giovedì 17 febbraio 2011

Giornata del Malato


Celebrazione Eucaristica
presieduta da
S. E. Rev. ma Mons. Arturo Aiello
Sparanise, 12 febbraio 2011

VI Domenica del Tempo Ordinario/A
Primi Vespri
LETTURE
Sir 15, 15-20
1 Cor 2, 6-10
Mt 5, 17-37
Omelia

“Aprimi gli occhi, perché io veda le meraviglie della Tua legge”.
Forse questo versetto ci ha colpito perché a proclamarlo è stata una non vedente.
“Aprimi gli occhi”: ci sono cose che abbiamo e che non vediamo, che non vediamo più; siamo tutti non vedenti e, forse, coloro che non vedono possono guidarci prendendoci per mano. Sto parlando in una maniera un po’ paradossale, ma i paradossi ci avvicinano alla verità, cari fratelli e sorelle, sani e ammalati, ma, a ben pensarci, siamo tutti ammalati e, quand’anche fossimo sani, siamo portatori sani di malattie.
È possibile capire la vita alla scuola di chi sembra escluso dalla vita o dalla sua dimensione gioiosa? È l’interrogativo che è alla base di questa Giornata del Malato che celebriamo, che riguarda, certo, gli ammalati, ma riguarda anche chi si prende cura di loro o riguarda chi, apparentemente sano, domani dovesse scoprirsi ammalato.
Noi non riusciamo a vedere se non le cose che ci sono precluse: non vediamo ciò che vediamo, ma vediamo ciò che non riusciamo a vedere; ecco perché la lettura tattile di “Aprimi gli occhi, perché io veda le meraviglie della Tua legge” forse ci ha colpito come parola e, magari, è quello che rimarrà di questa celebrazione.
Che significa che vediamo solo ciò che non vediamo? che siamo messi a contatto con la vita all’atto in cui la vita è diminuita o addirittura in pericolo?
Con un eufemismo, oggi, si parla di “pericolo di vita” quando una volta si diceva “pericolo di morte”, perché la morte non la vogliamo nominare neppure quando è a un passo da noi. Significa che il giovane - per indicare una stagione della vita in cui si potrebbe star bene, ma neanche i giovani sono contenti - rispetto alla sapienza della vita, al gusto della vita, è colui che, meno degli altri, vi ha accesso. Lo dico con un esempio molto semplice. Chi fra voi sappia nuotare - spero molti - ricorderà che da adolescenti si facevano dei tuffi pericolosi, che da grandi ci guarderemmo bene dal fare o, comunque, per utilizzare esperienze più vicine a noi, chi guida, chi va in moto, chi pratica uno sport, si sottopone da giovane, da ragazzo, a pericoli rispetto ai quali un adulto si tiene molto lontano. Ci sono due possibilità: o diventando grandi diventiamo fifoni e quindi ci teniamo ben al sicuro da eventuali pericoli o, diventando grandi, diventiamo saggi. Ovviamente il vostro Vescovo, non fosse altro perché è nella schiera degli adulti (speriamo non degli anziani ancora, ma di qui a poco), protende per questa possibilità: diventando grandi diventiamo più saggi e non facciamo quelle cose pericolose che invece fanno i ragazzi. I vostri figli magari faranno anche delle gare coi motorini, rischiando la vita, perché la vita non la conoscono, perché non ne conoscono la profondità, il valore, e allora che succede? Succede che cominciamo a capire la vita quando la vita ci viene sottratta, perché essere adulti o anziani significa aver staccato gran parte degli assegni dal carnet, che invece i bambini, gli adolescenti, i ragazzi hanno del tutto completi. Dal mio libretto di assegni di vita credo d’aver abbondantemente già staccato la metà degli assegni, diciamo i tre quarti per essere più vicini alla realtà.
Vi ho fatto questo esempio per mettervi sulla strada della comprensione del paradosso che chi non vede ci vede, chi è ammalato può insegnarci cos’è la salute, cos’è la vita, cos’è la vita come dono, nel senso che la privazione ci pone nella condizione della sapienza, più che della ricchezza. Ecco perché le nostre due non vedenti possono guidarci, farci da guida turistica durante questa celebrazione e nella vita, e dirci: “Beati voi”. Ma noi non lo sappiamo, noi neanche ci preoccupiamo d’avere ancora il dono della vista, anche se portiamo gli occhiali. Allora la malattia – ed è quello a cui voglio giungere – diventa un luogo di magistero, cioè la malattia, che sembra essere un luogo di disgrazia, di diminuzione, di umanità a metà, a tre quarti, al 10%, al 60%, diventa invece cattedra e cattedrale di vita.
