giovedì 9 agosto 2012

san lorenzo

10 agosto
san Lorenzo



UFFICIO DELLE LETTURE
Prima Lettura Dagli Atti degli Apostoli 6, 1-6; 8, 1. 4-8I sette ministri eletti dagli apostoli
In quei giorni, mentre aumentava il numero dei discepoli, sorse un malcontento fra gli ellenisti verso gli Ebrei, perché venivano trascurate le loro vedove nella distribuzione quotidiana. Allora i Dodici convocarono il gruppo dei discepoli e dissero: «Non è giusto che noi trascuriamo la parola di Dio per il servizio delle mense. Cercate dunque, fratelli, tra di voi sette uomini di buona reputazione, pieni di Spirito e di saggezza, ai quali affideremo quest'incarico. Noi, invece, ci dedicheremo alla preghiera e al ministero della parola». Piacque questa proposta a tutto il gruppo ed elessero Stefano, uomo pieno di fede e di Spirito Santo, Filippo, Pròcoro, Nicànore, Timòne, Parmenas e Nicola, un proselito di Antiochia. Li presentarono quindi agli apostoli i quali, dopo aver pregato, imposero loro le mani.
(Dopo l'uccisione di Stefano) scoppiò una violenta persecuzione contro la chiesa di Gerusalemme e tutti, ad eccezione degli apostoli, furono dispersi nelle regioni della Giudea e della Samaria.
Quelli però che erano stati dispersi andavano per il paese e diffondevano la parola di Dio.
Filippo, sceso in una città della Samaria, cominciò a predicare loro il Cristo. E le folle prestavano ascolto unanimi alle parole di Filippo sentendolo parlare e vedendo i miracoli che egli compiva. Da molti indemoniati uscivano spiriti immondi, emettendo alte grida e molti paralitici e storpi furono risanati. E vi fu grande gioia in quella città.

Responsorio   Cfr. Mt 10, 32; Gv 12, 26Chi mi confesserà davanti agli uomini, dice il Signore,
* anch'io lo confesserò davanti al Padre mio che è nei cieli.
Se uno mi vuol servire, mi segua; e dove sono io, là sarà anche il mio servo;anch'io lo confesserò davanti al Padre mio che è nei cieli.

Seconda Lettura Dai «Discorsi» di sant'Agostino, vescovo  (Disc. 304, 14; PL 38, 1395-1397)
Fu ministro del sangue di Cristo
Oggi la chiesa di Roma celebra il giorno del trionfo di Lorenzo, giorno in cui egli rigettò il mondo del male. Lo calpestò quando incrudeliva rabbiosamente contro di lui e lo disprezzò quando lo allettava con le sue lusinghe. In un caso e nell'altro sconfisse satana che gli suscitava contro la persecuzione.
San Lorenzo era diacono della chiesa di Roma. Ivi era ministro del sangue di Cristo e là, per il nome di Cristo, versò il suo sangue.
Il beato apostolo Giovanni espose chiaramente il mistero della Cena del Signore, dicendo: «Come Cristo ha dato la sua vita per noi, così anche noi dobbiamo dare la vita per i fratelli» (1Gv 3,16). Lorenzo, fratelli, ha compreso tutto questo. L'ha compreso e messo in pratica. E davvero contraccambiò quanto aveva ricevuto in tale mensa. Amò Cristo nella sua vita, lo imitò nella sua morte.
 Anche noi, fratelli, se davvero amiamo, imitiamo. Non potremmo, infatti, dare in cambio un frutto più squisito del nostro amore di quello consistente nell'imitazione del Cristo, che, patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme» (1Pt 2,21). Con questa frase sembra quasi che l'apostolo Pietro abbia voluto dire che Cristo patì solamente per coloro che seguono le sue orme, e che la passione di Cristo giova solo a coloro che lo seguono. I santi martiri lo hanno seguito fino all'effusione del sangue, fino a rassomigliargli nella passione. Lo hanno seguito i martiri, ma non essi soli. Infatti, dopo che essi passarono, non fu interrotto il ponte; né si è inaridita la sorgente, dopo che essi hanno bevuto.
Il bel giardino del Signore, o fratelli, possiede non solo le rose dei martiri, ma anche i gigli dei vergini, l'edera di quelli che vivono nel matrimonio, le viole delle vedove. Nessuna categoria di persone deve dubitare della propria chiamata: Cristo ha sofferto per tutti. Con tutta verità fu scritto di lui: «Egli vuole che tutti gli uomini siano salvati, e arrivino alla conoscenza della verità» (1Tm 2,4).
Dunque cerchiamo di capire in che modo, oltre all'effusione del sangue, oltre alla prova della passione, il cristiano debba seguire il Maestro. L'Apostolo, parlando di Cristo Signore, dice: «Egli, pur essendo di natura divina, non considerò un tesoro geloso la sua uguaglianza con Dio». Quale sublimità!
«Ma spogliò se stesso, assumendo la condizione di servo e divenendo simile agli uomini; apparso in forma umana, umiliò se stesso» (Fil 2,7-8). Quale abbassamento! Cristo si è umiliato: eccoti, o cristiano, l'esempio da imitare. Cristo si è fatto ubbidiente: perché tu ti insuperbisci? Dopo aver percorso tutti i gradi di questo abbassamento, dopo aver vinto la morte, Cristo ascese al cielo: seguiamolo. Ascoltiamo l'Apostolo che dice: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù, dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio» (Col 3,1).


