sabato 10 dicembre 2011

l'autogol di Mons. Fernando Ocáriz


Il vero volto
dell'ermeneutica della continuità

L'insegnamento tradizionale va meglio capito
alla luce del Vaticano II
 
di Belvecchio




Nel corso degli ultimi due anni, quando venivano diffuse delle indiscrezioni sui colloqui dottrinali fra la Santa Sede e la Fraternità San Pio X, del tipo: “si tratta di un discorso tra sordi”, tanti benpensanti si sbracciavano dicendo che questi “lefebvriani” erano incontentabili. Adesso che Mons. Fellay, il 28 novembre scorso, ha fatto sapere che sul preambolo dottrinale chiederà chiarimenti a Roma e valuterà dalle risposte se c’è la possibilità di modificarlo per poterlo accettare, gli stessi pensano che si stia scherzando col fuoco.
Non si può non aderire alle offerte generose venute da Roma per volontà di Benedetto XVI – dicono costoro.

Ed ecco che giunge tempestivamente una prima risposta da Roma, per bocca di uno dei quattro teologi della Congregazione per la Dottrina della Fede che hanno partecipato ai famosi colloqui, il quale mette nero su bianco, su L’Osservatore Romano, che un vero cattolico, per capire meglio duemila anni di dottrina cattolica deve rivederla alla luce del Vaticano II.

Sembra una barzelletta, ma è esattamente quello che ha scritto Mons. Fernando Ocáriz, Vicario Generale dell’Opus Dei, in un articolo pubblicato sul giornale del Vaticano del 2 dicembre 2011: Sull’adesione al concilio Vaticano II.

In sostanza, Mons. Ocáriz sostiene che i Padri conciliari non poterono non essere assistiti dallo Spirito Santo, quindi i documenti del Vaticano II sono Magistero vero e autentico, e siccome il Magistero, per la luce dello Spirito Santo, non può che essere sempre lo stesso, da duemila anni ad oggi, le dottrine del Vaticano II sono in continuità con la Tradizione. Discorso chiuso!
La cosa è così lapalissiana che appare evidente che ogni altro ragionamento può solo essere o superfluo o in mala fede.

Disgrazia vuole, però, che lo stesso Mons. Ocáriz introduca il suo articolo con una giustificazione che non giustifica, ma complica sul nascere il suo ragionamento: «non è superfluo ricordarla [la natura dell’adesione intellettuale dovuta agli insegnamenti del Concilio] … tenuto conto della persistenza di perplessità manifestatesi, anche nell’opinione pubblica, riguardo alla continuità di alcuni insegnamenti conciliari rispetto ai precedenti insegnamenti del magistero della Chiesa».
Tale premessa è così pregnante che il resto dell’articolo perde tutta la sua importanza se prima non si chiarisce perché a 50 anni dalla convocazione del Vaticano II persista la perplessità nei fedeli cattolici, non sul significato di un termine o di una frase, ma sulla continuità tra il Vaticano II e il precedente Magistero della Chiesa.
Prima ancora di spiegarci ulteriormente come i cattolici debbano aderire al Vaticano II, Mons. Ocáriz avrebbe dovuto spiegarci perché ancora non vi aderiscano nonostante si tratti, come dice lui, di “dottrina ben nota e sulla quale si dispone di abbondante bibliografia”; avrebbe dovuto spiegarci perché dopo quasi mezzo secolo dalla conclusione del Concilio Vaticano II e dopo quattro Romani Pontefici, di cui uno talmente illuminato da meritare la gloria degli altari, e l’ultimo, divenuto papa dopo essere stato per 24 anni il custode della Dottrina della Fede… avrebbe dovuto spiegarci perché i cattolici continuino a nutrire perplessità circa gli insegnamenti di questo Concilio, tante e tali perplessità che lui stesso sente il bisogno di ribadire ciò che dovrebbe essere ormai ovvio e che invece, in tutta evidenza, non lo è affatto. E questo nonostante in questi 50 anni siano stati diffusi dalle congregazioni vaticane centinaia di documenti chiarificatori, dai vescovi migliaia di lettere pastorali, dai giornali cattolici diecine di migliaia di note e articoli, e questo nonostante non siamo più ai tempi di Nicea (325) e nemmeno ai tempi del Vaticano I (1860), per citare solo il primo e il penultimo Concilio, ma siamo nel terzo millennio e in questi anni i fedeli hanno avuto modo di leggere e rileggere e approfondire… come mai sono ancora perplessi?
Mons. Ocáriz questo non lo spiega, anzi non affronta neanche l’argomento e temiamo che, rinchiuso teologicamente nel suo palazzo lastricato di documenti del Vaticano II, non si sia neanche posto la domanda.

