mercoledì 30 novembre 2016

Ignazio, valente condottiero ...





Signore Gesù,
insegnaci ad essere generosi,
a servirti come Tu meriti,
a dare senza contare,
a combattere senza temere le ferite,
a lavorare senza cercare riposo,
a darci,
senza aspettare altra ricompensa, 
che sapere di compiere la tua volontà.
 
Ignazio di Loyola

Cristianofobia: Sant’Ignazio di Loyola censurato in ospedale

(di Gianfranco Amato) Sembra inarrestabile la deriva cristianofobica nel Regno Unito. E si stenta a tenere il conto nello stillicidio quasi quotidiano degli episodi. Questa volta alla ribalta delle cronache è finito il caso di un medico pediatra sessantaquattrenne, il dott. David Drew, costretto ad adire l’Employment Tribunal di Birmingham per essere stato licenziato dal Walsall Manor Hospital, il plesso ospedaliero dove prestava servizio. 




Sant’Ignazio di Loyola, fondatore dei Gesuiti, è l’involontaria causa del licenziamento. Il dott. Drew, infatti, ha avuto l’impudenza di inviare per posta elettronica ai colleghi una preghiera del Santo spagnolo, con l’intenzione di stimolare e motivare gli altri medici. La mail era preceduta da una riflessione dello stesso dott. Drew: «Io trovo in queste parole una personale ispirazione per i miei fragili e imperfetti sforzi di servire i pazienti, i loro familiari e il nostro dipartimento».

Questo è il testo della preghiera incriminata: «Insegnaci, Signore, ad essere generosi, a servirTi come meriti, a dare senza contare, a combattere senza pensiero delle ferite, a lavorare senza cercare riposo, a prodigarci senza aspettare altra ricompensa, con la coscienza di fare la Tua santa volontà». Non proprio un testo dell’integralismo cattolico, visto che, tra l’altro, è ufficialmente adottata come la preghiera delle Guide Scout. Non sembra neppure che i colleghi del dott. Drew abbiano preso male la sua iniziativa. Anzi, pare sia stata accolta da tutti con una certa benevolenza.

Del resto, David Drew era noto per essere un cristiano capace di testimoniare la propria fede con la vita più che con le parole. Laureatosi in medicina alla Bristol University nel 1972, si è specializzato in pediatria al Birmingham Children’s Hospital, prima di partire come medico volontario in Indocina, nei campi dei rifugiati nella Tailandia del Nord, e di fondare un dipartimento universitario pediatrico a Jos, in Nigeria.

Gli occhiuti responsabili del Walsall Manor Hospital non hanno gradito la mail del dott. Drew, e neppure gli auguri di Natale che lo stesso medico inviava ai colleghi. Per questo, dopo un’accurata indagine, gli è stato formalmente ordinato di «astenersi dall’utilizzare riferimenti religiosi nelle sue comunicazioni professionali verbali o scritte». Drew non pare essere tipo da farsi intimorire o da accettare compromessi al ribasso per quanto riguarda la propria fede, per cui di fronte alla sua opposizione ed al rifiuto di una generosa “buona uscita” per togliere in silenzio il disturbo, è stato licenziato in tronco per giusta causa.

Questo ennesimo odioso episodio di cristianofobia, mi ha fatto venire in mente la recente polemica che ha coinvolto la rivista “Popoli”, che si definisce «mensile internazionale e missionario dei gesuiti italiani». Lo scorso 9 marzo, infatti, su quel periodico è apparso uno strano articolo intitolato «Quando la cristianofobia fa comodo», in cui si invitava ad un certo understatement sul tema, lamentando come «negli ultimi mesi sul web sia aumentato in modo esponenziale il numero di siti dedicati alla “lotta alla cristianofobia”».

Pare che, secondo il mensile dei gesuiti, molto spesso quel triste fenomeno venga «mistificato per un mero interesse economico» o «strumentalizzata per fini politici». Da qui l’invito ad un basso profilo e a non esagerare, «perché difficilmente “gonfiare” le notizie potrà giovare alla causa dei cristiani nel mondo». Non so che cosa abbia indotto quei padri gesuiti ad un’insolita quanto inopportuna prudenza sull’esecrabile fenomeno della cristianofobia.

Una cosa appare, però, paradossale: mentre un cristiano viene licenziato per aver condiviso una preghiera di Sant’Ignazio di Loyola, i suoi seguaci sembrano aderire a quella linea di pensiero che invita ad essere cauti nel denunciare i pericoli della cristianofobia, a non enfatizzare le notizie, a non drammatizzare i casi, a non accentuare le situazioni limite.

Chissà cosa direbbe quell’Ignazio di Loyola che nello stesso sito web ufficiale dei gesuiti è definito come «cavaliere basco, uomo d’armi e di corte, valente condottiero, coraggioso in battaglia». Il fondatore della Compagnia di Gesù, in realtà, avrebbe combattuto con coraggio il diritto a far diffondere la sua preghiera. Ne siamo certi.

medicina per il corpo e per l’anima


la suprema Medicina per il corpo e per l’anima




Il Metropolita Nicola (Hadjinikolaou) di Mesogaia
e Lavreotiki è il fondatore dell’istituto di bioetica di Atene.
Laureato a Harvard e al Massachusetts Institute
 of Technology (astrofisica, ingegneria biomedica,
 ricerca di laboratorio cardiovascolare),
 è una figura altamente rispettata sia nell’ambiente
ecclesiastico che in quello accademico e scientifico.
Cari fratelli e sorelle,

Come risultato della recente pandemia di febbre suina, è stata sollevata – senza necessità – la questione della possibile trasmissione di malattie attraverso la santa Comunione. Sfruttiamo questa opportunità per esprimere certe verità, che sono richieste per custodire in noi il tesoro senza prezzo della Fede.

La nostra Chiesa trasmette ormai da duemila anni la grazia dei suoi sacramenti, nel modo usuale e benedetto, ‘per la guarigione dell’anima e del corpo’. Non ha mai avuto bisogno di speculare con la logica contemporanea del dubbio irriverente, ma ha vissuto giorno dopo giorno con l’esperienza dell’affermazione di un miracolo supremo. Come potrebbe mai la comunione con Dio essere causa di malattia o pure del danno più lieve? Come potrebbero mai il corpo e il sangue del nostro Signore e Dio inquinare il nostro corpo e il nostro sangue? Come potrebbe mai un’esperienza quotidiana di duemila anni essere negata dal mero razionalismo e dalla fredda superficialità del nostro tempo?

I fedeli – sia sani che malati – hanno ricevuto la santa Comunione per secoli, distribuita dagli stessi cucchiai da Comunione – che non sono mai lavati né disinfettati – e mai niente di sfortunato è successo. I preti che servono negli ospedali, anche in quelli per malattie contagiose, distribuiscono tutti la santa Comunione ai fedeli, quindi consumano i resti del calice con riverenza e tutti godono di lunga vita. La Santa Comunione è tutto ciò che come Chiesa e come popolo abbiamo di sacro. È la suprema medicina per il corpo e per l’anima. Questo è pure l’insegnamento e l‘esperienza della nostra Chiesa.