Responsorio    Cfr. Sal 17, 3
Il martire Lorenzo proclamava ad alta voce: Adoro il vero Dio, e servo a lui solo;
* perciò non mi spaventa la tortura.
Dio è il mio aiuto, in lui ho fiducia:perciò non mi spaventa la tortura.

oppure: seconda lettura
Dai «Discorsi» di san Leone Magno, papa  (85,1.2.4)
Gli esempi sono più efficaci delle parole
Carissimi, poiché la perfezione di tutte le virtù e la pienezza di ogni giustizia nascono da quell'amo­re col quale si ama Dio e il prossimo, senza dub­bio in nessun altro quest'amore si trova in grado più eccellente e risplende in modo più fulgido come nei santi martiri. Questi infatti sono più vi­cini al Signore nostro Gesù Cristo morto per tutti noi uomini, sia perché hanno imitato la sua ca­rità, sia perché gli sono divenuti simili per la loro passione.

Certamente la generosità di qualsiasi uomo non può essere paragonata a quell'amore col quale il Signore ci ha riscattati. Una cosa infatti è che per il Giusto dia la vita l'uomo mortale, altra cosa è che il Giusto, esente dal debito della morte, dia la sua vita per gli empi. Tuttavia anche i martiri hanno contribuito molto al bene di tutti gli uomi­ni, poiché il Signore che gliel'ha data si è servito della loro fortezza per diminuire agli occhi dei suoi figli l'aspetto tremendo della morte e l'atro­cità della croce, anzi per renderla imitabile a molti.
Come nessun uomo buono lo è solo per se stesso e la sapienza di un sapiente non giova a lui solo, così ogni virtù autentica ha questa proprietà: che chi la possiede in grado luminoso può ritrarre molti dalle tenebre dell'errore; nessun esempio quindi è più utile per istruire il popolo di Dio quanto quel­lo dei martiri. L'eloquenza può facilmente perora­re una causa, la ragione può riuscire a persuadere, ma gli esempi restano sempre più efficaci e più forti delle parole; e vale molto più insegnare con le opere che coi discorsi.
Ora, in questo eccellente genere di insegnamento, come risplende bene per dignità e gloria il beato Lorenzo la cui passione rende illustre questo gior­no! I suoi stessi persecutori lo poterono consta­tare, quando la sua meravigliosa forza d'animo, attinta all'amore di Cristo come a suo principio, non solo non cedette, ma servì a fortificare anche gli altri con l'esempio della sua pazienza. Il furore delle autorità pagane infieriva contro le membra più elette del corpo di Cristo e ricercava soprattutto coloro che appartenevano all'ordine sacerdotale. Fu allora che l'empio persecutore si accese d'ira contro il levita Lorenzo, il quale esercitava funzioni preminenti non solo nell'ammini­strazione dei sacramenti, ma anche in quella dei beni della