18-10-2013
Non c’è alcuna giustificazione per quello che è accaduto e sta accadendo riguardo ai funerali e alla sepoltura dell’ex capitano nazista Erich Priebke, morto venerdì scorso a Roma all’età di 100 anni. Per quanto grande sia stato il male fatto in vita, non c’è nulla che giustifichi la barbarie a cui stiamo assistendo. Le immagini dell’assalto al carro funebre sono allucinanti, non s’era mai visto niente del genere. Ma anche peggiore è stata la mancanza di una condanna netta, chiara da parte delle autorità e delle istituzioni per quanto avvenuto. No, anzi: insulti e pressioni sul prefetto di Roma, che aveva dato il via libera per il trasporto della salma ad Albano, reo di aver affermato – peraltro a norma di legge – che tutti i morti sono uguali. E’ lo spirito di Piazzale Loreto che ritorna.
E poi ancora ieri, la salma che nessuno vuole sparisce, non si sa più dove sia finita. Versioni diverse si rincorrono, nessun comunicato ufficiale (le autorità sembrano più preoccupate di fare comizi che di rappresentare le istituzioni), la danza macabra continua. E non riguarda solo l’Italia: quella salma non la vuole neanche il suo paese natale (la Germania), figurarsi quello di adozione (l’Argentina) dove è sepolta anche la moglie. Da una settimana stiamo vivendo un delirio di cui non si vede la fine. E’ molto probabile che ci sia qualcuno che su questa morte ci abbia anche speculato, contribuendo ad accendere gli animi, ma ciò non giustifica in alcun modo la vergogna a cui stiamo assistendo.
Ma qui ci interessa concentrare la riflessione sull’atteggiamento ufficiale della Chiesa e soprattutto sulle sue conseguenze. Abbiamo già scritto delle forti perplessità sulla decisione del Vicariato di Roma di non concedere i funerali religiosi a Erich Priebke, e la lettura forzata dell’articolo 1184 del Codice di Diritto canonico che prevede il rifiuto delle esequie religiose per coloro che, senza aver dato segni di pentimento prima della morte, siano “peccatori manifesti” le cui esequie religiose creerebbero “pubblico scandalo”. Il silenzio della Chiesa italiana dopo gli incidenti del funerale e l’intervista concessa dal vescovo di Albano, monsignor Marcello Semeraro, ai quotidiani Corriere della Sera e Avvenire, fanno nascere molte più domande di quante siano le risposte che si volevano dare.
Anzitutto la questione del pentimento, che da subito è stato negato anche se nessuno aveva verificato. Addirittura, un giornalista-teologo a cui piace fare il custode dell’ortodossia in una rubrica quotidiana su Avvenire per poi fare l’eterodosso su altre testate, scriveva martedì 15: «Come avranno fatto, i suoi «confessori», a dare l’assoluzione a uno che sempre, e fino alla morte, si è dichiarato non solo «non pentito», ma ha consentito a tanti di continuare a esaltare, in suo onore, quella che moralmente è stata una vendetta (nome della rappresaglia in termini non bellici, ma di morale umana e cristiana), e ha sempre ammesso di aver aggiunto di sua iniziativa il peso di 15 vittime, alcune personalmente uccise con un colpo alla testa? Complici, se è così, anche i confessori». Addirittura si arriva a condannare eventuali confessori.
Ma poi ieri è spuntato un video-intervista a Priebke, da cui si capisce che la situazione è un po’ più complessa e, per chi avesse voluto, conosciuta già da anni: intanto è chiaro che un pentimento non può essere escluso, ma soprattutto come si fa a sapere cosa accade negli ultimi istanti della vita? E’ anche per questo che in anni recenti la Chiesa ha deciso di concedere i funerali anche ai suicidi.
Per noi valgono le parole del teologo, cardinale, George Cottier: «Esiste la misericordia anche per i grandi peccatori» - ha detto in una intervista al Messaggero - perché‚ «per Dio siamo tutti peccatori. Spero solo che nell’ultimo istante della sua vita quest’uomo abbia avuto modo di ricredersi e pentirsi» ma «noi non sapremo mai se ciò è avvenuto, Dio sa e solo così Dio può perdonare. (…) Se una persona muore compiendo un atto criminale particolarmente nefando allora ci si può porre l’interrogativo se accordargli o meno il funerale» ma «in questo caso si tratta di crimini orrendi e gravissimi ma avvenuti lontano nel tempo. Tutti gli uomini hanno bisogno delle preghiere. (…) Ovviamente in casi simili si prendono però alcune precauzioni, come quella di evitare una sepoltura solenne, garantendo magari un rito semplicissimo, sobrio, senza creare scandalo tra i fedeli».