Ma in definitiva, cos’è che ribadisce Mons. Ocáriz?

Innanzitutto che il Concilio Vaticano II è dottrinale e “nei documenti conciliari … ci sono molti insegnamenti di natura prettamente dottrinale”.
Peccato che è da 50 anni che si continua a ripetere che il Vaticano II si volle pastorale, perché, come disse Giovanni XXIII all’apertura, «Il ventunesimo Concilio …vuole trasmettere integra, non sminuita, non distorta, la dottrina cattolica, che, seppure tra difficoltà e controversie, è divenuta patrimonio comune degli uomini. … il nostro lavoro non consiste … nel discutere alcuni dei principali temi della dottrina ecclesiastica, e così richiamare più dettagliatamente quello che i Padri e i teologi antichi e moderni hanno insegnato e che ovviamente supponiamo non essere da voi ignorato, ma impresso nelle vostre menti. Per intavolare soltanto simili discussioni non era necessario indire un Concilio Ecumenico» (Discorso Gaudet mater Ecclesia, 11 ottobre 1962).
Adesso veniamo a sapere, peraltro senza la minima sorpresa da parte nostra, che il Vaticano II è stato un concilio dottrinale e non poteva non essere dottrinale.
Mons. Ocáriz ci spiega finalmente che quello che continuiamo a ripetere da 45 anni è sostanzialmente vero: il Vaticano II si volle pastorale, ma divenne dottrinale ed elaborò dei documenti che hanno introdotto nuovi elementi di dottrina, molti dei quali sono in contrasto con quanto insegnato dal Magistero nei duemila anni precedenti.
Che poi si dica, come fa il Monsignore, che anche questo è Magistero autentico che richiede l’assenso dei fedeli nonostante il contrasto col Magistero precedente, è cosa che lasciamo alla sua coscienza e alla sua intelligenza.

Lungo questa linea, Mons. Ocáriz precisa: «Il concilio Vaticano II non definì alcun dogma, nel senso che non propose mediante atto definitivo alcuna dottrina. Tuttavia il fatto che un atto del magistero della Chiesa non sia esercitato mediante il carisma dell’infallibilità non significa che esso possa essere considerato “fallibile” nel senso che trasmetta una “dottrina provvisoria” oppure “autorevoli opinioni”. Ogni espressione di magistero autentico va recepita come è veramente: un insegnamento dato da Pastori che, nella successione apostolica, parlano con il “carisma della verità”, “rivestiti dell’autorità di Cristo”, “alla luce dello Spirito Santo”».
Con questo ragionamento, Mons. Ocáriz sembra compiacersi della ripetizione di cose ovvie. Quello che lui dice è ineccepibile, ma non significa affatto che i contrasti col Magistero precedente non vi siano improvvisamente più, né che sia scomparso il persistere della perplessità dei fedeli su questo punto.
Delle due l’una: o questa assistenza soprannaturale non ha prodotto alcun buon frutto per la durezza dei cuori e delle menti dei Padri conciliari, o 50 anni di perplessità dei fedeli riguardo alla continuità tra Vaticano II e insegnamenti precedenti, sono una mera fisima, inaccettabile e forse dovuta alla incapacità di comprensione dei fedeli o magari alla loro cinquantennale mala fede.A noi sembra che un teologo veramente preoccupato della salvezza delle anime dei fedeli, prima ancora di dare lezioni di teologia, peraltro arcinota, si dovrebbe preoccupare del malessere intellettuale e spirituale che il Vaticano II ha prodotto nelle menti e nei cuori dei fedeli; altrimenti corre il rischio di apparire un professore in cattedra che sa tutto della sua materia e niente degli allievi di cui ha la cura e dell’arte dell’insegnamento… un cattivo maestro, insomma.

