JULIA GROTTA Nata il 15 10 1907 - Morta il 7-2-1990 Nel buio della cappella vuota stava in ginocchio una donna alta e giovane. Teneva fra le sue dita affusolate di violinista un Rosario, ma non lo stava recitando. Era la notte tra il Venerdì di Passione e il Sabato Santo, quando la Chiesa tace ed i credenti rivivono nel silenzio il dolore del Crocifisso. La voce di un uomo ruppe il silenzio nella cappella. Sussurrava il nome della giovane: "'Giulia!". Ella pensò che fosse entrato qualcuno, benché la voce non le giungesse da dietro le spalle. Era sola e quella voce, dolce ed insistente, continuava a chiamarla. Lentamente, come un sipario, il buio si alzò, ed una colonna di luce assunse la forma di un uomo, spogliato e ferito, che le disse: '"Sono tanto solo, Giulia, vieni con me nel deserto! Non ti lascerò mai". Giulia sapeva bene chi fosse quell'Uomo, e nel suo sguardo colse un amore infinito. Senza parole rispose di sì alla chiamata di Lui e gli donò tutto il suo cuore. Alla fìne il buio e il silenzio la riavvolsero di nuovo e Giulia si sciolse in un pianto di gioia. Era la Settimana Santa del 1934. Per la prima volta Giulia Grotta partecipava agli Esercizi Spirituali organizzati dal suo collegio universitario nel Connecticut, retto dalle Suore Domenicane. Aveva venti sei anni. Era una brava ragazza, cattolica e praticante, ma tutt'altro che predisposta alle estasi mistiche. Aveva molti amici, ma non si era ancora fidanzata. Simpatica ed attraente, era dotata di una singolare forza di carattere. Pensava di restare nubile, ma non si sentiva attratta dalla vita delle suore. Tutto cambiò dopo l'incontro con l'Uomo con la corona di spine. L'amore che le offrì in quella notte pasquale la riempì fino a non lasciare più spazio per altri amori. In un istante la sua vita cambiò. Ci vollero però undici anni di ricerca prima che la giovane trovasse il deserto al quale l'aveva chiamata l'Uomo della visione... Giulia era di origine italiana: i suoi genitori, contadini della zona di Piacenza, erano emigrati nel Connecticut per continuarvi il loro lavoro. Il primo a partire era stato il padre di Giulia, Luigi. Poi lo aveva seguito la moglie Maria Ramponi, con i due figli maschi e le tre femmine. Si erano stabiliti tra Boston e New York e presto avevano ottenuto la cittadinanza americana. Qui erano nate le loro altre due figlie, l'ultima delle quali, Giulia, vide la luce il 15 ottobre 1907. La bimba si rivelò molto precoce e vivace. Da adulta ricordava ancora che, a tre o quattro anni, mentre giocava con le sorelle, si trovò a pensare: "Le mie sorelle e le altre bambine si sposeranno e avranno dei figli e delle figlie: io invece non mi sposerò mai". A diverse riprese Dio le fece intuire che era chiamata a qualcosa di ignoto e di grande, fuori dall'ordinario. Questa bimba, un po' viziata e volitiva, sviluppò un carattere forte. Lei stessa diceva che i suoi genitori non ottenevano nulla da lei con la severità e le minacce. Solo sentendo di poter agire in tutta libertà e convinzione trovava in sé le risorse per affrontare anche le cose più ardue. I Grotta erano credenti, e mamma Maria volle che i suoi figli frequentassero il catechismo per prepararsi ai Sacramenti. Nel 1916 Giulia ricevette la Cresima e continuò a crescere fino a farsi una ragazza seria, preoccupata di adempiere perfettamente tutti i suoi doveri, anche quelli religiosi, che tuttavia restavano ancora nell'ambito delle cose "da farsi". Eppure ella era attratta dalle chiese vuote e silenziose. Quando nessuno poteva vederla, vi entrava e si inginocchiava, passandovi molto tempo, attirata dalla presenta di Gesù. Giulia era un'ottima studente ed un'eccellente musicista, sempre tesa a raggiungere i traguardi più elevati. Aveva pochi amici, forse perché la sua serietà e decisione incutevano un po' di timore ai suoi coetanei. Conseguita la maturità liceale nel 1926. volle poi continuare i suoi studi di musica a New York: qui alloggiò presso una sorella e si mantenne agli studi lavorando come ballerina. Dopo tre anni ottenne i diplomi di teoria musicale e di violino, e quindi un altro, ancor più prestigioso, presso la Yale University School of Music. Quindi si iscrisse all’ Albertus Magnus, un college cattolico dove frequentò la facoltà di lettere, continuando da privatista gli studi di musica. Qui Dio l'aspettava per rivelarle la sua particolarissima vocazione, in quella "notte beatissima'' del Venerdì Santo, facendola passare dalla religione dei "'doveri" ad un vera discepolato. La sua vita ne restò sconvolta, anche se nessuno si avvide di questa trasformazione. Giulia