Tutti quelli che non credono nel miracolo della Risurrezione del Signore, che disprezzano la sua nascita da una vergine, che negano la fragranza emanata dalle sante reliquie, che mostrano disprezzo verso tutto ciò che è santo e consacrato, che cospirano contro la nostra Chiesa e cercano di sradicare la minima traccia di fede dalle nostre anime cercheranno pure naturalmente di usare questa opportunità di insultare il santo mistero dell’Eucaristia.

Sfortunatamente, il problema non è il virus dell’influenza – come i media amano proclamare – né lo è il virus del panico mondiale – sostenuto da interessi medici. Il problema è il virus dell’empietà e della mancanza di fede. E il miglior vaccino è la nostra partecipazione frequente al mistero della santa Comunione, con una coscienza chiara e irreprensibile.
 via: http://unafides33.blogspot.it/2016/11/la-suprema-medicina-per-il-corpo-e-per.html
 

Vaticano eversivo

Il “cambio di paradigma”




Si direbbe che Paradigmenwechsel (“cambiamento del paradigma”) sia un’espressione particolarmente cara al Card. Walter Kasper. L’aveva usata nella relazione con cui aveva introdotto i lavori del Concistoro straordinario sulla famiglia il 14 febbraio 2014 (qui il testo completo; qui una sintesi). In quell’occasione, l’aveva cosí illustrata:
Se si pensa all’importanza delle famiglie per il futuro della Chiesa, il numero in rapida crescita delle famiglie disgregate appare una tragedia ancora piú grande. C’è molta sofferenza. Non basta considerare il problema solo dal punto di vista e dalla prospettiva della Chiesa come istituzione sacramentale; abbiamo bisogno di un cambiamento del paradigma e dobbiamo — come lo ha fatto il buon Samaritano (Lc 10:29-37) — considerare la situazione anche dalla prospettiva di chi soffre e chiede aiuto.
Il cambio di paradigma consisterebbe dunque in un mutamento di prospettiva: occorre considerare i problemi della famiglia non piú solo dal punto di vista della Chiesa, intesa come istituzione sacramentale, ma anche da quello “di chi soffre e chiede aiuto”. Viene proposta anche un’icona del nuovo paradigma: la Chiesa deve diventare come il buon Samaritano, deve cioè “farsi prossimo” di chi si trova in una situazione di disagio.

Ritroviamo la stessa espressione Paradigmenwechsel nell’articolo recentemente pubblicato sulla rivista Stimmen der Zeit (n. 11/2016, pp. 723-732; qui il testo originale;  qui una sintesi in inglese;  qui una sintesi in italiano) dall’eloquente titolo “Amoris laetitia”: Bruch oder Aufbruch? (letteralmente, “AL: rottura o inizio di un cammino?”; ma si noti il gioco di parole impossibile a rendersi in italiano). In questo caso, il “cambiamento di paradigma” viene cosí descritto:
Ein Paradigmenwechsel ändert nicht die bisherige Lehre; er rückt sie jedoch in einen größeren Zusammenhang. So ändert „Amoris laetitia“ kein Jota an der Lehre der Kirche und ändert doch alles. Der Paradigmenwechsel besteht darin, dass „Amoris laetitia“ den Schritt tut von einer Gesetzes- hin zur Tugendmoral des Thomas von Aquin.
Un cambiamento di paradigma non modifica la dottrina precedente; la inserisce però in un contesto piú ampio. Cosí Amoris laetitia non cambia uno iota della dottrina della Chiesa; eppure cambia tutto. Il cambio di paradigma consiste in questo, che Amoris laetitia segna il passaggio da una “morale della legge” alla “morale della virtú” di Tommaso d’Aquino. 
Poco prima, pur senza parlare di cambio di paradigma, aveva accennato a un analogo mutamento:
Cum grano salis kann man sagen: „Amoris laetitia“ nimmt Abstand von einer vorwiegend negativen, augustinischen Sicht der Sexualität und wendet sich der schöpfungsbejahenden thomistischen Sicht zu.
Cum grano salis, si può dire: Amoris laetitia prende le distanze da una visione agostiniana, prevalentemente negativa, della sessualità e si volge alla visione tomistica piú positiva della creazione.
Nell’articolo troviamo anche altre contrapposizioni, come quella tra l’optimum e il “bene possibile” (Evangelii gaudium, nn. 44-45; cf Amoris laetitia, n. 308) o quella tra la realtà in bianco e nero e le molteplici sfumature (recentemente sfruttata anche da Papa Bergoglio nell’intervista rilasciata ad Avvenire):
Meist können Menschen — und wir alle sind solche Menschen — nicht das Optimum, sondern nur das in ihrer Situation Bestmögliche tun; oftmals müssen wir das kleinere Übel wählen. Im gelebten Leben gibt es nicht nur schwarz oder weiß, sondern sehr unterschiedliche Nuancen und Schattierungen.
La maggior parte degli uomini — e tutti noi siamo tali uomini — possono fare non l’optimum, ma solo il meglio possibile nella loro situazione; spesso dobbiamo scegliere il male minore. Nella vita vissuta, non c’è solo il nero o il bianco, ma svariatissime sfumature e tonalità.
Se devo essere sincero, non mi convince molto il ricorso a San Tommaso per giustificare scelte pastorali che personalmente trovo discutibili. Va detto che il Card. Kasper non fa altro che evidenziare una tendenza già presente in Amoris laetitia, nella quale si possono contare una ventina di riferimenti al Dottore Angelico (probabilmente dietro questa massiccia presenza dell’Aquinate nell’esortazione apostolica si può vedere la longa manus del Cardinale domenicano Christoph Schönborn). In ogni caso, rimane l’impressione che si tratti di un ricorso pretestuoso e strumentale, tendente a coprire le motivazioni reali di un cambiamento altrimenti difficilmente giustificabile. Sarebbe auspicabile un approfondimento in proposito da parte di teologi di professione.

Cosí pure, non mi piace la contrapposizione fra la visione agostiniana e quella tomistica della sessualità. È vero che i due grandi dottori hanno sensibilità diverse e affrontano i problemi da prospettive diverse; ma non mi sembra il caso di insisterci troppo: nella storia della filosofia e della teologia, come nella storia della Chiesa, trovo molto piú utile sottolineare lo sviluppo nella continuità che non le opposizioni e le differenze. Ma sembrerebbe che lo stesso Kasper non voglia calcare la mano piú di tanto (si noti l’iniziale cum grano salis).

In ogni caso, considerare un “cambio di paradigma” il passaggio da una “morale della legge” (Gesetzesmoral) alla “morale della virtú” (Tugendmoral) di Tommaso d’Aquino non lo trovo del tutto corretto. Anche qui, è vero che nella teologia morale esistono queste due diverse impostazioni (quella alfonsiana, che si basa sui comandamenti, e quella tomista, fondata sulle virtú); ma si tratta di due diverse prospettive, entrambe legittime, che non si escludono, ma anzi si completano a vicenda. La catechesi ha finora privilegiato la prima impostazione (anche il Catechismo della Chiesa Cattolica continua a seguirla, credo soprattutto per motivi di praticità, senza per questo trascurare la trattazione delle virtú), lasciando però a tutti piena libertà di seguire l’altra impostazione (io, all’Angelicum, ho studiato la teologia morale secondo lo schema delle virtú e non dei comandamenti).

