venerdì 13 maggio 2016

il dialogo soppianta l' evangelizzazione

Più che dialogare bisogna evangelizzare!


    
Sabato mattina 30 gennaio, nel salone del seminario della diocesi di Vercelli, per promuovere il dialogo interreligioso, è intervenuto l'Imam di Firenze, Izreddin Elzir, presidente dell'Unione comunità islamiche d'Italia. Egli ha presentato l'islam, come “una fede religiosa che non può essere imposta da nessuno ma dovrebbe essere una libera scelta, perché Dio ci ha creati liberi”. E ha aggiunto: “Il rapporto del mussulmano con il Creatore non è di sudditanza, ma di adorazione, rispetto, clemenza e misericordia. Chi afferma di uccidere in nome della fede è un criminale. Nessuna fede aizza alla violenza, le guerre non sono sante, sono sporche. Il diverso non è il nemico da eliminare ma una risorsa preziosa, credente o non credente” (cf. “Corriere l'Eusebiano” Sabato 6 febbraio, 2016, pag. 4). Mi domando, se chi ha fatto simili affermazioni possa ritenersi un vero mussulmano o invece un semplice opinionista della fede che dice di professare e di cui è maestro a Firenze. Ha detto che: “Il rapporto del mussulmano con il Creatore non è di sudditanza”, ignorando completamente il significato del termine “islam” che deriva dal verbo arabo “aslama”, cioè “sottomettersi a Dio”. Infatti l'imam britannico Anjem Choudary scrisse in una lettera aperta a pochi giorni dai fatti del 7 gennaio 2015 che: “Contrariamente a quello che si crede, Islam non vuol dire pace ma sottomissione al volere di Allah”. Ha poi affermato, l'imam di Firenze, che “l'islam è una fede che non può essere imposta”, mentre il Corano afferma: “La sola vera religione agli occhi di Dio è l'islam”; “Ai miscredenti verrà versata acqua bollente sulle loro teste, che fonderà le loro viscere e la loro pelle”; “Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti”; “colpiteli tra capo e collo, colpiteli su tutte le falangi!” (3,19; 22:19-22; 8,12). Ha affermato ancora: “Il diverso (il non mussulmano) non è il nemico da eliminare”, mentre il Corano afferma: “Combattete quelli che non praticano la religione verace. Combatteteli pure fino a che non abbiano pagato, uno ad uno, il tributo e non siano umiliati” (9,29); e ancora: “nessuna fede aizza alla violenza”, mentre il Corano afferma: “Quella sarà la ricompensa dovuta a coloro che fanno guerra al Dio e al suo Messaggero... Moriranno di morte violenta. Saranno crocifissi. Gli sarà tagliata una mano, gli sarà amputata la gamba della parte opposta a quella della mano. Saranno cacciati dal loro territorio. Destino crudele! Vergogna qui in terra, castigo tremendo nell'aldilà” (5,33).
 
C'è stato forse qualcuno dei presenti nel salone del seminario che ha ripreso l'imam sulle imprecisioni e sulle “volute” distrazioni coraniche? Certamente l'imam era informato del fatto che i cristiani ignorano la fede islamica, e quindi non ha faticato molto a presentare l'islam come una religione di pace, di fratellanza e di rispetto verso le altre professioni. Questo lo si deve considerare dialogo? L'imam avrebbe dovuto aiutare gli ascoltatori a comprendere le contraddizioni insite nel Corano che se da un lato giustifica le azioni criminose dei seguaci dell'Isis quando afferma: “Getterò il terrore nel cuore dei miscredenti”; “Combattete quelli che non praticano la vera religione” (3,19; 9,29), e nello stesso tempo esorta a vivere la pace tra i popoli quando afferma: “Ma quelli che credono, siano essi ebrei o cristiani, quelli che credono cioè in Dio e nell'Ultimo giorno e operano il bene, avranno la loro mercede presso il Signore, e nulla avranno da temere né li coglierà tristezza” (2, 62). Affermava il teologo padre Gianni Baget Bozzo: “Senza una coscienza critica delle differenze, il dialogo avviene nel vuoto”. Il vescovo di Imola Tommaso Ghirelli, qualche anno fa, scriveva sul giornale diocesano “Nuovo Diario Messaggero” che: “Dialogare non equivale a dare sempre ragione all'altro e neppure a sottacere le diversità di vedute, per accordare ciò che è vantaggioso rimuovendo i contrasti. Conviene anzi che i punti di disaccordo siano noti ad entrambi le parti, perché solo così potranno essere prima circoscritti e poi ridotti. Il dialogo implica la dialettica... Bisogna evitare di rinunciare al confronto aperto, leale, informato” (cf. “Avvenire”, sabato 13 sett. 2014, pag.10).
 
