«Maestro, non t’importa
che moriamo?»
San Michele Arcangelo
Domenica 29 settembre 2013
Carissimi confratelli,
In questi ultimi tempi, avendo sentito diversi di voi che mi hanno espresso le loro preoccupazioni per la situazione attuale della Chiesa, non posso non scrivervi per incoraggiarvi.
Chi di noi non è preoccupato per quello che vediamo e sentiamo. Sembra che adesso un certo linguaggio non sia più conosciuto o forse implicitamente condannato: salvezza delle anime, santificazione, grazia, vita interiore, Tradizione, Magistero perenne, fede …. Parole strettamente cattoliche. Le preoccupazioni sono altre: giustizia sociale, ascolto, dialogo, poveri, accoglienza, sfide…
Molti si sentono come estranei o esclusi nel loro ambiente ecclesiale. Non sanno che cosa fare. Non sanno a chi fare riferimento. Non si fidano di nessuno e spesso hanno ragione.
Che cosa fare?
Le risposte a queste difficoltà le troviamo nel Magistero della Chiesa, nell’esempio dei santi e anche nel nostro sacerdozio. Qual è il primo dovere del sacerdote? L’enciclica “Haerent animo” di san Pio X lo dice bene. Breve enciclica ma dove si trova tutto l’essenziale. Troviamo anche i doveri del sacerdote nel codice di diritto canonico, soprattutto nel pio-benedettino: S. Messa, breviario, meditazione, rosario, visite al SS. Sacramento, lettura spirituale, confessione regolare, esercizi spirituale.
Carissimi confratelli, rispondendo alla chiamata ci siamo messi al servizio del Signore e della Chiesa e non degli uomini di Chiesa, o meglio degli uomini di Chiesa ma in quanto sono fedeli alla Chiesa voluta dal Suo Fondatore Nostro Signore Gesù Cristo. Siamo anche al servizio delle anime e tutto il nostro apostolato deve ruotare soltanto quello che riguarda la Salus Animarum, che sia direttamente o indirettamente. Il resto non è compito nostro.
Il nostro apostolato è impossibile senza una vera vita di preghiera e interiore. La conversione e la santificazione dell’anima sono effetti della grazia e non delle nostre capacità o qualità umane. “E’ la vita sacerdotale, la vita interiore, la vita spirituale dei sacerdoti che prevale sull’apostolato. E’ inutile, se non c’è vita interiore, se non ci sono più risorse spirituali di fare dell’apostolato. L’apostolato sarà vano, l’apostolato sarà nullo. Si predicherà, si vedrà della gente, si amministreranno i sacramenti ecc. … non ci sarà più questa grazia particolare dell’apostolato, del sacerdote che prega, del sacerdote fervente . … La vita interiore prevale sull’apostolato. E’ evidente. “Il vero apostolato è frutto d’un felice equilibrio fra l’apostolato spirituale (vita di preghiera) e la vita d’apostolato esteriore”.
Tutti fondatori di congregazioni si sono riferiti a quelli che gli apostoli facevano: Nos vero orationi, et ministerio verbi instantes erimus. “Noi ci occupiamo indefessamente della preghiera e della predicazione” Att. 6,4.
Il pericolo per ogni sacerdote è di farsi prendere dall’apostolato esteriore (anche con tutte le buone intenzioni) a discapito della vita interiore. Si chiama attivismo, e fu condannato dal Papa Leone XIII con la sua enciclica sull’ "americanismo” e anche fu ripreso da san Pio X. Oggi, s’insegna in molti seminari che la generosità nell’apostolato è il primo mezzo di santificazione per il sacerdote. D’altra parte lo stesso canone 276 dopo aver ricordato che i chierici devono tendere alla perfezione dice “anzitutto adempiano fedelmente e indefessamente i doveri del ministero sacerdotale”, poi e soltanto dopo il canone parla della vita spirituale. E in questo, il Codice di 1983 riprende quello che il Concilio aveva detto nel Decreto Presbytorum ordinis n° 12.
Per questo la lettura o rilettura de “L’anima di ogni apostolato” è indispensabile per capire come la vita spirituale deve prevalere nella nostra vita sacerdotale. Questo libro di dom Chautard ha fatto un bene immenso ai sacerdoti e non solo, nel secolo passato, e può continuare a farlo.
Quando la vita interiore è al primo posto nella vita sacerdotale, non c’è più piccola o grande parrocchia, incarichi più o meno prestigiosi. Un vero sacerdote può sempre fare del bene dovunque sia. Mi sembra che è dom Chautard che ha scritto che ci sono due tipi di sacerdoti: “ quelli che corrono dietro le anime e quelli che attirano le anime”. Che lezione!
Abbiamo l’esempio del santo curato d’Ars. E’ sempre di grande aiuto di leggere o rileggere la sua vita scritta dal Trochu. Il nostro ideale dovrebbe essere di tendere a essere dei nuovi parroci d’Ars.
La crisi è troppo grave per non subirne delle conseguenze nella nostra vita sacerdotale. Solo una forte vita spirituale ci può aiutare a conservare il nostro ideale.