Con ciò non voglio negare che sia avvenuto un “cambiamento di paradigma”; ma credo che esso vada ricercato a un altro livello. Penso che un’utile indicazione ci venga dalla relazione del Card. Kasper al Concistoro del 2014. In quell’occasione, come abbiamo visto, il Porporato tedesco parlava della necessità di non considerare piú le cose soltanto dal punto di vista della Chiesa, ma anche da quello dell’umanità sofferente. Siccome in quella sede Kasper si era servito di una metafora (il buon Samaritano), si potrebbe completare l’allegoria e descrivere i due paradigmi proprio facendo riferimento al testo di Luca (10:25-37): da una parte c’è il paradigma del “dottore della legge”, quello che cavilla sulla dottrina («E chi è il mio prossimo?»); dall’altra c’è il paradigma del “buon Samaritano”, colui che, senza discettare su questioni astratte, si rimbocca le maniche e viene in soccorso di chi è nel bisogno. Potremmo quindi affermare che il cambio di paradigma si identifica con la “conversione pastorale” (Evangelii gaudium, n. 25) chiesta da Papa Francesco alla Chiesa odierna.

Mentre finora, per orientare il comportamento dei fedeli, la Chiesa si limitava a presentare una dottrina astratta (la legge morale), e poi ciascuno doveva arrangiarsi con la propria coscienza per applicare le norme morali generali alla situazione concreta in cui si trovava a vivere; ora la Chiesa è invitata a non lasciare piú gli uomini soli nel fare le loro scelte, ma ad accogliere, accompagnare, discernere e integrare (i quattro momenti del nuovo metodo pastorale, di cui ci siamo occupati in un precedente post). Per rendere ancora piú evidente il cambiamento, potremmo dire schematicamente: mentre prima era la dottrina a guidare la vita morale, ora questo compito viene affidato al discernimento. Ma proprio questa schematizzazione (se si vuole, sommaria, come tutte le schematizzazioni, ma utile per comprendere) ci mostra i rischi del nuovo paradigma. Sí, perché da una parte abbiamo una dottrina, astratta, fredda, distante quanto si vuole, ma oggettiva; dall’altra abbiamo un discernimento, sicuramente piú attento alle singole situazioni concrete, ma sempre in balia della soggettività di chi lo pratica. Si ha l’impressione di trovarsi di fronte al trasferimento in campo morale di quanto avvenuto col protestantesimo a proposito dell’interpretazione della Scrittura: mentre nella Chiesa cattolica l’interpretazione della Bibbia è affidata al magistero, fra i luterani ciascuno può interpretarla personalmente attraverso il “libero esame”. Ci si potrebbe chiedere inoltre se, cosí facendo, il discernimento non oltrepassi i limiti del suo naturale campo di azione (che è sempre consistito nella valutazione dell’origine degli “spiriti”, nel giudizio sull’autenticità dei carismi, nella ricerca della volontà di Dio, ecc.). Ce ne siamo occupati in un precedente post, ma il discorso andrebbe ripreso e approfondito in separata sede.

A nulla serve dichiarare che la dottrina non viene modificata, quando essa non serve piú a dirigere la nostra vita. Il cambio di paradigma la rende del tutto irrilevante. Ha ragione il Card. Kasper quando afferma: «Amoris laetitia non cambia uno iota della dottrina della Chiesa; eppure cambia tutto». La dottrina può anche rimanere la stessa, tanto non serve piú; potrebbe essere pure messa in museo e conservata cosí com’è, intatta nella sua purezza. Oggi, per sapere come dobbiamo comportarci, abbiamo a disposizione il discernimento, che è completamente diverso dalla rigida dottrina: esso è piú malleabile, si adatta alle diverse situazioni, può cambiare di volta in volta, diversificandosi caso per caso.

Non so se ci si renda conto della portata eversiva di questo Paradigmenwechsel: si tratta di una vera e propria rivoluzione, quella “rivoluzione pastorale” di cui parlavo in un post del marzo scorso (alla vigilia della presentazione di Amoris laetitia) e alla quale Guido Vignelli ha dedicato un saggio. Il cambiamento del paradigma non è una variazione di secondaria importanza: cambiando il paradigma, cambia davvero tutto. A questo punto, non saprei come rispondere alla domanda che il Card. Kasper pone retoricamente nel suo articolo: “Rottura o inizio di un cammino?”. A me pare tanto una rottura, la stessa identica rottura che si sarebbe voluta attuare con il Concilio Vaticano II, ma che allora non riuscí (checché ne dica la “Scuola di Bologna”).

Infine, non si può non tener conto di questo Paradigmenwechsel in fase di impostazione della “strategia difensiva” nei confronti della suddetta “rivoluzione pastorale”. Perché, se ci si oppone ad essa con gli strumenti tradizionali si rischia — come qualcuno ha fatto intelligentemente notare — di cadere nel medesimo errore commesso dai francesi durante la seconda guerra mondiale: pensavano che per difendersi dai tedeschi bastasse costruire un imponente sistema difensivo (la “linea Maginot”), che però si rivelò del tutto inutile, dal momento che i tedeschi aggirarono l’ostacolo e occuparono la Francia attraversando l’Olanda e il Belgio. Se vogliamo efficacemente opporci alla “rivoluzione pastorale” in atto, dobbiamo farlo nella piena consapevolezza del cambiamento di paradigma avvenuto e, se possibile, combattendo ad armi pari sul medesimo campo di battaglia. In caso contrario, sarà una battaglia persa in partenza.
Q

martedì 29 novembre 2016

Tota pulchra es, Maria



cardinali con le palle

Il Card. Bagnasco non è per il “primato della prassi”


  

“L’Occidente sta perdendo la dimensione mistica del Vangelo”
“Se non si conosce Dio, non si può neppure conoscere Gesù. Lo si riduce a un saggio, a un politico, a un martire, un visionario, ma non si riconosce il redentore del mondo. Allora la Chiesa non è più mistero e sacramento ma diventa una realtà sociologica opera di uomini soggetta alle categorie del mondo: il numero, il potere il consenso, le organizzazioni”.
Ad affermarlo il cardinale A. Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nell’omelia pronunciata ieri pomeriggio, nella cattedrale di S. Lorenzo, in occasione della Messa per due ordinazioni presbiterali.

“Ma – ha aggiunto il card. Bagnasco – la Chiesa non è umanamente attraente perché Dio vuole convertire, non sedurre. Divenire cristiani non è una adesione ma una conversione perché Dio, prima di essere il nostro bene è la nostra origine, la possibilità e la consistenza del nostro essere. Solo dopo è anche il destino della nostra anima”. E questa, ha aggiunto “è la questione delle questioni” perché riguarda “la salvezza eterna dell’anima”. Ma “quando si perde il senso dell’eterno, allora l’anima si identifica con le cose che incontra e consuma”.

