giovedì 28 giugno 2012

madre chiara agnese del buon pastore

I 100 anni di madre Chiara Agnese
  



Rinfreschiamoci all’ombra di un albero secolare che ci ospita con i suoi rami, i suoi ricordi, i lunghi anni, lunghi e brevi al tempo stesso. Suor Agnese dice grazie al Signore per aver toccato il traguardo straordinario del secolo, dei cento anni, anche se non li dimostra. Insieme con lei vogliamo dire grazie al Signore per il dono della vita, qualsiasi cosa ci riservi, comporti: è un dono grande, una opportunità che ci viene da Dio stesso. La vita è il dono, orizzonte di ogni altro dono. Ci disponiamo a celebrare i Santi Misteri, ringraziando ma anche chiedendo perdono perché non si cammina impunemente in questa vita, dice l’autore dell’Imitazione di Cristo. Questo vale per Suor Agnese, che ha camminato per 100 anni, ma anche per noi, nel senso che si cammina e si raccoglie polvere, come minimo. Vogliamo chiedere perdono per i nostri piedi stanchi e per la polvere raccolta lungo la strada.

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Omelia
Saluto Padre Agostino, Padre Provinciale, gli altri sacerdoti, il sindaco e tutti voi, raccolti intorno all’altare per questa celebrazione provocata da Suor Agnese che scocca oggi il suo centesimo compleanno. Come ho detto all’inizio della celebrazione, stiamo a dire grazie al Signore per il dono della vita, dono mai sufficientemente raccolto, compreso, celebrato. A volte ci lamentiamo per tante difficoltà (penso al caldo in queste ore), ma dimentichiamo che queste restrizioni, come altre più gravi, altri problemi più seri, si inseriscono in un dono. Non avremmo caldo se fossimo morti, e quindi basta questo pensiero per sentirsi meglio; quelli che hanno la pressione bassa immediatamente la vedono risalire, a dire: Però sono vivo! Non è una battuta, guardiamo con troppa facilità le limitazioni e non valutiamo abbastanza il dono, i doni, il dono per eccellenza che è il dono della vita. Il dono stesso della fede, che viene in seconda battuta, e quindi del Battesimo, non sarebbe possibile se non nell’orizzonte dell’esistere. Non i morti lodano il Signore, né quanti scendono nella tomba, ma noi, i viventi, ti rendiamo grazie, dice il salmista. Quindi il dono del Battesimo per Suor Agnese e poi, nella forma radicale della consacrazione, il dono della Professione Religiosa, si innesta e si innerva nel dono della vita. Diciamo grazie, dovremmo dirlo in ogni momento, ma almeno al mattino e alla sera, quando comincia una giornata e a conclusione: Ti ringrazio, Signore, per questo tempo che mi hai dato.
L’arco di una giornata è paradigma dell’arco della vita: i nostri, molto più a sesto acuto, quello di suor Agnese è nella massima ampiezza, ma nell’uno e nell’altro caso una vita non si calcola nella sua estensione, ma nella sua profondità; non si calcola dal numero degli anni, ci insegna la Bibbia, ma dalla sapienza. E Suor Agnese ha saputo mettere insieme la lunghezza della vita – 100 anni sono tanti – un secolo, con il dono della sapienza ricevuto e accolto. C’è bisogno di sapienza per vivere cristianamente e c’è bisogno di un supplemento di sapienza per rispondere ad una chiamata di speciale consacrazione, tanto più all’interno di un orizzonte apparentemente ristretto qual è la clausura.
La benedizione di Gesù nel Vangelo, benedizione rivolta al Padre – Ti benedico, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai tenuto nascoste queste cose ai grandi del mondo e le hai rilevate ai piccoli - vale anche per Suor Agnese che, nella sua piccolezza, nella sua semplicità, nella ferialità più nascosta della sua lunga esistenza, rientra nel novero dei piccoli. Non sono i titoli, non sono i blasoni, non sono neanche le lauree che possiamo conseguire a dare importanza alla nostra vita, ma paradossalmente nel discorso di Gesù, la grandezza è direttamente proporzionale alla piccolezza, al sentirsi impari, al sentirsi poveri, al sentirsi dunque dipendenti.
Una vita è breve. Una vita è lunga.