A Mons. Ocáriz sfugge il fatto che la colpa non è dei fedeli perché non conoscono la teologia dell’assenso, ma è del Vaticano II che produce rigetto e non permette alcun assenso. La colpa non sta nell’ignoranza dei fedeli, al contrario: è grazie alla loro conoscenza che da 50 anni essi sono obbligati a considerare il Vaticano II in rottura col Magistero precedente.

Questa adesione, egli precisa, è quella di fede teologale per tutte quelle cose che il Vaticano II ha insegnato ripetendo gli insegnamenti proposti da precedenti interventi magisteriali. Il che ci sembra ancora ovvio, tanto più che i fedeli, quelle cose non solo le conoscevano e le conoscono, ma ad esse aderivano e aderiscono interamente, tanto da rimanere perplessi di fronte alle altre cose insegnate dal Vaticano II.
Ma attenzione, dice Monsignore, «Gli altri insegnamenti dottrinali del Concilio richiedono dai fedeli il grado di adesione denominato «ossequio religioso della volontà e dell’intelletto». Un assenso «religioso», quindi non fondato su motivazioni puramente razionali. Tale adesione non si configura come un atto di fede, quanto piuttosto di obbedienza, non semplicemente disciplinare, bensì radicata nella fiducia nell’assistenza divina al magistero, e perciò “nella logica e sotto la spinta dell’obbedienza della fede”».
Qui incominciamo a confonderci, perché non vediamo la consequenzialità logica con quanto detto prima e non comprendiamo come si possa aderire con “assenso religioso” e con un “atto di fiduciosa ubbidienza” a insegnamenti che contrastano con quelli a cui si aderisce con fede teologale. Se questo fosse possibile e doveroso, come afferma Mons. Ocáriz, bisognerebbe ammettere che “l’assistenza divina del magistero” induca quest’ultimo a proporre a credere ai fedeli oggi una cosa e domani il suo contrario, e i fedeli, da parte loro, nonostante tali contraddizioni, sarebbero obbligati ad aderirvi con fiduciosa obbedienza.
Ora, per quanto possa apparire irriverente, ci permettiamo di far notare che un tale ragionamento, prima ancora di essere anticattolico, è logicamente del tutto insostenibile, a meno che non si abbia una concezione della fede cattolica pari a quella della persuasione occulta della moderna pubblicità ingannevole dei prodotti commerciali.

- Fidati, fratello, perché io sono il Vescovo!
- Ma, Eccellenza, fino ad oggi si è sempre creduto nel contrario…
- Non dubitare, fratello, quello che a te sembra contrario, in effetti non lo è… non dimenticare che la tua obbedienza non dev’essere razionale, ma radicata nella fiducia che io sono divinamente assistito.
- Ma, Eccellenza, come faccio a credere che il Signore voglia insegnare a me l’esatto opposto di quello che ha insegnato a mio padre?
- Carissimo fratello, è l’obbedienza della fede che te lo impone!
- Quindi, Eccellenza, il Signore insegna sempre cose diverse e contrastanti!
- Ma no, fratello, l’obbedienza nella fede ti impone anche di credere che quello che a te sembra contrastante in verità non lo è, se non altro perché te lo dico io… che sono il vescovo.
- Quindi, Eccellenza, gli eretici e i senza Dio sono contemporaneamente diletti fratelli in Cristo, tali che essere cattolici fedeli o anticattolici infedeli non faccia alcuna differenza.
- Caro fratello, ora sì che hai capito… nulla è impossibile alla misericordia di Dio.
- Amen.


Questo per quanto riguarda i documenti dottrinali. Quelli invece non propriamente dottrinali – dice Mons. Ocáriz – “vanno accolti con rispetto e gratitudine”. Non si capisce bene perché. Ma forse perché non si può che essere grati delle novità, soprattutto se contrarie all’insegnamento e alla pratica millenarie della Chiesa.

