratellanza in Lui (“Rimanete in Me, ed Io in voi”, come leggiamo nel Vangelo di San Giovanni), e giustamente dopo, Santità (mi permetterò, da adesso, qualora fosse possibile, di rivolgermi idealmente direttamente a Lei), Lei ribadisce questo concetto: “Seguite Me e troverete il Padre e sarete tutti Suoi figli e Lui si compiacerà in voi”. L’amore per il prossimo dev’essere la dimostrazione del nostro amore per Dio; come facciamo ad amare Dio che non vediamo, dice l’Apostolo Giovanni nelle sue Lettere, se non amiamo il prossimo che vediamo? Ma in tutto ciò, nell’insegnamento di Cristo e degli Apostoli, non c’è niente di “narcisista”, come dice Scalfari. Mi balza poi all’occhio, positivamente, una Sua bella frase: “I mistici…sono stati fondamentali. Una religione senza mistici è una filosofia.”; e, leggendola, mi viene in mente la Sua predicazione sulla Chiesa che non può diventare una ONG (e, anche qui, viene ripreso Benedetto XVI). E, leggendo dopo, mi viene anche da ridere e sorridere, quando, in mezzo ad un discorso riguardante la Grazia, a Scalfari che dice di non credere nell’anima, lei ribatte “Non ci crede, ma ce l’ha”! Quando però leggo la Sua descrizione di San Francesco (“Uomo che vuole fare, vuole costruire, fonda un Ordine e le sue regole, è itinerante e missionario, è poeta e profeta, è mistico, ha constatato su sé stesso il male e ne è uscito, ama la natura, gli animali, il filo d’erba del prato e gli uccelli che volano in cielo, ma soprattutto ama le persone, i bambini, i vecchi, le donne”), il Patrono del Suo Pontificato, e, per quello che può valere, uno dei miei Santi preferiti, rimango però perplesso: è vero, il Poverello fu e fece tutto questo, ma perché? Perché fece una grande esperienza di Dio, e amò e mise al centro Dio; perché non parlarne, Santità? Come si potrebbe, del resto, riuscire a spiegare in termini solamente umani e materiali un’esperienza immensa come quella di San Francesco d’Assisi? Leggo poi che l’obiettivo della Chiesa è “l’ascolto dei bisogni, dei desideri, delle delusioni, della disperazione, della speranza … ridare speranza ai giovani, aiutare i vecchi, aprire verso il futuro, diffondere l’amore.”; certo, un cristiano (anzi, un cattolico, perché noi cattolici apparteniamo, anche se non per i nostri meriti, o per il nostro vanto personale, alla Cattolica, l’unica Chiesa che Cristo ha fondato), deve ascoltare e aiutare il proprio prossimo, e diffondere attorno a sé l’amore (come diceva di sé Santa Teresina di Lisieux), ma l’amore di cui abbiamo fatto esperienza e che, per come possibile, dobbiamo comunicare anche al nostro prossimo (Charitas Christi urget nos, dice l’Apostolo Paolo sempre ai Corinzi), non è un semplice sentimento mondano, ma è l’Amore (Deus Charitas est, dice l’Apostolo Giovanni), è Cristo stesso! E Cristo, l’Uomo-Dio, è insieme Amore e Verità, ed Amore e Verità concorrono a formare la Carità, la virtù cristiana somma. E arriviamo ad un punto davvero dolente: “Il Vaticano II…decise di guardare al futuro con spirito moderno e di aprire alla cultura moderna.”; non citerò i Suoi grandi predecessori San Pio X o Pio XII, né parlerò del Concilio Ecumenico Vaticano II, che, in sé stesso o nella sua interpretazione, ha causato grandi cambiamenti (i più dei quali dannosi), e su cui ci sarebbe molto da discutere, ma, per come potrò, mi rivolgerò a Lei, Santità: Lei, giustamente, critica la “cultura dello scarto” (e come non ricordare gli appelli del Beato Giovanni Paolo II contro la “cultura della morte” e di Papa Benedetto XVI contro la “dittatura del relativismo”?); ma come si fa, poi, ad invocare un’“apertura alla cultura moderna”, che proprio sul relativismo, e sullo scarto dei più deboli (in primis i bambini e i poveri), è fondata? Come si fa a dialogare (ma dialogare e basta, o dialogare per riuscire a portare meglio Cristo?) con quel mondo moderno che vuole più di ogni altra cosa la riduzione della Chiesa Cattolica (la sola in cui si può trovare la Misericordia, che è Cristo stesso, come magnificamente e giustamente ribadito in una Sua udienza) ad una mera ONG? O anche, come si fa, giustamente, a stigmatizzare più avanti la disoccupazione giovanile e l’assenza di cure e compagnie per le persone anziane, quando lo stesso giornale cui ha rilasciato l’intervista è da sempre uno dei più grandi sponsor del liberismo economico (che tra le sue vittime ha in primis proprio noi giovani, sacrificati sull’altare del profitto senza limiti) e del relativismo etico, anche, tra le altre cose, in materia di eutanasia (le cui prime vittime, oltre ai malati, sono proprio gli anziani)? Un altro punto che mi ha colpito è stato quando Lei ha parlato di un “inizio di quella Chiesa con un’organizzazione non soltanto verticistica ma anche orizzontale”: Santità, ma una Chiesa non dovrebbe essere “verticale”, con lo sguardo verso le “cose di lassù”? Chi è che vuole una Chiesa “orizzontale”, Nostro Signore Gesù Cristo, che l’ha fondata, o i Suoi nemici (e se dobbiamo pregare per i nostri nemici e amarli, vuol dire, però, che ci sono), di ieri e di oggi? E, certamente, il temporalismo o il carrierismo sono sempre un rischio e un pericolo, da cui Nostro Signore ci mette in guardia, ma nella Chiesa c’è sempre stato solo questo aspetto? 