“Il sole di Satana che vuole sedurre le anime vuole far credere che il proprio del cristiano è l’attività ma questo svuota la memoria di Dio e della sua grazia. L’uomo si trova da solo con sé stesso solo anche se dentro ad una collettività che però è altro della comunità dei discepoli”. Di qui l’invito all’adorazione perché “adorare non è un fare, è un non fare, per lasciarsi fare da Cristo e questa è la dimensione mistica del Vangelo che l’Occidente sta perdendo e per questo, più si danna nel fare, più sprofonda nell’angoscia della sua impotenza di senso”.

 “Il sacerdote non è un operatore sociale ma è l’uomo di Dio”

Il sacerdote non è un operatore sociale ma è l’uomo di Dio”. Ad affermarlo il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova e presidente della Cei, nell’omelia pronunciata ieri pomeriggio, nella Cattedrale di San Lorenzo, in occasione della Messa per l’ordinazione presbiterale di d. Andrea Carcasole e di p. Enea Traffano, d.O.

“Oggi – ha detto ai due ordinandi – siete costituiti maestri di fede ma per essere tali dovrete essere uomini di fede, dovrete ragionare non secondo le categorie del mondo ma secondo quelle di Cristo, quelle della Pasqua di morte e resurrezione, della croce gloriosa. Separare queste categorie significa non capire più nulla dell’esistenza umana della storia dell’universo. La vita pastorale non potrà mai essere preghiera se non vi sono nella vita del prete spazi personali di preghiera dove il vostro cuore umano parla al cuore divino. Il mondo sta male perché perde il contatto con la realtà sempre di più. Crede che tutto si riduca a ciò che vede e tocca a ciò che può misurare mentre la realtà è molto più grande. Ciò che è invisibile è più concreto e importante di tutto ciò che vediamo. Questa miopia spirituale può colpire anche noi sacerdoti e pastori. Nessuno può considerarsi esente da questa miopia che può progredire con l’età [Allude?, ndr.]. Per questo è necessaria l’adorazione che marca la differenza tra Dio e l’uomo, riconosce che solo Dio è Dio e non noi e così tornano al loro posto i giudizi e le scelte”.

http://www.maurizioblondet.it/cardinal-bagnasco-non-primato-della-prassi/

lunedì 28 novembre 2016

vescovi o burattini

Il cardinale Zen critica il Papa: “Forse non conosce i comunisti cinesi”

L’arcivescovo emerito di Hong Kong conferma la contrarietà a ogni accordo tra il Vaticano e Pechino: “Sarebbe una falsa libertà”



Roma. "Forse il Papa è un po' ingenuo, non ha il background per conoscere i comunisti in Cina. Il Papa conosce i comunisti perseguitati in America latina, ma potrebbe non conoscere i persecutori comunisti che hanno ucciso centinaia di migliaia di persone".

La bordata arriva da Hong Kong, e a parlare è il cardinale Joseph Zen, che così s'è espresso alla Scuola salesiana dove ancora insegna. Zen è da sempre un fiero oppositore di ogni intesa con il governo di Pechino. Più volte ha parlato di appeasement e di "resa" del Vaticano davanti alle pretese cinesi. Questa volta è andato oltre, aggiungendo che siglare un accordo con il regime comunista significherebbe "tradire Gesù Cristo".

Il porporato ottantaquattrenne, arcivescovo emerito di Hong Kong, ha anche sempre smentito l'idea – che negli ultimi tempi ha preso forza anche a Roma – secondo cui vi sarebbe un'unica grande chiesa cattolica, non riconoscendo cioè l'esistenza di una comunità "sotterranea", fedele cioè al Papa di Roma e ostile a quella patriottica controllata dal governo.

Si va verso una "falsa libertà", ha osservato il cardinale Zen: si dà "l'impressione della libertà, ma non è una libertà reale. La gente prima o poi vedrà che i vescovi sono burattini del governo e non pastori del gregge". Quindi, l'attacco ai presuli della chiesa patriottica: "I vescovi ufficiali non stanno predicando davvero il Vangelo. Predicano l'obbedienza all'autorità comunista".

http://www.ilfoglio.it/chiesa/2016/11/28/news/papa-cina-zen-comunismo-vaticano-cristiani-chiesa-cattolica-107647/#.WDxkxe6H2Zk.twitter

io ti salverò, non temere!!!




Rorate caeli desuper, et nubes pluant iustum.

Ne irascaris Domine, ne ultra memineris iniquitatis: ecce civitas Sancti facta est deserta, Sion deserta facta est: Ierusalem desolata est: domus sanctificationis tuac et gloriae tuae, ubi laudaverunt te patres nostri.

Rorate caeli desuper, et nubes pluant iustum.

Peccavimus, et facti sumus tamquam immundus nos, et cecidimus quasi folium universi; et iniquitates nostrae quasi ventus abstulerunt nos: abscondisti faciem tuam a nobis, et allisisti nos in manu iniquitatis nostrae.

Rorate caeli desuper, et nubes pluant iustum.

Vide, Domini, afflictionem populi tui, et mitte quem missurus es, emitte Agnum dominatorem terrae, de Petra deserti montem filiae Sion: ut auferat ipse iugum captivatis nostrae.

Rorate caeli desuper, et nubes pluant iustum.

Consolamini, consolamini, popule meus: cito veniet salus tua: quare moerore consumeris, quia innovavit te dolor? Salvabo te, noli timere: ego enim sum Dominus Deus, tuus, Sanctus Israel, Redemptor tuus.

Rorate caeli desuper, et nubes pluant iustum.

domenica 27 novembre 2016

l'alito infernale della superbia

NON SERVIAM!!!!


E' stato l'orgoglio a cambiare gli angeli in diavoli; 
è l'umiltà a rendere gli uomini come angeli.

(S. Agostino)

Dio si è dunque compiaciuto nel creare gli Spiriti angelici, in essi Egli ha moltiplicato le perfezioni: Li ha colmati di grazie. Essi sono innumerevoli e, nonostante ciò, ognuno di loro possiede la sua propria personalità, inconfondibile con nessuna altra. Tante diversità e splendori riuniti basterebbero pienamente a magnificare il Creatore. Ma il capolavoro dei capolavori, la meraviglia delle meraviglie alla quale il Signore ha dato l’essere in questi primi istanti della Creazione, è un Serafino. In lui, il genio divino si è superato. Tutti gli altri Angeli si estasiano davanti a questo Principe.“Tu sei un modello di perfezione, pieno di saggezza, meraviglioso in bellezza. Tu sei, nell’Eden, il giardino di Dio. Tutte le pietre preziose formano il tuo mantello : sardonio, topazio, diamante, crisolito, onice, diaspro, zaffiro, smeraldo ; d’oro lavorato sono i tuoi pendenti e le tue pagliette”. Serafino, questo Spirito era già al vertice della Gerarchia angelica e, primo del primo Coro, egli è incontestabilmente il capo di quella Corte che si accosta, splende, intorno all’insondabile penombra dove Dio si tiene nascosto.