Chiesa. Egli si riprometteva un doppio guadagno dall'arresto di un tal uomo: se infatti fosse riuscito ad avere da lui la consegna dei beni ecclesiastici, lo avrebbe anche facilmente allonta­nato dalla vera religione. Perciò il persecutore, avido di denaro e nemico della verità, è armato di doppia passione: di avarizia per strappargli il denaro e di empietà per dislaccarlo dal Cristo. Al custode incorrotto del sacro tesoro chiede la con­segna dei beni della Chiesa, dei quali era avidissi­mo. Ma il santo levita, mostrandogli dove li aveva riposti, gli presentò una turba innumerevole di cri­stiani poveri, per il cui vitto e vestito aveva speso quelle ricchezze inalienabili, le quali apparivano tanto più integralmente conservate, in quanto più santamente spese.
Il predone, deluso nelle sue brame e pieno di odi contro quella religione che aveva insegnato un tale impiego delle ricchezze, tenta di attaccare un teso­ro ben più prezioso: cerca, cioè, di sottrarre a colui dal quale non aveva potuto ricavare alcun vantag­gio in denaro, quel deposito che lo rendeva più santamente ricco.
Ordina dunque a Lorenzo di rinnegare Cristo e si prepara a vincere con crudeli supplizi quella incrollabile fortezza d'animo del levita. Rallegria­moci dunque, carissimi, di gioia tutta spirituale e, considerando la fine di questo illustre eroe, gloriamoci nel Signore «mirabile nei suoi santi» (Sal 67, 36 Volg.), che li ha costituiti nostri protettori e modelli. Egli ha voluto manifestare la sua gloria in tutto l'universo, di modo che dal sorgere del sole al suo tramonto risplenda la fama dei suoi ministri e, come Gerusalemme è stata glorificata da Stefano, così anche Roma lo sia per merito di Lorenzo.
Dalla sua preghiera e dal suo patrocinio, confidia­mo sempre di essere soccorsi e, poiché secondo le parole dell'Apostolo ''tutti quelli che vogliono vive­re piamente in Cristo Gesù, saranno perseguitati" (2 Tm 3,12), procuriamo di fortificarci con lo spi­rito di carità e di armarci con una fede solida e costante per superare tutte le prove.

responsorio
II beato Lorenzo disse: mi sono offerto in sa­crificio,
* come soave profumo.
Sono ricolmo di gioia perché ho meritato di diventare ostia di Cristo,
come soave profumo.        

vangelo Dal vangelo secondo Giovanni (12, 24-26)
In quel tempo, Gesù disse ai suoi discepoli: «In verità, in verità vi dico: se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto.
Chi ama la sua vita la perde e chi odia la sua vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. Se uno mi vuol servire mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servo. Se uno mi serve, il Padre lo onorerà».