Sono parole in cui, senza nascondere o minimizzare il male compiuto, si affida a Dio il giudizio mentre a noi resta quell’ultimo moto di pietà verso un uomo per la cui salvezza anche è morto Gesù.
Ciò che appare maggiormente gravido di conseguenze è però il seguito, ovvero la questione del “peccato manifesto” e del “pubblico scandalo”. Monsignor Semeraro ha affermato e ripetuto che i disordini e le violenze occorse al funerale “avvalorano” la decisione di proibire i funerali religiosi proprio in virtù del pubblico scandalo dei fedeli, che potrebbero vedere in questo anche un avallo di “un comportamento deplorevole”. Essendo stata riportata da due quotidiani si deve ritenere che questo corrisponde davvero al pensiero di mons. Semeraro, il che però vuol dire che il “pubblico scandalo” viene fatto coincidere con i problemi di ordine pubblico. Anche perché pensare che un funerale in forma privata a Priebke possa essere interpretato come un assenso della Chiesa alle violenze naziste è francamente ridicolo, almeno per chi usa un minimo di ragione.
Lasciando per un momento da parte le vicende di Priebke, le parole di mons. Semeraro implicano delle conseguenze molto serie, vale a dire che alla fine è la piazza – o i media o qualche gruppo potente - a decidere cosa può o non può fare la Chiesa. Sulla Chiesa ci sono sempre state forti pressioni esterne, ma finora ha sempre difeso la sua libertà appellandosi a un Giudice superiore a cui rendere conto. Se nelle decisioni per la vita della Chiesa e per l’amministrazione dei sacramenti prevalgono considerazioni umane, ideologiche, di schieramento, allora la Chiesa perde la sua libertà, che è strettamente collegata alla verità. Sta qui il grande pericolo che emerge dalle posizioni espresse in questi giorni.
Anche perché a proposito di “peccato manifesto” e “scandalo dei fedeli” sovviene un’altra storia recente. Un sacerdote, sempre ribelle, oltre a sparare a zero contro la Chiesa, il Papa e i vescovi, nel suo apostolato accompagna una prostituta ad abortire. Un peccato molto grave perché oltre al suo personale induce un’altra persona a peccare e tanti altri a ritenere che questo sia un gesto corretto. Ma la cosa non rimane lì, quel prete se ne vanta pubblicamente, lo scrive e lo ripete orgoglioso in tv. Possiamo parlare di peccato manifesto? Negarlo sarebbe un po’ bizzarro. Ma questa non è la sola stravaganza del prete in questione; si ricorda ad esempio un video in cui, pochi mesi prima di morire, al termine della messa celebrata nel giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre, si mette a cantare Bandiera Rossa in chiesa.
I suoi fedeli sono entusiasti, tanti altri che guardano quelle scene su You Tube sono scandalizzati perché quel canto politico è espressione di un’ideologia che è costata i lavori forzati, la prigione, la tortura e la vita a milioni di cristiani in tutto il mondo. Finché è stato in vita, quel prete (e il fatto di esserlo non è cosa di poco conto) non solo non si è mai pentito ma non ha mai perso occasione per creare ulteriore scandalo. Ciò non toglie che anche lui abbia potuto pentirsi negli ultimi istanti della sua vita e quindi riconciliarsi con Dio. Ma i funerali non sono stati celebrati in modo sobrio e senza troppo clamore: sono stati solenni, addirittura celebrati dal suo arcivescovo – che per coincidenza è anche presidente della Conferenza episcopale italiana – che lo ha addirittura indicato come modello di vita sacerdotale.
Lo scandalo dei fedeli, tantissimi fedeli - non solo i tanto disprezzati tradizionalisti – è stato grande (“Vuol dire allora che accompagnare qualcuno ad abortire è giusto?”), ma a loro nessuno si è sentito di dare una spiegazione o un’attenzione. E’ prevalsa invece la pressione esterna alla Chiesa, di un’opinione pubblica creata e che esiste solo nei mass media e per i quali quel prete era una specie di santo.