Bruciante d’amore e di fervore, egli riverbera la luce divina, proiettandola sugli altri Angeli,rivelando loro, con la sua intelligenza sublime, la più alta che Dio ha creata, i segreti divini che, solo, egli è atto a comprendere quasi nella loro pienezza. Per questo, egli ha ricevuto un nome magnifico, intimamente legato al ruolo che gli è confidato presso l’Altissimo: Lucifero, il “Portatore di Luce”. Ma, non più dell’ultima fila dell’ultimo Coro, Lucifero non è al sommo della sua scienza, del suo fervore e della sua gloria. Quello che egli contempla, nella sua indicibile estasi e già incapace di saziarsene, non è Dio, ma solamente il suo riflesso. Il tempo non è ancora venuto per gli Angeli di conoscere e di vedere il volto dell’Onnipotente. La conoscenza non deve essere la loro ricompensa che al termine di una prova che essi ignorano quale sarà. 


Intuitivamente, fin dal primo istante della loro creazione, Lucifero ed i suoi fratelli hanno visto il mistero della Trinità e quello dell’Incarnazione. Tuttavia, essi non hanno compreso interamente le implicazioni. Ed ecco che Dio lo mette davanti all’incredibile, all’ incomprensibile, davanti a quello che l’intelligenza angelica è la meno adatta a cogliere. Creando gli Angeli - Egli ha creato degli esseri puramente spirituali. Creando l’universo, popolandolo di piante e di animali, Egli ha fatto degli esseri puramente materiali ed incapaci di conoscere la Sua adorabile presenza. La tappa successiva, il nuovo progetto di Dio, è la creazione di un essere ibrido, la nascita di una specie di mostro... l’Uomo. Un essere capace di elevarsi verso le sfere celesti e di concepire l’idea di Dio, ma prigioniero di un corpo di carne. Lo spirito privo delle sue ali, ingabbiato nella materia... Un mostro, un essere infermo. E pertanto tutto come essi, gli Angeli, l’Uomo sarà una immagine di Dio.

Questa immagine sarà anche più fedele. Un fremito di stupore passa sugli Spiriti. Come l’immagine divina, così alta che i Serafini non osano né possono contemplare, potrebbe abbassarsi fino alla materia? Crederlo, non è già una bestemmia? Una inquietudine strana si impadronisce di queste intelligenze normalmente così serene. La materia e lo spirito uniti in una sola natura... Come questo è possibile? Come una tale creatura, squartata tra due estremi così totalmente inconciliabili, non oscurerebbe? Degli Angeli in corpi di bestie... Non è la sconfitta garantita? Come potrebbe mai l’Uomo - l’infelice, prigioniero di un destino così smisurato - essere all’altezza del dono che gli è fatto: la capacità di comprendere l’idea di Dio? Il piano divino continua a svolgersi davanti alla Corte celeste, sempre più interessata. É 'vero che la materia trascinerà l’uomo verso il basso, ma la sua anima la trascinerà verso l’alto e Dio lo aiuterà. Dio si farà uomo, si unirà all’uomo, perché l’uomo e Dio non siano che uno.Se gli Angeli gridassero, un lungo grido di sorpresa dolorosa, indegna presso alcuni, scuoterebbe le sfere celesti. Questo Dio, di cui nessuno tra di essi può sostenere la maestà terribile e di cui essi proclamano incessantemente la santità dagli accenti splendenti del Trisagione, questo Dio si farà uomo, e, così facendo, si abbasserà al di sotto degli Angeli! Interrogativi febbrili spuntano, in una indicibile comunicazione degli Spiriti. Nessuno di loro comprende. Il più ‘shockato’, il più indignato, non è altri che Lucifero. Il Principe dei Serafini è posto brutalmente di fronte all’insondabile del Divino. La sua estrema intelligenza manca davanti a questo abisso di cui egli sapeva l’esistenza senza misurarne la profondità. Egli non ignorava che la sua scienza di Dio fosse incompleta ma gli sembra ora essere risibile, inesistente quasi. A meno che..., una terrificante, una inverosimile idea si presenta fuggevolmente a Lucifero, prima che egli la rigetti con orrore: il pensiero fugace che Dio potrebbe essere in errore, e lui, Lucifero, nella verità. Egli si trattiene dall’entrare in discussione col Creatore, di dirgli, fremendo : “No, Signore,questo non ti accadrà !"

É il grido di San Pietro che non comprende la necessità della morte di Cristo, e che gli attira la sferzante reprimenda:“Va indietro, Satana! Tu mi sei di ostacolo, perché i tuoi pensieri non sono quelli di Dio !”. E questo grido, che egli trattiene così difficilmente, è ancora l’espressione del suo amore, del suo fervore e del suo rispetto. Questo non sarà, perché l’Onnipotente non deve umiliarsi. Vicino a Lucifero, un altro Serafino, Michele, si interroga, anche lui. Lucifero sente il turbinio di pensieri che si urtano nell’intelligenza, quasi altrettanto sublime della sua, di suo fratello. Egli sente ugualmente, poco a poco, quello che Michele proietta verso di lui, con quell’ardore proprio alla natura serafica ma che è, presso di lui, più forte che presso ogni altro: delle immagini di pacificazione, di fiducia, di abbandono a quello che li sorpassa tutti. La certezza pacifica ed integra che la sapienza di Dio sa d’obbligo quello che Ella fa e dove Essa va: “Non cercare di comprendere ! Accetta ! Accetta !”.

Ma Lucifero chiude il suo spirito alle esortazioni di Michele. Non padroneggia egli in intelligenza su tutti gli altri Angeli ? Perché meravigliarsi, allora, che egli comprenda prima e solo quello che la Corte angelica apprende lentamente e grazie al suo aiuto? Nell’animo del più bello dei Serafini si alza ciò che non è ancora la ribellione, ma già il preludio insidioso del dubbio.

Dio si farà uomo. L’incredibile, la scioccante affermazione risuona dall’alto in basso dei nove Cori angelici, suscitando nuove questioni, nuove emozioni. Ed ecco che appare l’immagine di questo Uomo-Dio e, vicino a Lui, una creatura umana, nient’altro che umana, completamente umana : una semplice figlia degli uomini. Gli Angeli, attoniti, la sentono nominare col nome che essi credevano impossibile poter mai ascoltare: Madre di Dio! Una creatura madre del Creatore, che mette al mondo l’Increato! “Ecco vostro Signore, ed ecco la vostra Regina. AdorateLo. Chinatevi davanti a Lei”. Gli Angeli, attoniti, la sentono nominare col nome che essi credevano impossibile poter mai ascoltare: Ma Lucifero contempla, smarrito, questi due esseri prigionieri della materia, quell’abominevole materia che spinge al disgusto ed all’orrore la sua natura angelica e spirituale. Adorare quello che gli è così spaventosamente, così incurabilmente inferiore ! Come può Egli, suo Re benamato, chiedergli questo?! Il Principe dei Serafini prende subito coscienza sovracuta di ciò che egli possiede: la bellezza, l’intelligenza, la scienza, una volontà perfetta, la grazia e la santità, questi doni gratuiti che distillano in lui la pace, la felicità e l’amore. Quest’uomo e questa donna non possono nulla possedere di tutto ciò, o possederli a dei gradi così infimi da essere ridicoli. Adorarli...?! Ma, se Dio vuole unire la Sua sublime natura ad una natura creata, perché scende così in basso quando Egli potrebbe invece fare l’onore di questa unione ipostatica alla sola delle Sue creature che possa quasi esserne degna: lui, Lucifero, il “Sigillo di rassomiglianza, pieno di saggezza e di una bellezza perfetta”?
 