“Tanti anni fa -racconta Zouhir Louassini sull'Osservatore Romano di giovedì 28 agosto 2014- in un incontro organizzato dalla moschea di Madrid sul dialogo tra mussulmani e cristiani, vissi un'esperienza che mi fece capire quanto sia difficile avviare un vero dialogo tra le religioni. Al convegno era presente un giovane imam d'una piccola moschea di Spagna, che mi raccontò come fosse stato appoggiato dalle suore cattoliche per costruire il suo luogo di culto e anche come la Chiesa avesse dato una mano alla piccola comunità mussulmana nella zona. Una terza persona che era lì con noi, un po' provocatoriamente, disse con un sorriso: “Ma allora i cristiani non sono degli infedeli!”. Il religioso replicò con stizza: “Sono sempre infedeli e la loro unica salvezza è nella conversione all'islam!”. E se ne andò verso la sala per partecipare al dibattito programmato sul dialogo religioso. Col tempo ho imparato che il dialogo tra le religioni non può consistere solo nell'incontrarsi in convegni per parlare del tempo, del cibo; e tanto meno nel limitarsi a esaltare i meriti della propria fede. Il dialogo ha bisogno di sincerità, di stima tra gli interlocutori e, soprattutto di una vera conoscenza dell'altro”. 
 
Cosa intende il mussulmano per dialogo? Quanto gli prescrive il Corano: “O miscredenti, io non adoro ciò che voi adorate, nè voi adorate ciò che adoro io. Io mai adorerò ciò che adorate voi, nè voi mai adorerete ciò che adoro io. Tenetevi la vostra religione: io la mia!” (109,16) 
 
Cosa intendeva invece Gesù per dialogo? Passando per la Samaria, Gesù si fermò nella città chiamata Sichar presso il pozzo di Giacobbe; era circa l'ora sesta. Vene una donna ad attingere acqua; era una samaritana. -C'è da sottolineare che i giudei non avevano rapporti con i samaritani, considerati stranieri per nazionalità, scismatici ed impuri per religione-. Gesù non essendo un razzista aprì subito il dialogo con lei da permettere una reciproca conoscenza. A un certo punto la donna gli disse: “Vedo che tu sei un profeta. I nostri padri adorarono su questo monte, e voi dite che è a Gerusalemme il luogo dove si deve adorare”. Mi chiedo: Se al posto della donna samaritana si fosse trovato un imam a domandare a Gesù: “Il dio che predichiamo, per noi è il vero dio, mentre voi dite che è il Dio che predicate il vero Dio e che deve essere ascoltato”, Gesù come avrebbe risposto? Con grande schiettezza gli avrebbe detto come rispose alla donna samaritana: “Voi adorate quello che non conoscete; noi adoriamo quello che conosciamo, perché la salvezza viene dal Figlio di Dio che è qui che ti parla” (cf. Gv. 4,1-23). Se per dialogare si debba intendere il voler tenere buoni rapporti con i fedeli di altre religioni così da realizzare una convivenza pacifica, nascondendosi o camuffando la propria fede cristiana, c'è da chiedersi: Quando verrà messo in pratica il comando del Signore che ci è stato dato attraverso il sacramento del Battesimo: “Andate in tutto il mondo e predicate il Vangelo, e fate miei discepoli tutte le genti”? I mussulmani non hanno bisogno di dialogare, ma di convertirsi a Cristo, perché solo attraverso la conversione a Cristo impareranno a rifiutare il terrorismo e a rispettare le convinzioni altrui. Il grande islamologo, il gesuita padre Samir Khalil Samir, ha scritto qualche tempo fa: “E' ora di rievangelizzare i cristiani, i mussulmani e gli atei e predicare la Buona Novella”. Oggi più che mai si sente il bisogno di risentire nella Chiesa il grido di san Paolo: “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” (1Cor. 9,16). Se noi cristiani la smettessimo di ignorare ciò che pensano di noi i nostri interlocutori, e iniziassimo a testimoniare loro la nostra fede cristiana, senza se e senza ma, forse il mondo sarebbe meno violento di quello in cui siamo costretti a vivere, e l'esperienza dei primi cristiani ce lo continua ad insegnare.
 
Mercoledì delle Ceneri, 10 febbraio 2016
padre Basilio Martin

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