Ecco, la cosa grave è che in un caso e nell’altro si dà l’impressione di una Chiesa appiattita sulle posizioni della cultura dominante, incapace di esprimere quella vera misericordia verso gli uomini che, come ha ricordato papa Francesco, non coincide con il lassismo e la complicità con il peccato, ma con il fare una vera compagnia agli uomini, a ogni uomo, per portarlo a Cristo. Compreso il peggior criminale apparso sulla faccia della terra.
E poi ancora ieri, la salma che nessuno vuole sparisce, non si sa più dove sia finita. Versioni diverse si rincorrono, nessun comunicato ufficiale (le autorità sembrano più preoccupate di fare comizi che di rappresentare le istituzioni), la danza macabra continua. E non riguarda solo l’Italia: quella salma non la vuole neanche il suo paese natale (la Germania), figurarsi quello di adozione (l’Argentina) dove è sepolta anche la moglie. Da una settimana stiamo vivendo un delirio di cui non si vede la fine. E’ molto probabile che ci sia qualcuno che su questa morte ci abbia anche speculato, contribuendo ad accendere gli animi, ma ciò non giustifica in alcun modo la vergogna a cui stiamo assistendo.
Ma qui ci interessa concentrare la riflessione sull’atteggiamento ufficiale della Chiesa e soprattutto sulle sue conseguenze. Abbiamo già scritto delle forti perplessità sulla decisione del Vicariato di Roma di non concedere i funerali religiosi a Erich Priebke, e la lettura forzata dell’articolo 1184 del Codice di Diritto canonico che prevede il rifiuto delle esequie religiose per coloro che, senza aver dato segni di pentimento prima della morte, siano “peccatori manifesti” le cui esequie religiose creerebbero “pubblico scandalo”. Il silenzio della Chiesa italiana dopo gli incidenti del funerale e l’intervista concessa dal vescovo di Albano, monsignor Marcello Semeraro, ai quotidiani Corriere della Sera e Avvenire, fanno nascere molte più domande di quante siano le risposte che si volevano dare.
Anzitutto la questione del pentimento, che da subito è stato negato anche se nessuno aveva verificato. Addirittura, un giornalista-teologo a cui piace fare il custode dell’ortodossia in una rubrica quotidiana su Avvenire per poi fare l’eterodosso su altre testate, scriveva martedì 15: «Come avranno fatto, i suoi «confessori», a dare l’assoluzione a uno che sempre, e fino alla morte, si è dichiarato non solo «non pentito», ma ha consentito a tanti di continuare a esaltare, in suo onore, quella che moralmente è stata una vendetta (nome della rappresaglia in termini non bellici, ma di morale umana e cristiana), e ha sempre ammesso di aver aggiunto di sua iniziativa il peso di 15 vittime, alcune personalmente uccise con un colpo alla testa? Complici, se è così, anche i confessori». Addirittura si arriva a condannare eventuali confessori.
Ma poi ieri è spuntato un video-intervista a Priebke, da cui si capisce che la situazione è un po’ più complessa e, per chi avesse voluto, conosciuta già da anni: intanto è chiaro che un pentimento non può essere escluso, ma soprattutto come si fa a sapere cosa accade negli ultimi istanti della vita? E’ anche per questo che in anni recenti la Chiesa ha deciso di concedere i funerali anche ai suicidi.
Per noi valgono le parole del teologo, cardinale, George Cottier: «Esiste la misericordia anche per i grandi peccatori» - ha detto in una intervista al Messaggero - perché‚ «per Dio siamo tutti peccatori. Spero solo che nell’ultimo istante della sua vita quest’uomo abbia avuto modo di ricredersi e pentirsi» ma «noi non sapremo mai se ciò è avvenuto, Dio sa e solo così Dio può perdonare. (…) Se una persona muore compiendo un atto criminale particolarmente nefando allora ci si può porre l’interrogativo se accordargli o meno il funerale» ma «in questo caso si tratta di crimini orrendi e gravissimi ma avvenuti lontano nel tempo. Tutti gli uomini hanno bisogno delle preghiere. (…) Ovviamente in casi simili si prendono però alcune precauzioni, come quella di evitare una sepoltura solenne, garantendo magari un rito semplicissimo, sobrio, senza creare scandalo tra i fedeli».
Sono parole in cui, senza nascondere o minimizzare il male compiuto, si affida a Dio il giudizio mentre a noi resta quell’ultimo moto di pietà verso un uomo per la cui salvezza anche è morto Gesù.