Se qualcuno merita quest’incredibile felicità, non è lui, che brucia di un amore folle, che si consuma nell’amare? Adorarli! Nello stesso tempo, l’intelligenza di Lucifero - quell’intelligenza angelica suprema, portata presso di lui alla sua più alta espressione naturale e che coglie subito fin nelle più estreme conseguenze ogni atto e tutte le ipotesi, e tutte le possibilità - gli svela, senza nessuna incertezza, la scelta che si offre a lui. Egli adora, sormontando la sua paura, la sua incomprensione, la sua delusione: la pienezza della felicità che ne discenderà per lui supera la sua capacità di comprendere. Egli non adora: Egli rifiuta. Ed allora... Così atroce, così irreparabile sarebbe questa disgrazia che il pensiero del bel Serafino non dovrebbe neanche arrestarvisi. Questa alternativa, è la libertà. Dio non vuole essere servito da un popolo di schiavi tremanti. La libertà di ogni creatura, è il diritto di pretendere di fare a meno di Dio. Fare a meno di Dio...! Fin nel profondo del suo essere, Lucifero sa che fare a meno di Dio gli è impossibile. Un tale castigo sarebbe peggio, infinitamente peggio, che essere precipitato di nuovo nel Nulla da dove il Creatore l’ha tratto. Dio lo ha creato Serafino, puro amore, bruciatura inguaribile di una fiamma inestinguibile. La sua natura è di amare. Di amarLo più di tutto. E Lucifero non è un qualunque Serafino. Egli è il primo in mezzo ai primi, la più nobile, la più sublime delle creature uscite dalle mani di Dio. Tra tutti, è lui che possiede la più grande potenzialità di amore. Una potenzialità così grande che niente potrebbe mai colmarla, se non Dio stesso... Rinunciare a Dio sarebbe rinunciare a questo assolvimento dell’amore che è la sua ragion d’essere. Egli non sarebbe più che del crepaccio, del vuoto.Un vuoto insondabile, uguale solamente all'insondabile profondità del suo dolore, della sua perdita, della sua disperazione, della sua sofferenza. Egli sarebbe il Vuoto. Tutto questo, colmo di orrore, al bordo della vertigine, Lucifero lo comprende. Vicino a lui, Michele lo comprende ugualmente e lo supplica :” Adora !”. Lucifero percepisce tutto quello che vi è nella preghiera di Michele : essa non è unicamente esigenza di rendere a Dio quello che Gli è dovuto. Essa è supplica strappata dall’amore fraterno inorridito al pensiero di quello che minaccia il principe serafico. Ma, subito, l’amore di Michele gli sembra odioso, insultante, insopportabile. Chi è, per credere di saperne più di lui ? Sovreccitati, i due Serafini non velano i loro pensieri né il loro dialogo i cui accenti si ripercuotono sui Cori inferiori.
 

Adorare, non adorare! Abituati a ricevere le loro illuminazioni da Lucifero, il portatore di Luce, numerosi sono gli Angeli in preda al dubbio e che non sanno quale partito prendere. Quello di Dio, che essi non comprendono e di cui risentono, ripercossa dall’emozione del grande Serafino, la scandalosa umiliazione? Quello di Lucifero, loro abituale maestro, l’autorità costituita ? Da quale lato è l’obbedienza? Da quale lato la ribellione? Terribile dilemma : Scelta spaventosa.

Ai piedi del Trono divino, nascosto nella penombra, Michele, ubriaco di amore e di fede, ciecamente fiducioso e sicuro di Dio, si prosterna
. Egli adora, abbassando la sua splendida natura serafica davanti a questi esseri in parte materiali. A questo spettacolo, altri Angeli si prosternano a loro volta. Più giù, il tumulto continua. Lucifero sente il dubbio che attanaglia i suoi fratelli, la fedeltà che essi gli votano. Egli è loro Principe, loro capo. A tutti ! La sottomissione di Michele, contro il suo parere, gli sembra una intollerabile disobbedienza, un odioso tradimento. La sua supplica desolata lo irrita: “Adora, Lucifero! Adora!”. Miserabile schiavo, indegno delle virtù che gli furono prodigate! Lucifero si vede, magnifico, incomparabile. Prosternare questa meraviglia davanti alla materia ? Mai !

La sua intelligenza, la sua logica gli urlano pertanto ch’egli sta per commettere l’irreparabile, che sta per fare la sua propria disgrazia, che deve sottomettersi, fintanto che la scelta gli è offerta, o sarà il Vuoto, il Vuoto atroce ed eterno... Tutto in lui si ribella contro questa scelta mostruosa. Egli sa che dovrebbe volgere la sua volontà, il suo spirito, il suo essere tutto intero verso questa Presenza nella quale Michele sembra ora piombato, radioso come mai lo è stato. Ma, farlo, è rinunciare a quello che egli guarda oramai come suoi diritti intangibili. I suoi diritti, a lui che è la Bellezza, la Perfezione, la Grazia, la Santità. Lucifero non si pensa più in rapporto a Dio. Egli si pensa in rapporto a se stesso... Egli non ha mai visto Dio ed ecco che egli si vede, lui. E si illumina e si compiace in questo splendore menzognero ed imbroglione. Il suo cuore si inorgoglisce della sua bellezza.

L’amore che lo bruciava si distoglie dal suo oggetto e dalla sua sorgente, il braciere si spegne nel suo spirito senza che vi prenda cura, assorto come è nella scoperta del suo proprio splendore. Distogliersi da quel miraggio, egli lo può ancora ; egli non lo vuole. Sa che sta per commettere un errore mostruoso, ma questo errore lo seduce, gli sembra più bello della Verità. Ostinato, il bel Lucifero si guarda: Egli si ama. Dio, lontano, nascosto, sta per essere perduto da lui, egli lo sa. Questo non lo impensierisce più. Che bisogno ha di Dio? Egli può farne a meno! La beatitudine? Ma la beatitudine non è in Dio, è in se stesso!

Lucifero ha dimenticato da chi egli riceve i suoi doni ed il suo essere. Egli si guarda e la sua compiacenza non smette di crescere. Il rimprovero di Michele risuona ancora da qualche parte, infinitamente lontana : “Adora !”. “No! No, non servirò ! Io non adorerò perché mi è posteriore ed inferiore !”. Adorare degli esseri materiali, quando si è il più sublime dei Serafini! Quando si era... Perché, come egli profferiva queste parole insensate, e che egli sapeva tali, un velo di tenebre si è abbattuto su Lucifero. In lui, per lui, la luce di Dio si è spenta per sempre. Il Portatore di Luce non è più che oscurità.