Nonostante tutto questo, Mons. Ocáriz concede che si possa ritenere che i documenti del Vaticano II non siano in “continuità col magistero precedente” e siano “incompatibili con la tradizione”, e ovviamente lo concede proprio perché dopo 50 anni anche i ciechi vedono che è tutto un pasticcio. Ma lo concede anche per poter meglio affermare un’altra impossibilità logica.
«Di fronte alle difficoltà che possono trovarsi per capire la continuità di alcuni insegnamenti conciliari con la tradizione, l’atteggiamento cattolico, tenuto conto dell’unità del magistero, è quello di cercare un’interpretazione unitaria, nella quale i testi del concilio Vaticano II e i documenti magisteriali precedenti s’illuminino a vicenda».
Detto in parole povere, Mons. Ocáriz afferma due cose diverse, una implicita: la limitata e difettosa capacità di comprensione dei fedeli, e una esplicita: nonostante 50 anni di contraddizioni, il cattolico serio deve cercare comunque la continuità e deve giungere ad una interpretazione unitaria.

Facciamo un esempio.
a) Gesù Cristo è il Figlio di Dio, la Seconda Persona della Santissima Trinità, Dio unico e vero.
b) Gesù Cristo è un profeta e non è mai morto in croce.
c) Gesù Cristo è un blasfemo che ha bestemmiato Dio.La verità vera è la prima, ma le altre due proposizioni non devono essere condannate ed escluse, perché anche loro contengono elementi di verità, come insegnano i documenti del Vaticano II sull’ecumenismo.

Cosa fare dunque?

Il cattolico serio, innanzi tutto crederà che Gesù Cristo è il Figlio di Dio, poi, cercando la continuità, si convincerà che la Chiesa in duemila anni ha commesso tanti errori, e farà mea culpa, quindi, per giungere ad una interpretazione unitaria, da oggi crederà che Gesù Cristo è Dio, ma che essendo anche uomo non può escludersi che abbia bestemmiato, mentre la sua morte in croce, pur essendo una cosa possibile, è probabile che sia stata enfatizzata dai primi cristiani che, come si sa, non avevano ancora letto i documenti del Vaticano II.

Cosa c’entra questa inutile battuta ironica?
C’entra… eccome!

Mons. Ocáriz, infatti, precisa che «Non soltanto il Vaticano II va interpretato alla luce di precedenti documenti magisteriali, ma anche alcuni di questi vengono meglio capiti alla luce del Vaticano II».

Dobbiamo confessare i nostri limiti di laici un po’ sanguigni: nel leggere questa frase ci è subito venuta in mente una sala del palazzo del Sant’Uffizio, con Mons. Ocáriz che espone questo suo convincimento ai teologi della Fraternità San Pio X e costoro che , invece di alzarsi e di andarsene via subito, continuano a dialogare per due anni; e non abbiamo potuto fare a meno di considerare che questi sacerdoti della Fraternità devono davvero essere dei santi uomini, con una pazienza e una capacità di sopportazione che ha del soprannaturale.
Ma poi abbiamo riflettuto e abbiamo anche pensato che probabilmente Mons. Ocáriz non si è mai permesso di fare una battuta simile in quella occasione, riservandosela per quest’articolo pubblicato in risposta alle cautele e alle riserve di Mons. Fellay. Quasi come dire: Sia chiaro una volta per tutte che se noi accettiamo che il Vaticano II venga letto e interpretato alla luce della Tradizione, voi dovete accettare che la Tradizione venga riletta e reinterpretata alla luce del Vaticano II.

50 anni di diatribe, di condanne e di esclusioni, 6 anni di ermeneutica della continuità, due anni di colloqui dottrinali, ed ecco finalmente svelato il mistero: per essere dei buoni cattolici è indispensabile che si leggano i documenti magisteriali di duemila anni di storia della Chiesa alla luce del Vaticano II.

Perché «la Chiesa lungo i secoli progredisce nella conoscenza, nell’approfondimento e nel conseguente insegnamento magisteriale della fede e della morale cattolica», come afferma Mons. Ocáriz.

