Islamici contro cani e maiali. Gli animalisti si adeguano
L’Aidaa non è l’acuto del tenore in un’opera verdiana ma un’Associazione Italiana sorta in Difesa degli Animali e dell’Ambiente. Insomma, ecologisti e soprattutto animalisti. Di iscritti ne ha non pochi, ma sono molti di più i simpatizzanti (gente, cioè, che possiede un cane e un gatto, ma mai si sarebbe sognata di trasformare il suo hobby in –ismo se qualcuno non l’avesse aizzata). Sicuramente, cari lettori, avrete nella vostra cerchia di amicizie e conoscenze qualche animalista fai-da-te. L’identikit-tipo è il seguente: nessun interesse filosofico e –figurarsi- religioso, molta attenzione al cibo e alla forma fisica, passione per la bici, le camminate in montagna, le vacanze in luoghi turistici pianificate con un anno di anticipo.
Uno così, incapace di vivere per come pensa, finisce per pensare per come vive, e dunque giudica non con l’intelletto, ma con la pancia. Perciò è permeabilissimo agli slogan emotivi. Dunque, si pone genericamente a sinistra. Una persona del genere l’avevo di fronte in un salotto al quale ero stato invitato e nel quale, ahimè, non potevo mancare per obblighi di famiglia. Ogni tanto, tuttavia, un tuffo in società mi serve a rendermi conto che nel mondo odierno l’eccezione sono quelli come me e come voi lettori del Lnbq. Poiché quella sera la tivù era accesa e passavano le immagini dei tagliatori di teste del Califfato, la persona di cui sopra se ne uscì col più trito dei luoghi comuni: eh, le religioni creano solo problemi. Non potei trattenermi dal fargli osservare che la religione che crea problemi è solo una. Se ne è accorto anche il presidente dell’Aidaa, che ha pure la sfortuna di declinare un cognome pochissimo adatto alla incresciosa circostanza di cui diremo subito: Lorenzo Croce.
Cos’avevano fatto, lui e l’associazione che presiede? Avevano invitato i presidi e i direttori didattici milanesi a inserire nel programma delle gite scolastiche visite a fattorie e a canili, onde sensibilizzare i pargoli ecc. ecc. L’invito era da intendersi esteso al ministro nazionale, agli assessori comunali e regionali, ai provveditori. Non l’avesse mai fatto. Subito il suo computer è stato bersagliato da sdegnate mail di mamme musulmane. Perché? Ma perché cani e maiali (questi ultimi spesso presenti nelle fattorie) sono bestiacce «impure» per la religione islamica. Anche solo toccarli per sbaglio richiede un lungo rituale di purificazione e diverse lavature. L’anno scorso scoppiò il caso dei taxisti e dei guidatori di bus londinesi che, se musulmani, non facevano salire i cani-guida dei ciechi (e chissà come è andata a finire, anche se un triste sospetto lo abbiamo). Ora tocca agli animalisti italiani. I quali, a rigor di logica, dovrebbero essere contrari anche alle macellerie islamiche: le carni «halal» provengono da bestie sgozzate e dissanguate.
E in effetti, Lorenzo Croce ammette (fonte: Il Giornale del 4 settembre) che sì, un animalista che si rispetti è contrario al metodo «halal». Però, non risultano furibonde campagne animaliste in tale senso. A dirla tutta, mai sentito di proteste contro il metodo «kosher», che è identico a quello musulmano, ma è praticato dagli ebrei osservanti. Diciamo che fin qui si è chiuso un occhio, anche perché gli ebrei osservanti in Italia sono pochi, sui trentacinquemila. Il problema praticamente non esisteva fino al sorgere dell’ideologia animalista. La quale ora si trova, in Italia, ad avere a che fare con i musulmani. Che non sono poche decine di migliaia ma un milione e mezzo. Ed ecco il dilemma animalista: se te la prendi con lo sgozzamento rituale degli animali non vai lontano, perché la «motivazione religiosa» sta prendendo sempre più campo nei tribunali europei come attenuante e, in certi casi, addirittura giustificante. Non solo, ma rischi pure qualche «fatwa» lanciata da un imam particolarmente nervoso.
Non rimane quindi che optare per la seguente soluzione: se il maltrattatore di bestiole (fossero anche grandi predatori come orsi e lupi) è battezzato e di stirpe italiana, gli si dà addosso con assedi sotto casa, insulti, denunce, fino a fargli venire un infarto come il circense addestratore di cammelli di cui a suo tempo parlammo su queste colonne. Se invece è musulmano o romanì, zitti e mosca, perché il relativismo politicamente corretto prevede la prevalenza del «diritto» delle minoranze (non tutte, ma solo quelle agguerrite) a vivere secondo la loro «cultura». Oggi il problema è degli animalisti, prima o poi lo sarà dei Lgbt. Come si ricorderà, il cardinale Giacomo Biffi aveva raccomandato di selezionare gli ingressi in tema di immigrazione, accordando una corsia preferenziale ai cristiani per il semplice motivo che si sarebbero integrati più facilmente. Naturalmente fu subissato di improperi.
Ebbene, anche quelli dell’Aidaa dovrebbero sapere che la Chiesa ha sempre benedetto gli animali, talvolta con rituali appositi. E che san Francesco, eretto a icona di ecologisti e, appunto, animalisti, era cattolico. Ma gli –ismi sono così: buone intenzioni a parole e disastri senza fine nei fatti. L’ultimo di essi, il relativismo, è addirittura cretino, perché si avviluppa da solo in una serie di contraddizioni da cui non riesce più a sgarbugliarsi. Così, alla cieca, finisce nella solita direzione anticristiana. Un tempo, infatti, si insegnava che lo stupido è il cavallo del diavolo. Meglio: il somaro.
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