La Bellezza, l’Intelligenza, la Volontà e tutti i suoi doni di cui egli era stato colmato, egli li possiede sempre, ma sfigurati, irriconoscibili:quella natura angelica di cui si è imprudentemente glorificato, il suo egoismo, la sua cosciente menzogna, l’hanno distrutta senza ritorno. La Bellezza? Miserabile illusione... Lucifero può ancora darsi la più seducente apparenza ed imbrogliare i creduli. Lui però si vede, ed egli indietreggia di orrore tanto è diventato odioso. L’Intelligenza? Deviata, irrimediabilmente, falsata. Quello che è giusto, quello che è vero, ora che è privo di Colui che è la Verità, non potrà mai più raggiungerli. Il suo spirito sublime, di esatte premesse, giungerà sempre a dei risultati falsi senza che gli sia possibile comprendere dove l’errore è scivolato. Lucifero è diventato l’Errore, la Menzogna. La sua logica implacabile, che coglieva tutto, non l’ha abbandonato, ma essa non è più che follia e rivolta. Egli ragionerà, non smetterà più di ragionare, ostinatamente, ma i suoi ragionamenti saranno folli, assurdi a dispetto della loro coerenza apparente. L’intelligenza di Lucifero è una bussola che non conosce più il nord. La Grazia? Purtroppo, egli sapeva che cos’era, se ne ricorda. Ne è privo. Ed è un intollerabile dolore. Dio e la grazia di Dio inaccessibili per sempre! Varrebbe meglio morire! Ma, Lucifero, agghiacciato dalla disperazione, sa bene che egli è un Angelo e che è immortale. Ritornare indietro?! Non lo può. La possibilità di peccare era così infima - così improbabile per via della natura angelica - che Dio non gli ha dato la nozione di pentimento. O, quand’anche l’avesse, vorrebbe servirsene ? Il folle orgoglio di Lucifero si inchinerebbe davanti a Dio? Reclamerebbe il suo perdono? Sicuramente no. Lucifero non è più che tenebre e follìa, vuoto e vanità. 

Questa oscurità sorda di lui come lo assordava subito la luce divina. É essa che egli spande sui Cori inferiori, seminandovi la menzogna e l’errore. Miriadi di Angeli di tutti gli Ordini inghiottiscono in questa menzogna seducente: la beatitudine non è in Dio, essa è in noi. Essi non vedono la ferita beante nell’anima di Lucifero, quella ferita che egli dissimula a se stesso quanto lo spaventa. Migliaia di migliaia - dei Serafini, dei Cherubini, dei Troni, delle Dominazioni, delle Potenze, delle Virtù, dei Principati, degli Arcangeli e degli Angeli - riprendono il grido insensato del loro Principe: “Noi non serviamo ! Noi non adoreremo quello che ci è posteriore ed inferiore !”. E, man mano che essi lanciano a loro volta l’assurda sfida, le tenebre calano su di essi, li inghiottiscono. Lucifero è simile ad uno di quei fenomeni cosmici che si chiamano buchi neri, dove s’ingolfano le stelle assassinate. Dal fondo dell’abisso di sofferenza dove ah, certo, ora, i suoi fratelli non lo salutano più con quei nomi gloriosi che gli davano: “Figlio dell’aurora, bellezza perfetta...”. É finito! Ma i titoli che gli gettano non gli dispiacciono: “Principe della Menzogna ! Maestro di Errore! Signore delle Tenebre!”. Il bel Serafino è caduto, quel velo nero della disgrazia assoluta che egli vede abbattersi sulle luminose intelligenze dei suoi fratelli gli apporta, se non un conforto che nulla potrà più dargli, almeno un’amara gioia: egli ha perduto Dio, inconsolabile dolore, ma tutti quelli lo perderanno anch’essi... Egli non sarà dunque solo a dibattersi nell’orrore innominabile, ma ciò è giustizia ora che egli li sa perduti per lui. Come hanno potuto ascoltarlo e distogliersi da quella Bellezza, da quello Splendore, da quell’ Amore che colpiscono Lucifero con tutto il loro bagliore?! Ogni nuovo Spirito folgorato provoca presso il Serafino lo stesso soprassalto di soddisfazione. Non è più solamente l’idea che i suoi compagni non avranno parte a quella felicità di cui si è privato che lo rallegra. É il pensiero che ha rubato a Dio quello che Gli apparteneva. Pazzi di angoscia e di dolore, gli Angeli fuorviati lo chiamano, lo insultano, lo maledicono, accusandolo di averli imbrogliati. E, certo, egli ha loro mentito promettendo loro la scoperta in se stessi di una impossibile gioia. Ma non avevano essi una intelligenza sufficiente, un giudizio illuminato, per permettere loro di rivolgersi non verso di lui ma verso Dio ? É liberamente che essi l’hanno seguito, che l’hanno ascoltato, stornando la loro adorazione dal vero oggetto per compiacersi in quella della loro miserabile natura! Essi non aspettavano che l’occasione, egli l’ha fornita loro...!

Menzogna, Errore, Tenebre, egli è tutto ciò, ma resta Principe, Maestro e Signore, questi onori che l’Altro pretendeva ritirargli per darli al Suo Verbo fatto uomo ed alla Donna che Egli vuole chiamare Sua Madre...No, non è ancora abbastanza,con queste moltitudini di Angeli che non smettono di raggiungerlo nella sua caduta, in mezzo alle urla ed alle maledizioni. L’Uomo, la Donna, egli li perseguiterà instancabilmente. Quella felicità, alla quale egli non avrà mai diritto, egli impedirà loro di raggiungerla! Materia essi sono, in parte, e materia saranno completamente grazie a lui, perché egli ucciderà quell’anima che l’Altro diceva superiore a quella dei Suoi Angeli. Egli ucciderà quelle anime così preziose e meglio amate che non lo era la sua. Egli dividerà eternamente quello che l’Altro ha unito! Quale vendetta! Perché alla sofferenza si aggiungono ora, presso Lucifero, una collera furiosa - che il suo spirito viziato non può più orientare contro se stesso, causa di ogni male - ed un odio così immenso come lo era il suo amore. Questo vuoto insondabile che si è installato in lui, solo l’odio può un poco riempirlo, ed egli non se ne priva. La sua follìa non cessa di crescere. Abominevolmente strappato dalla tortura - che si è lui stesso inflitta nella sua ostinazione e nel suo orgoglio, incapace di calmarlo - Lucifero ritorce il suo furore contro Dio. Dio l’ha intrappolato, si è divertito con lui, l’ha imbrogliato! Egli li ha tutti imbrogliati. Egli ha commesso verso di loro una intollerabile giustizia con cui li castiga per pura crudeltà. Tiranno! Ignobile tiranno ! Egli non è degno di troneggiare sulle nubi ! Abbasso il tiranno ! L’intelligenza pervertita di Lucifero ha rovesciato metodicamente tutti i dati del problema per riporre la questione a suo modo. L’Amore, egli Lo chiama: odio. La Vita, egli La chiama: morte. La Verità: menzogna.La Giustizia: tirannia, e bianco il nero e nero il bianco...
E, prigioniero del suo sistema, della sua logica malata, Lucifero è il primo a credere in quello che egli dice...Egli crede anche - in quell’istante, animato come è dal furore e dalla detestazione, cieco al reale ed al giusto - che la sua potenza di Spirito angelico ha la capacità di prendersela con quel Creatore disonorato dalla Sua volontà di farsi uomo, materia...
La capacità di gettarlo giù dal Suo Trono e di impadronirsene, di diventare Dio, in definitiva. Tale è l’inverosimile programma che egli urla alle sue truppe : “Scalerò i cieli, al di sopra delle stelle di Dio, innalzerò il mio trono, siederò sulla montagna dell’Assemblea, ai confini del Settentrione. Salirò in cima alle nubi. Mi eguaglierò all’ Altissimo. Sarò simile a Dio ! Sarò come Dio!”. Il delirio blasfemo colpisce l’universo di costernazione. Gli Angeli ribelli stessi rimasero colpiti dall’idea che Dio avrebbe potuto annientarli. Sarebbe bastato per far ciò che Egli smettesse di pensarli e, pensandoli, di mantenerli nell’essere. Ma nulla accade. Dio non annienta Lucifero, perché Dio non si pente mai di quello che ha creato. Il delirante Serafino ha già dimenticato che cos’è la Saggezza divina ed egli non vede in questo silenzio, in questa tolleranza, che la prova della debolezza di questo Creatore davanti al quale egli si prosternava velandosi il volto. Ubriaco da ciò che egli prende per vittoria ormai prossima, egli urla sempre di più, in mezzo al silenzio spaventato degli Spiriti : “Sarò simile a Dio ! Io sono come Dio !”. Lucifero è in piedi davanti al Trono di quel Dio, che per lui non è più che tenebre impenetrabili, minacciando. Egli è l’Avversario irriconciliabile. Trascinati dal suo esempio, i suoi compagni avanzano, incoraggiati dall’inazione degli Angeli fedeli.