Cosa significa questa lezione di progressismo dottrinale?
Significa che, da oggi in poi, ogni volta che si terrà un sinodo di vescovi, massimamente ecumenico, si dovranno prendere in mano i documenti da esso elaborati e alla luce di questi si dovranno riscrivere la storia della Chiesa, la dottrina della Chiesa, la liturgia della Chiesa e la pastorale della Chiesa; e se qualcuno avrà l’ardire di avanzare delle riserve sulla coerenza dottrinale del dopo col prima, sappia che tutte le novità insegnate devono essere interpretate avendo in vista l’ermeneutica della riforma nella continuità, come disse Benedetto XVI, cioè devono essere interpretate non cogliendo a posteriori la continuità che dovrebbe essere inevitabilmente implicita in tutto il Magistero della Chiesa, ma fissando a priori il presupposto che si dovrà sempre cogliere tale continuità anche laddove essa è palesemente inesistente, tanto più a priori per quanto tale continuità si riveli di fatto una clamorosa rottura con la Tradizione.

Se poi i fedeli avessero ancora delle perplessità, sappiano, dice Mons. Ocáriz, che «Un’interpretazione autentica dei testi conciliari può essere fatta soltanto dallo stesso magistero della Chiesa. Perciò nel lavoro teologico d’interpretazione dei passi che nei testi conciliari suscitino interrogativi o sembrino presentare difficoltà, è innanzitutto doveroso tener conto del senso in cui i successivi interventi magisteriali hanno inteso tali passi».
Il che significa che tutto si risolve con l’ubbidienza nella fede, la quale «non costituisce un limite posto alla libertà, ma al contrario, è fonte di libertà», perché, come fa dire Mons. Ocáriz a Nostro Signore, ascoltare un vescovo che afferma che Gesù non è certo che sia presente nell’Eucarestia, significa ascoltare Cristo stesso.
È quello che è accaduto con la libertà religiosa insegnata dal Vaticano II, unico argomento esplicitamente citato da Mons. Ocáriz, sul quale gli ultimi due papi sono stati chiarissimi: «La libertà religiosa … è talmente inviolabile da esigere che alla persona sia riconosciuta la libertà persino di cambiare religione, se la sua coscienza lo domanda» (Giovanni Paolo II, Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace per l’anno 1999). Concetto ribadito e rafforzato da Benedetto XVI (Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace per l’anno 2011): «ogni persona … Non dovrebbe incontrare ostacoli se volesse, eventualmente, aderire ad un’altra religione o non professarne alcuna».
Il che significa che occorre esercitare l’ubbidienza della fede e convincersi che un cattolico può legittimamente e meritevolmente apostatare la fede in Cristo, trovandosi con questo in perfetta adesione al moderno insegnamento papale e per ciò stesso in perfetta continuità con l’insegnamento millenario della Chiesa.

Dopo aver letto questo saggio di chiarificazione sull’ermeneutica della continuità, occorre riflettere attentamente sulle reali intenzioni dei teologi che la sostengono, a qualunque livello si trovino, perché occorre fugare inequivocabilmente il dubbio che si tratti di una sorta di grimaldello atto ad aprire il cuore fiducioso dei fedeli per introdurvi più o meno nascostamente ogni sorta di contraddizione dottrinale, tale che alla fine essere cattolici o non esserlo non sarebbe più una cosa essenziale per la salvezza dell’anima di questi stessi fedeli, perché basta essere degli uomini aperti a ogni novità e ad ogni evenienza, basta essere amanti della libertà e della pace, con cuore sincero e con l’animo pieno di fiducia nelle elaborazioni evolutive del moderno magistero della Chiesa conciliare.
Occorre anche riflettere attentamente sul reale significato di 45 anni di resistenza in difesa della Tradizione cattolica, perché occorre fugare inequivocabilmente il dubbio se sia giunto il momento di abbandonare o anche solo di affievolire la buona battaglia o se questa debba essere combattuta ancora più aspramente.

Noi, che siamo solo nessuno, abbiamo il sospetto che da oggi la battaglia sarà ancora più cruenta e più sanguinosa, per così dire, tale che bisognerà prepararsi ad ogni sorta di condanna e di vessazione.

tratto da Una vox

Nessun commento:

Posta un commento