Alcuni potranno pensare tutto questo è bello ma quello che è importante oggi è la difesa della fede, del dogma, della dottrina perenne della Chiesa. Questa battaglia dottrinale per la difesa della fede è fondamentale e indispensabile, ma si può fare di un modo corretto solo se c’è una vera vita spirituale, se no c’è il rischio di cadere in eccessi, di perdere la speranza, di vedere tutto in un modo troppo umano, di mancare di carità e di rispetto, di ferire, di non vedere la realtà in modo oggettivo, di cadere in uno zelo amaro … Solo una grande umiltà e una profonda vita interiore ci può mantenere nel giusto equilibrio.
Un altro dato fondamentale è di accettare e meditare sulla verità di fede che la Chiesa è santa. Fa parte del nostro Credo. E questo malgrado le nostre debolezze e gli scandali che affliggono la Chiesa di Gesù Cristo. Ci sono giorni in cui l’idiozia o la cattiveria dei membri della Chiesa ci fa piangere e ci porterebbe allo sconforto. E ci chiediamo come questo sia possibile nella Chiesa e fra i discepoli di Gesù Cristo. Chi non ha sofferto dai farisei che accompagnano tutta la vita della Chiesa. Se nel più profondo della sofferenza non vogliamo naufragare, bisogna rinnovare l’atto di fede nella “Chiesa Santa”.
Dobbiamo essere fieri della Chiesa, anche avendo il coraggio di vedere che il male non cesserà mai fra i suoi figli, ma nello stesso tempo, la Chiesa non cesserà di realizzarsi nei santi e da essa sola procede ogni santità.
“La Chiesa è sempre abbastanza santa per suscitare dei santi e per assumerli. Qualunqe sia la miseria dei suoi membri, un battezzato – scusate se lo dico – non avrai mai bisogno di lasciare la Chiesa per divenire santo, ma soprattutto avrà la santità in quanto saprà vivere nella Chiesa e da essa. La Chiesa non è sempre abbastanza santa da cominciare subito certe riforme urgenti, capita che tal riformatore non trovi il Papa che meriterebbe. Pensate a santa Caterina e al Papa Urbano VI. Ma anche in questo caso la Chiesa è abbastanza santa da dare a tutti sui figli che sono di buona volontà, di poter vivere secondo il cuore di Dio” (Padre Calmel, Sur la route d’éxil, les béatitudes, p.100. N.E.L., 1960).
Proponiamo un’ultima considerazione a proposito della nostra vita sacerdotale in questi tempi bui: la presenza della croce.
“ La croce nella vita attiva o apostolica si presenta spesso, come san Paolo spiega nella seconda lettera ai Corinzi: contraddizione dal di fuori, tradimento degli amici o fratelli, ottusità di compagni da trascinare, strazio degli scandali che rinascono sempre, stanchezza fisica, infine – peggio di tutto – le querele più o meno sinistre e più o meno intime di Satana e dei suoi demoni. Tale sono le croci che san Paolo ci descrive nell’undicesimo capitolo della seconda lettera ai Corinti. Quello che stupisce di più, è il tono con il quale racconta le sue miserie e pene… come se dicesse: è bene così; non vi lasciate abbattere per questo, continuate a resistere. Parla delle sue croci con il tono sicuro di un soldato della Chiesa militante. Non è questione di capitolare, di dare le dimissioni, di rifugiarsi in qualche quietudine soprannaturale… Anche quando doveva affrontare i pericoli del mare, i pericoli dei falsi profeti, gli scandali infiniti e l’angelo di Dio che lo schiaffeggiava, amava troppo quelli di Corinto, Efeso, Tessalonica e Roma per dimettersi dell’opera apostolica e rifugiarsi in un’orazione illusoria, comoda e pigra” (idem, p. 26-27).
Il sacerdote è un “Alter Christus” e non esiste Gesù Cristo senza la croce. La Croce è il suo stendardo. Ha vinto il mondo, il demonio, il peccato e la morte con la croce. Non esiste una vita veramente sacerdotale senza la croce. Quando il sacerdote si sente schiacciare della croce, si deve dire che il Signore gli vuole bene. Non c’è apostolato fecondo senza la croce. “In verità, in verità vi dico: se il chicco di frumento non cade in terra e vi muore, resta solo; se invece muore, porta molto frutto” (Giov. 12, 24).
Il mistero della croce è anche il mistero del sacerdozio. Mistero che possiamo approfondire ogni giorno con la S. Messa. Dobbiamo vivere della S. Messa affinché la nostra vita divenga una Messa vissuta, cioè un sacrificio.
Carissimi confratelli, spero che queste considerazioni vi aiuteranno a vivere sempre meglio il nostro sacerdozio anche in questo tempo in cui la Chiesa è in piena tempesta.
Restiamo uniti nella preghiera specialmente in questo mese del Santo Rosario. Chi ama e resta fedele alla Madonna, resta fedele al Suo Figlio Nostro Signore Gesù Cristo e alla Chiesa.
d. E.
Nessun commento:
Posta un commento