terza lettura
Dal «Commento sul vangelo di Giovanni» di s. Cirillo d'Alessandria, (Lib. 7 e 8)
È necessario, dice il Signore, che quanti mi vogliono seguire dimostrino una fortezza e una fiducia pari alla mia
«Se il chicco di grano caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frut­to» (Gv 12,24). Il Signore non si limita a soffrire mentre preannunzia la sua passione ed è ormai giunta la sua ora, ma espone anche il motivo che gli ha reso dolcissimo il soffrire e per cui tanto grande ne sarebbe stato il vantaggio. Altrimenti non avreb­be scelto di soffrire, non potendo esservi costretto contro voglia. Fu infatti per il suo amore estremo e per la sua grandissima sollecitudine verso di noi che giunse a tal punto di mansuetudine da non temere di soffrire tutte le pene più crudeli. E come il chicco di grano, seminato, produce mol­te spighe senza subire per questo nessuna diminu­zione, ma rimane presente con la sua forza in tutti i chicchi della spiga, così anche il Signore è morto e, spalancate le profondità della terra, si è portato con sé le anime degli uomini (cfr. Ef 4, 8), restan­do presente in tutti per mezzo della fede e con il proprio modo di essere. E fece sì che questo gua­dagno non toccasse soltanto ai morti, ma anche ai vivi. Poiché il frutto della passione di Cristo è la vita di tutti, sia dei morti che dei vivi: la sua morte è stata infatti seme di vita.
«Se uno mi vuol servire mi segua» (Gv 12,26). Se io, egli dice, per il vostro bene mi consegno alla morte, come non sarebbe somma ignavia da parte vostra il non disprezzare a vostro vantaggio la vita tempora­le e acquistare con la morte del corpo una vita senza fine e incorruttibile? Sembra infatti che odi­no la propria vita, se si guarda a quello che sof­frono, coloro che la consegnano alla morte al fine di custodirla per i beni eterni (cfr. Lc 14,26; Gv 12,25); e anche quelli che si danno all'ascesi odiano la pro­pria vita e non si lasciano vincere dai piaceri. Quello dunque che Cristo fece, soffrendo per la sal­vezza di tutti, lo fece per dare un modello e un esempio di fortezza e per spronare quanti sono gui­dati dall'attesa dei beni che sperano, a darsi alla pratica della virtù. È necessario infatti, egli dice, che quanti mi vogliono seguire dimostrino una for­tezza e una fiducia pari alla mia, perché è così che otterranno il premio della vittoria. «E dove sono io, là sarà anche il mio servo» (Gv 12,26). E poiché colui che ci guida alla gloria non è passato per la gloria e per il piacere, ma allraverso l'ignominia e le fatiche, così dobbiamo agire anche noi, con animo risoluto, se vogliamo arrivare a quello stesso luogo ed essere partecipi della gloria divina. E di quale onore saremmo noi degni se non voglia­mo soffrire ciò che ha sofferto nostro Signore? Perché forse quando dice: «Dove sono io, là sarà anche il mio servo», non si riferisce a un luogo ma a un ideale di virtù. Cioè: coloro che lo seguono devono esercitarsi in quelle stesse cose nelle quali si è distinto lui, escluse le prerogative divine, che tra­scendono l'umana natura. Non è infatti in potere dell'uomo imitare Dio in tutto, ma soltanto in quel­lo in cui la natura umana può eccellere: non dunque nel sedare le tempeste del mare (cfr. Mt 8,23-27; Mc 4, 35-41; Lc 8,22-25) e altre cose dello stesso ge­nere, ma nell'umiltà di cuore e nella mitezza (cfr. Mt 11,29), e ancora nel sopportare le ingiurie.

responsorio (Col 1,24.29)
Sono lieto nelle sofferenze, * e completo nella mia carne quello che manca ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa.
Per questo mi affatico e lotto, con la forza che viene da Cristo
e che agisce in me con potenza.
E completo nella mia carne quello che manca . ai patimenti di Cristo, a favore del suo corpo che è la Chiesa.