non parlò mai a nessuno della visione; solo una volta, dopo gli Esercizi, ne accennò in confessione ad un sacerdote, che la qualificò come una fantasia, inducendola a non parlarne più ad alcuno. Aveva il buon senso di riconoscere il carattere unico della visione e di sapere che probabilmente non ne avrebbe avute altre. Per il momento decise di terminare gli studi e di abituarsi ad un ritmo regolare di preghiera e lavoro, centrato sull'Eucarestia quotidiana. Inoltre, senza chiedere consigli, cominciò a praticare penitenze di una severità estrema; ben presto se ne astenne, comprendendo che, invece di farla progredire nella fede e nella virtù, la rendevano soltanto impaziente e tesa. Conseguita la laurea in letteratura inglese e francese, la ragazza intuì che era giunta l'ora di mettersi alla ricerea del ''deserto" dove l'aspettava il suo Signore. Tornò a New York dove le indicarono il gesuita Thomas Brady come ottimo direttore spirituale e a lui si rivolse aprendogli il cuore. Il gesuita stentò a credere alla visione e la fece desistere dal progetto che Giulia aveva fatto di andare a vivere nel deserto di Giuda, in Palestina. Le suggerì invece un "deserto" metaforico e più tradizionale: il Carmelo. Nella festa dell'Assunta del 1937 ella entrò dunque come postulante fra le Carmelitane Scalze di Newport, Rhode Island. Dopo i primi mesi passati serenamente, cominciò però ad essere inquieta e capì che quello non era il posto per lei, che si sentiva chiamala a un vero "deserto". Uscita dal Carmelo, padre Brady le consigliò di andare a Roma e lì aspettare che si manifestasse la volontà di Dio per lei. Giunta nella capitale, dopo un mese e mezzo di ricerche. Giulia fu accolta dalle Benedettine Camaldolesi di Sant'Antonio Abate. Qui fece la vestizione con il tradizionale abito bianco da sposa. Ma poco dopo uscì anche da quella comunità, perché non vi trovò corrispondenza con il suo esigentissimo desiderio di solitudine. Riprovò in un Carmelo romano ma anche qui, dopo cinque anni di permanenza, con la salute minata e l'anima oppressa, udì la stessa voce della "notte beatissima" che le diceva: "Ti ho chiamato nel deserto: cosa fai qui in un convento?". Al termine di una lunga e travagliata ricerca, approdò nuovamente alle Benedettine Camaldolesi, che l'accolsero come "reclusa" privata nel loro monastero. Prima di entrarvi, il 21 novembre 1945, ottenne un'udienza e la benedizione del papa Pio XII. Se è drammatica la storia della ricerca del "deserto" da parte di Giulia, altrettanto lo è la sua vita da "reclusa'', anche se le sofferenze, le Iotte, le incertezze sono più intime e meno quantificabili. Sono comunque sempre legate alla volontà di rispondere in modo radicale ad una chiamata divina, della cui autenticità non dubitò mai, da attuarsi in una stagione ecclesiale, quella pre e postconciliare, carica anche di tensioni, inquietudini, fermenti. Presso le Camaldolesi, assunto il nome di Nazarena, ella visse in una cella del monastero, isolata dalla comunità, indossando un rude saio di sacco e seguendo una regola di vita molto austera. Essa prevedeva digiuni, penitenze, continua preghiera ed assiduo lavoro manuale, da condursi in un'atmosfera di fede, speranza, amore. Il fine? Il raggiungimento della perfetta docilità ad ogni mozione dello Spirito Santo e il "non lasciar passare neppure un minuto che non sia un'offerta, una partecipazione alla passione di Gesù". Suor Nazarena parlava in termini generici delle "anime" e pregava per la salvezza eterna di tutti, ma, in concreto, viveva nel proprio corpo la condizione dei poveri, degli sfruttati, degli emarginati, delle vittime di ogni guerra. La sua solitudine era praticamente assoluta: comunicava solo con il direttore spirituale, l'Abbadessa e la monaca che le assegnava il lavoro. Nonostante ciò, potè ripetutamente affermare: "Io non sono mai sola: Gesù mi ha detto, e mantiene la promessa, di starmi sempre vicino". Parlava anche, con lenerezza infantile, della "Madonnina", che veniva a sedersi accanto a lei. Chi la dirigeva è convinto che Nazarena avesse l'esperienza mistica del contatto con la Santissima Trinità e sottolinea la gioia, la pace e la tranquillità che trasparivano da ogni sua parola. Il 7 febbraio 1990. dopo ben quarantacinque anni di solitudine assoluta, morì circondala dalle sorelle Camaldolesi, che riempirono del canto dei salmi le due ultime ore della sua esistenza e che, al momento del suo trapasso, "sperimentarono la gioia della resurrezione", secondo la testimonianza di una di loro.
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