É allora che un urlo squarcia i cieli, un grido più forte della mostruosa bestemmia luciferina.“Chi osa dirsi l’uguale di Dio? Chi è come Dio ?”.

Lucifero sa subito chi è l’audace pronto a sfidarlo. Forse anche lo sperava quando egli ha lanciato il suo appello alla rivolta in quei termini precisi e che trascinavano questa risposta precisa... “Chi è come Dio ?” Non è il nome dato dal Creatore al secondo dei Serafini, il fraterno luogotenente di Lucifero, l’amico perfetto? O piuttosto, l’ignobile traditore che gli ha disobbedito e si è umiliato per primo davanti alle due creature materiali... “Chi è come Dio ?”. In quel linguaggio umano che sarà quello degli Ebrei, questa domanda ineffabile si dice Mi-Ka-El? É ben Michele che sta tra Lucifero ed il Trono. Ma Michele, come Lucifero, Dio non l’aveva mai visto. Michele il pacifico ed il misericordioso trasformato da una santa collera, pronto a difendere senza debolezze il Benamato insultato. Il Benamato nascosto ed invisibile, di cui Lucifero, devastato da gelosia e da sofferenza, realizza bruscamente che Michele Lo vede, che Lo contempla e che è la Sua Luce che egli irradia... Michele trasfigurato, sublime, fiamma vivente di Dio, braciere di amore e di verità, e che esegue, sereno della giustizia divina.“Chi è come Dio?”. Miliardi di Angeli, sollevati dall’indignazione, ripetono interminabilmente la domanda. Per la prima volta , Lucifero cerca di contare le sue truppe. Quando egli li vedeva morire alla grazia, alla santità, alla felicità ed alla luce, stelle aspirate nel buco nero della sua rivolta, del suo orgoglio, della sua ostinazione, esse gli sembravano innumerevoli. In realtà, esso sono ben meno numerose degli eserciti rimasti fedeli all’Altro e che si stringono intorno a Michele... Un terzo, un terzo solamente degli Angeli ha abbandonato il campo di Dio per seguirlo.

La luce che irradia Michele, e che egli spande a profusione sugli Spiriti dei nove Cori, è insostenibile per Lucifero. Essa lo brucia, ma non di quell’ardore delizioso, di quella sofferenza squisita che egli conosceva quando era ancora il principe dei Serafini. No, di un bruciore atroce, insopportabile, che lo divora senza distruggerlo, come l’amore - una volta - lo divorava senza consumarlo.Ma questa sofferenza agisce su Lucifero come un ago e spinge la sua follia al suo culmine. Con tutto il suo odio, con tutta la sua rivolta, egli si lancia contro Michele. Questa lotta per il primo posto è deciso ad ingaggiarla ed a vincerla. Combattimenti di Spiriti, di intelligenze pure : E se Lucifero ha meno truppe, egli permane persuaso della loro superiorità, a cominciare dalla sua. Egli non teme Michele che ha sempre dominato con la sua scienza, con la sua comprensione dell’universo. Egli è sicuro di trionfare.“Allora vi fu una guerra in cielo : Michele ed i suoi Angeli combatterono il Dragone. E il Dragone rispose coi suoi Angeli”.


Quando Lucifero aveva ingaggiato la lotta, egli credeva alla sua vittoria ma si accorse, troppo tardi, che non l’avrebbe vinta. Non solamente Michele, ma tutti i suoi compagni, fino all’ultimo degli Angeli dell’ultimo Coro, gli oppongono una resistenza trionfale, ma egli nulla può strappare. Lucifero indietreggia davanti a degli Spiriti sui quali egli regnava e che non potevano niente senza il suo soccorso. Che accade? Come queste nature inferiori alla sua possono respingerlo vittoriosamente? Non avendola provata, Lucifero ignora la potenza dell’unione degli Spiriti a Dio. Egli pensava di affrontare delle creature spirituali, di cui ognuna non era suo uguale ma è la forza di Dio che gli fa sbarramento, la forza di Dio riversata nei suoi Angeli fedeli.“Chiunque, uomo od Angelo, aderisce a Dio, diventa spiritualmente uno con Lui e, da ciò stesso, superiore ad ogni altra creatura”. La Luce, l’Amore, la Verità, la Bellezza, la Giustizia, il Bene, tutti questi tesori che Lucifero ed i suoi hanno disprezzato splendono davanti ad essi, infrangibile muraglia, braciere che non possono avvicinare, chiarezza che non possono sostenere. Lo splendore di Dio li respinge. Essi non possono stare in sua presenza. Tali le tenebre davanti al sole, gli Angeli ribelli indietreggiano. Il Cielo, il soggiorno della loro felicità distrutta, li brucia. Essi non pensano più che a sfuggirlo. Lucifero cade, aspirato da quel vuoto insondabile che si è scavato in lui. Un immenso clamore riempie l’universo : “Come sei caduto dal cielo, stella del mattino, figlio dell’aurora? Sei stato gettato in terra, vincitore delle nazioni?”. Lucifero cade, cade, cade, sempre più lontano dal Paradiso perduto. Più egli cade, più crescono in lui la disperazione e l’odio, ed il desiderio di fare del male, il più grande male possibile. Egli viene dal perdere la sua prima battaglia, ma non ha ancora perduto la guerra. La sua vendetta non fa che iniziare. Il cielo gli è chiuso per sempre. Ormai, il suo solo pensiero sarà di impedire all'uomo di entrarvi.


di Don Marcello Stanzione, sacerdote esperto di angeologia

preghiera di avvento