Mi è invece piaciuto il punto, quasi alla fine, in cui Lei sprona, anche con decisione, il Suo interlocutore e gli chiede in cosa crede, e gli dice che i valori umanistici (“onestà, ricerca, visione del bene comune”) non sono una risposta che si attende, e, alla sua risposta (“Io credo nell’Essere, cioè nel tessuto dal quale sorgono le forme, gli Enti”) gli risponde: “Io credo in Dio. Non in un Dio cattolico, non esiste un Dio cattolico, esiste Dio. E credo in Gesù Cristo, Sua Incarnazione. Gesù è il mio Maestro e il mio Pastore, ma Dio, il Padre, Abbà, è la Luce e il Creatore. Questo è il mio Essere.” Questa frase (“Non esiste un Dio cattolico”) ha suscitato alcune polemiche, ma, per come l’ho capita, proverò a spiegarla e interpretarla così: non esiste una concezione di Dio propria della Chiesa Cattolica (come fosse una qualsiasi filosofia), ma esiste un solo Dio, la Santissima Trinità, Padre, Figlio e Spirito Santo; Piergiorgio Odifreddi, noto ateista militante che scrive anche su “la Repubblica” ha rimproverato Lei, Santità, dopo la lettera che aveva mandato ad Eugenio Scalfari, di essere un semplice parroco e non un filosofo, e di aver inteso Dio solamente come Santissima Trinità e Fede solamente come virtù teologale: e io ammetto di essere contento di ciò! E, francamente, se è così, non ci vedo nessuna “apertura” o nessun “dialoghismo” o “teologismo” inutile, ma semplicemente quello che dovrebbe fare e dire sempre il Papa. Arrivati alla fine di questa intervista (ci sarà un seguito? Dalla frase finale del Papa sembra essere aperto uno spiraglio in tal senso), che cosa mi sento di dire? Non è stata la mostruosità che, complici anche alcune affermazioni allarmate di amici, avevo temuto, e anzi, nonostante certi riduzionismi propri dei media (e, in primis, di “la Repubblica” stessa), è molto più complessa di quanto avessi pensato; non posso dire che non mi sia piaciuta, ma non posso neanche dire che mi abbia colpito, o commosso, e mi chiedo quindi: perché? A che pro? Non critico tanto, come detto, la modalità (l’intervista, o, come faceva Benedetto XVI, la pubblicazione di libri, per quanto in entrambi i casi sia difficile collocare magisterialmente questi atti), e non giudico certo l’intenzione del Papa (come detto prima, il Vangelo va proclamato opportune et importune, e il dialogo con uno degli intellettuali più laicisti, fondatore e direttore emerito di uno dei quotidiani più laicisti d’Italia, può rientrare benissimo tra le cose importune!), quello che mi chiedo è: cosa rimarrà di questi atti, e come potranno essere usati con finalità evangelizzatrici? E non c’è il rischio di equivoci, fraintendimenti, strumentalizzazioni, confusioni? Strumentalizzazioni, da parte di “la Repubblica”, che, nei fatti, fece una guerra sistematica a Papa Benedetto XVI, e non si può certo definire una buona lettura cattolica o un’amica della Chiesa; equivoci e confusioni, da parte dei lettori medi del quotidiano (non certo filo-cattolici, anzi) e, soprattutto, da parte dei semplici fedeli. Ecco, io temo soprattutto questo: io, che ho comunque studiato e fatto certe letture, sono stato subito in grado, credo, di dare un’interpretazione e un significato ortodosso e cattolico alle affermazioni del Papa (ma, certo, non sono mancati né domande né punti problematici), ma chi non ha la mia, comunque non eccelsa, cultura, come farà? Credo che le vecchiette che dicono ogni giorno il Rosario, o i semplici fedeli che magari non sanno niente di “questione francescana” o di “ermeneutica della continuità”, siano infinitamente migliori di me, e molto più vicini al Paradiso di me, ma non è che magari questi atti, anche se fatti in buona fede, e complici anche le distorsioni e le malignità dei media, genereranno confusione in loro? Loro, i poveri e i piccoli (e nei Vangeli la povertà e la piccolezza non è solo materiale, ma anche spirituale), che sono il tesoro della Chiesa, e che sono amati