La Giornata del Malato non è la giornata in cui preghiamo per i malati, ma è la giornata in cui preghiamo i malati di pregare per noi, con un gioco di parole, oppure preghiamo i malati di mettersi in cattedra; il Vescovo potrebbe anche offrire la sua poltrona a qualcuno di voi e dire: “Insegnaci cos’è la vita: facci capire”. E chi fra voi (ho incrociato gli occhi di alcuni che conosco e che questa esperienza l’hanno fatta, come l’ho fatta io), chi fra voi sia stato in ospedale una sera, una notte, tanto più una settimana, dieci giorni, venti giorni, sa cos’è la libertà, cos’è la possibilità di muoversi, cosa significa sedere a pranzo a casa propria, dormire nel proprio letto o svegliarsi nel proprio letto. Allora capite che la malattia diventa – lo dico con una parola difficile – “luogo teologico”, cioè luogo in cui Dio si rivela, tant’è che quando abbiamo problemi noi preghiamo più facilmente, quando abbiamo un bisogno veniamo in chiesa, quando c’è un’emergenza diciamo: “Signore, aiutami!”. Succede raramente nell’abbondanza, succede poche volte quando le cose vanno bene. Il limite ci pone apparentemente nell’emergenza, in realtà ci pone nella vicinanza con Dio. Questo significa la malattia come luogo teologico. D’altra parte, lo abbiamo ascoltato nella Seconda Lettura, dove Paolo, da un po’ di domeniche, ci sta dicendo: “Guardatevi un po’ in giro… – qui diventa ancora più evidente – Guardatevi un po’ in giro: chi siete? Chi è venuto a Messa? Chi fa parte della comunità?”. E Paolo dice: Se vi guardate bene in faccia, scoprirete che ci sono pochi professori universitari – spero di non offendere nessuno –, pochi dotti, pochi sapienti, pochi nobili blasonati secondo le diciture del mondo, ma Dio ha scelto ciò che è ignobile per confondere i forti.
Don Tonino Bello, Vescovo di Molfetta, di cui è in corso il processo di beatificazione, rivolgendosi ad un ammalato che veniva in carrozzella come le nostre invitate d’eccezione in prima fila, ebbe a dire, a scrivere: Tu taglierai il traguardo nell’eternità, arriverai prima di me Vescovo, prima di me che so camminare.
Le carrozzelle sfilano e tagliano, come una volta Fausto Coppi, il traguardo di una gara, che è la gara della vita. Allora il vangelo della croce diventa centro della nostra vita: questo riguarda l’ammalato, ma riguarda anche chi dell’ammalato si prende cura. Mi rivolgo a quelli fra voi che sono barellieri, che sono dame, accompagnatori, ma anche – e dovrebbe essere questo l’appuntamento diocesano – medici, infermieri, cioè quell’esercito di persone che si dedicano agli altri in difficoltà e, rivolgendomi a voi, vi ricordo: quello che ricevete è molto più di quello che date. È l’esperienza che accomuna chiunque sia stato a Lourdes da barelliere o da aiuto (la Giornata del Malato coincide con la Memoria della Beata Vergine di Lourdes), sperimentando che è andato per dare aiuto e ne ha trovato, ne ha ricevuto. Quindi chi si occupa del malato riceve molto più di quello che dà: questo è un altro paradosso. Siamo sul filo del paradosso.
“Aprimi gli occhi, perché io veda le meraviglie della Tua legge”: ci vedono meglio quelli che non vedono, stanno meglio quelli che stanno peggio; dalla dimensione della precarietà, si ha la possibilità di godere della vita nelle sue piccole gioie più di quanto non ci offra l’esperienza della salute. I poveri sono i nostri maestri e i plenipotenziari, quelli che ci fanno l’elemosina. I poveri ci fanno l’elemosina, ci ottengono un lasciapassare per l’eternità; impossibilitati, ci istruiscono sulle cose della vita e della fede. Dunque coraggio a tutti voi, voi che siete ammalati oggi – tra questi ci sono anch’io per la verità, anche il Vescovo è ammalato, e non da oggi – ma anche, lo dico sorridendo, a quelli che saranno ammalati domani; non dite mai: “Mi è capitata una disgrazia!”. Dite: “Una grazia è scesa su di me”.
Grazie a te, che hai letto senza vedere. “Aprimi gli occhi, e vedrò le meraviglie della Tua legge”.     
***
Il testo, tratto direttamente dalla registrazione, non è stato rivisto da S.Eccellenza.

Nessun commento:

Posta un commento