Ciò che appare maggiormente gravido di conseguenze è però il seguito, ovvero la questione del “peccato manifesto” e del “pubblico scandalo”. Monsignor Semeraro ha affermato e ripetuto che i disordini e le violenze occorse al funerale “avvalorano” la decisione di proibire i funerali religiosi proprio in virtù del pubblico scandalo dei fedeli, che potrebbero vedere in questo anche un avallo di “un comportamento deplorevole”. Essendo stata riportata da due quotidiani si deve ritenere che questo corrisponde davvero al pensiero di mons. Semeraro, il che però vuol dire che il “pubblico scandalo” viene fatto coincidere con i problemi di ordine pubblico. Anche perché pensare che un funerale in forma privata a Priebke possa essere interpretato come un assenso della Chiesa alle violenze naziste è francamente ridicolo, almeno per chi usa un minimo di ragione.
Lasciando per un momento da parte le vicende di Priebke, le parole di mons. Semeraro implicano delle conseguenze molto serie, vale a dire che alla fine è la piazza – o i media o qualche gruppo potente - a decidere cosa può o non può fare la Chiesa. Sulla Chiesa ci sono sempre state forti pressioni esterne, ma finora ha sempre difeso la sua libertà appellandosi a un Giudice superiore a cui rendere conto. Se nelle decisioni per la vita della Chiesa e per l’amministrazione dei sacramenti prevalgono considerazioni umane, ideologiche, di schieramento, allora la Chiesa perde la sua libertà, che è strettamente collegata alla verità. Sta qui il grande pericolo che emerge dalle posizioni espresse in questi giorni.
Anche perché a proposito di “peccato manifesto” e “scandalo dei fedeli” sovviene un’altra storia recente. Un sacerdote, sempre ribelle, oltre a sparare a zero contro la Chiesa, il Papa e i vescovi, nel suo apostolato accompagna una prostituta ad abortire. Un peccato molto grave perché oltre al suo personale induce un’altra persona a peccare e tanti altri a ritenere che questo sia un gesto corretto. Ma la cosa non rimane lì, quel prete se ne vanta pubblicamente, lo scrive e lo ripete orgoglioso in tv. Possiamo parlare di peccato manifesto? Negarlo sarebbe un po’ bizzarro. Ma questa non è la sola stravaganza del prete in questione; si ricorda ad esempio un video in cui, pochi mesi prima di morire, al termine della messa celebrata nel giorno dell’Immacolata, l’8 dicembre, si mette a cantare Bandiera Rossa in chiesa.
I suoi fedeli sono entusiasti, tanti altri che guardano quelle scene su You Tube sono scandalizzati perché quel canto politico è espressione di un’ideologia che è costata i lavori forzati, la prigione, la tortura e la vita a milioni di cristiani in tutto il mondo. Finché è stato in vita, quel prete (e il fatto di esserlo non è cosa di poco conto) non solo non si è mai pentito ma non ha mai perso occasione per creare ulteriore scandalo. Ciò non toglie che anche lui abbia potuto pentirsi negli ultimi istanti della sua vita e quindi riconciliarsi con Dio. Ma i funerali non sono stati celebrati in modo sobrio e senza troppo clamore: sono stati solenni, addirittura celebrati dal suo arcivescovo – che per coincidenza è anche presidente della Conferenza episcopale italiana – che lo ha addirittura indicato come modello di vita sacerdotale.
Lo scandalo dei fedeli, tantissimi fedeli - non solo i tanto disprezzati tradizionalisti – è stato grande (“Vuol dire allora che accompagnare qualcuno ad abortire è giusto?”), ma a loro nessuno si è sentito di dare una spiegazione o un’attenzione. E’ prevalsa invece la pressione esterna alla Chiesa, di un’opinione pubblica creata e che esiste solo nei mass media e per i quali quel prete era una specie di santo.
Ecco, la cosa grave è che in un caso e nell’altro si dà l’impressione di una Chiesa appiattita sulle posizioni della cultura dominante, incapace di esprimere quella vera misericordia verso gli uomini che, come ha ricordato papa Francesco, non coincide con il lassismo e la complicità con il peccato, ma con il fare una vera compagnia agli uomini, a ogni uomo, per portarlo a Cristo. Compreso il peggior criminale apparso sulla faccia della terra.
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