terza lettura
Dai «Trattati sul vangelo di Giovanni» di sant'Ago­stino, vescovo (51, 12-13)
Che cosa vuol dire: servire Cristo
Dobbiamo domandarci che cosa è mai servire Cristo, se a tale servizio viene promessa una ri­compensa così grande. Quando infatti Cristo disse: «Se uno mi vuol servire, mi segua» (Gv 12, 26), ha voluto farci capire questo: se uno non mi segue, neppure mi serve. Dunque servono Cristo colo­ro che cercano non i propri interessi, ma quelli di Gesù Cristo. Questo vuol dire la parola «mi segua»: cammini secondo le mie vie, non secondo le sue; come si trova scritto in un altro passo: «Chi dice di dimorare in Cristo, deve comportarsi come lui si è comportato» (/ Gv 2, 6). Così se uno spezza il pane all'affamato, deve farlo spinto da com­passione e non per vanagloria. In questo gesto non deve cercare altro che l'opera buona, senza che la sinistra sappia ciò che fa la destra, in modo che l'opera di carità non venga viziata dall'intenzione poco retta. Chi serve in questo modo, serve a Cristo e a lui giustamente Cristo dirà: «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me» (Mt 25,40). Chi compie per Cristo non soltanto le opere di misericordia corporali, ma anche qualun­que altra opera buona, è certamente servo di Cristo, soprattutto se arriverà fino a quell'opera di somma carità qual’ è il sacrificio della propria vita per i fratelli, il che equivale a sacrificarla per Cristo. Dirà infatti anche questo, riferendosi ai suoi membri: Ciò che hai fatto per essi, l'hai fatto per me. Di tale opera egli stesso si degnò di rendersi e chiamarsi servo, quando disse: «Appunto come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per essere ser­vito, ma per servire e dare la sua vita in riscatto per molti» (Mt 20, 28). Da ciò consegue che ognu­no è servo di Cristo per mezzo di quelle stesse opere in cui anche Cristo si è fatto servo. Chi serve così Cristo sarà glorificato dal Padre con tale onore da essere accolto insieme al Figlio suo nella felicità che non viene mai meno. Perciò, fratelli, quando sentite il Signore che dice: «Dove sono io là sarà anche il mio servo» (Gv 12,26), non pensate soltanto ai buoni vescovi e sacerdoti. Anche voi, secondo la vostra condizione, servite Cristo vivendo bene, facendo elemosine, rendendo noti a quanti potete il suo nome e la sua dottrina. Ognuno di voi, anche se è padre di famiglia, sappia che in forza di questo stesso nome, deve amare con affetto veramente paterno la propria famiglia. Per amore di Cristo e della vita eterna, ammonisca tutti i suoi, li ammaestri, li esorti, li cor­regga, temperando con la dolcezza l'esercizio del­l'autorità. Facendo così adempirà nella sua famiglia la funzione di sacerdote, direi quasi di vescovo, ser­vendo Cristo per essere un giorno con lui in eterno. Poiché anche quel supremo sacrificio del martirio è stato offerto da molti come voi: benché non fossero né vescovi né sacerdoti, ma fanciulli o vergini, vec­chi e giovani, sposi e spose, padri e madri di fa­miglia, servirono Cristo fino a dare la propria vita per rendergli testimonianza, e il Padre li ha onorali con fulgide corone di gloria.

responsorio (Mt 10, 24: 25; Is 51. 7)
Un discepolo non è da più del maestro, né un servo da più del suo padrone; * è sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone: non li temete dunque. Non temete l'insulto degli uomini, non vi spa­ventate per i loro scherni.
E’ sufficiente per il discepolo essere come il suo maestro e per il servo come il suo padrone:
non li temete dunque.
Inno  TE DEUM

Orazione      O Dio, che hai comunicato l'ardore della tua carità al diacono san Lorenzo e lo hai reso fedele nel ministero e glorioso nel martirio, fa' che il tuo popolo segua i suoi insegnamenti e lo imiti nell'amore di Cristo e dei fratelli. Per il nostro Signore.
Deus, cuius caritátis ardóre beátus Lauréntius servítio cláruit fidélis et martyrio gloriósus, fac nos amáre quod amávit, et ópere exercére quod dócuit. Per Dóminum.

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