particolarmente da Cristo. Come dicevo sopra, a me questo Papa piace: leggere, al mattino, la sintesi delle sue omelie e delle sue catechesi è una delle prime cose che faccio (e anche se non sono i lavori raffinati del Suo amato predecessore Benedetto XVI, che leggevo con immenso piacere e che mi mancano, mi piacciono e mi edificano); mi piace soprattutto quando parla della Divina Misericordia (e la Divina Misericordia è stata una delle prime devozioni che incontrai quando mi riavvicinai alla Chiesa, e da allora non l’ho più lasciata) e quando dà semplici ma efficaci consigli e spunti. L’ho difeso e lo difenderò da certi cattolici che, in realtà, mia opinione personale, sembrano più dei sepolcri imbiancati farisei o dei lugubri congregazionalisti puritani del XVII secolo, sempre pronti a sputare sentenze e a criticare, qualsiasi cosa dica o faccia, senza un minimo di prudenza o carità, gli stessi che, magari, sotto Benedetto XVI, erano più lealisti e papisti di lui. Io non conosco certo i piani della Divina Provvidenza (“I Miei pensieri non sono i vostri pensieri, le vostre Vie non sono le mie vie”, leggiamo nel Profeta Isaia), ma so bene che Dio è sovrano della storia e regge con saggezza il mondo e soprattutto la Sua Chiesa: forse, dopo Benedetto XVI, era venuto il momento di un Papa come Francesco; è certo ancora molto presto per giudicare il suo regno (sì, perché il Papa regna), ma credo che potrà essere un buon pontificato: molti si interessano a quanto dice e fa il Papa e ci sono anche dei riavvicinamenti alla Chiesa (certo, per entrambe le cose sarà solo il tempo a stabilire la verità e la solidità di ciò), anche amici non credenti o non praticanti si sono interessati a lui e lo ascoltano (e spero che le sue parole potranno fargli cambiare idea sulla Chiesa e sui Sacramenti e farli avvicinare e tornare, e prego perché ciò avvenga), e un caro amico che sta attraversando un periodo di difficoltà personale, e per cui prego sempre, mi ha detto che trova conforto ed edificazione dalle sue parole; per come posso, io cerco di vedere in ciò il tocco di Dio, e spero che sia così. Nel finale di questo mio pezzo torno a rivolgermi a Lei, Santità, da umile figlio della Chiesa, e, tra questi, da ultimo arrivato: faccia attenzione! Io credo che Lei voglia il bene della Chiesa, e con l’aiuto di Dio lo farà, ma confesso che, a volte, non ne capisco il modo. Purtroppo non tutti quelli che La vogliono sentire o incontrare La ascoltano perché è il Papa e perché vuole il bene della Chiesa, anzi, e purtroppo non sempre i Suoi gesti vengono capiti bene dai fedeli cattolici (di cui Lei è il Padre), o vengono rispettati per quello che sono dai nemici della Chiesa, che sanno essere non solo spietati persecutori, ma, anche, abili adulatori. Io La amo, L’ascolto e La difendo, come ho amato, ascoltato e difeso i Suoi predecessori e come amerò, ascolterò e difenderò i Suoi successori, e pregherò sempre per Lei (la mia prima Ave Maria, nelle mie preghiere, è sempre per il Papa, e la seconda per la Chiesa tutta), ma non posso tacitare la mia coscienza se vedo qualcosa che mi lascia perplesso o mi preoccupa, e non posso che rinnovare il mio augurio: faccia attenzione! Per come posso, io pregherò sempre per Lei. Questa intervista è uscita il 1° ottobre, il giorno in cui si festeggia la Protezione della Madre di Dio e il primo giorno del mese mariano di ottobre, dedicato al Santo Rosario: che la Madre di Dio, Madre della Chiesa e Regina degli Apostoli, preghi per Lei e custodisca la Chiesa tutta; e che San Francesco d’Assisi, Suo Patrono e Suo modello, nel mese che gli è dedicato, ripari sempre la Chiesa, come gli aveva chiesto Nostro Signore nella Chiesa di San Damiano! 

Oremus pro Pontifice nostro Francisco: Dominus conservet Eum, et vivificet Eum, et beatum faciat Eum in terra, e non tradat Eum in animam inimicorum Ejus.

Roberto De Albentiis

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