Sembrano due frasi che giocano a elidersi, in realtà dicono la stessa cosa della vita. Una vita breve: viviamo quanto una giornata, dall’alba al tramonto. E una giornata apparirà a Suor Agnese, questo secolo che ha vissuto, breve: non c’è tempo da perdere, bisogna porre le scelte importanti all’alba, al mattino, bisogna darsi da fare. Dicevano gli artigiani di una volta: ’a jurnata è nu muozz (per dire: è un attimo). E quindi si davano da fare per cominciare a lavorare alle prime ore dell’alba. Ho visto che Maddalena mi ha guardato per dire: Ma cosa ha detto il Vescovo? E allora traduco: la giornata è un piccolo morso, cioè è breve (certe cose, dette in napoletano, suonano meglio, hanno un loro fascino). Quindi una vita è breve. È breve la vita di Suor Agnese, è breve anche la nostra. Hai fatto le cose importanti? Hai messo i tasselli per cui sei chiamato a vivere? Hai dato gloria a Dio? Hai operato il bene? Ma al tempo stesso – e questo Suor Agnese forse lo avverte – la vita è anche lunga, a volte troppo, e non mi riferisco alla sua, quanto alla nostra, troppo lunga come certe giornate che sembrano non finire mai, dove temiamo di perdere al meriggio quello che abbiamo acquistato all’alba, temiamo che ci venga derubato ciò che abbiamo conquistato a fatica. In questo senso c’è anche una lunghezza della vita. Ovviamente, sia per la brevità, sia per la lunghezza, si tratta non tanto di un tempo cronologico, quanto di un tempo interiore, perché poi alla fine, la percezione del tempo non è quello degli orologi, non è quella dei calendari, delle agende, di quelle elettroniche o computerizzate sul telefonino, ma è il tempo del cuore, che batte più o meno lentamente, a volte con affanno, a volte con dolore, poche volte con gioia. Dice il salmista nel Salmo 89: Gli anni della nostra vita sono 70 – ma Suor Agnese li ha superati abbondantemente – 80 per i più robusti, la maggior parte sono fatica e dolore, passano presto e noi ci dileguiamo. Vorrei consegnarvi questa percezione di brevità e di lunghezza, di brevità che incita a fare, adesso, e a non rimandare le cose importanti, di lunghezza che ci mette in guardia dagli spauracchi della sera, della notte, come dice un testo del Qoèlet che si riferisce proprio all’età anziana: quando si ha paura degli spauracchi della strada. Quindi compiamo il bene subito, ma anche facciamo attenzione a non perdere quello che abbiamo conquistato.
Oggi – e non è una battuta, ma una constatazione amara – al posto dei 100 anni di Suor Agnese vissuti nella linearità, nella fedeltà al Signore, alla sua vocazione, in questo stesso spazio si inseriscono, quando va bene, 4 o 5 vite diverse. Purtroppo mi riferisco a quelli che cambiano vita continuamente, cambiano moglie, cambiano marito, cambiano orizzonte, cambiano… Qui abbiamo un monumento di fedeltà, da ammirare e da cui prendere incitamento di bene per la continuità, perché di vite frammentate, oggi ne abbiamo a iosa, di persone che dicono: è finito il Matrimonio, è finita questa esperienza, è stato bello però adesso la mia prima moglie, la terza, quando ero… Invece Suor Agnese, in questi 100 anni, ininterrottamente, ha detto la stessa parola, ha compiuto lo stesso gesto, forse anche per questo motivo le è stato donato tanto tempo, perché questa linearità l’ha condotta in una dimensione di difesa rispetto a cancri dell’anima, rispetto a malattie interiori e anche psicologiche che attanagliano oggi le persone, che oggi sono bianche, domani rosse e dopodomani sventolano una bandiera ancora diversa.
Venendo qui ho pensato a questi 100 anni che sono fondamentalmente il Novecento. Non voglio fare sintesi storiche, non è il luogo. Come sapete il Novecento, che è stato il secolo di Suor Agnese e anche il nostro, è stato definito il secolo breve; breve perché si è corso in una maniera forsennata; breve non perché abbia avuto qualche anno in meno rispetto ai secoli precedenti, ma perché si è andati avanti ad una velocità supersonica rispetto alla lentezza con cui si camminava e si progrediva nei secoli precedenti: mentre il Novecento cominciava, era già finito. Ma questo secolo breve è stato anche segnato da tante tragedie; non sto qui a raccontarvele tutte, dovrebbe raccontarcele Suor Agnese. Facciamo riferimento innanzi tutto alla prima e alla seconda guerra mondiale, che sono come due grandi crateri nel teschio del Novecento, se l’immagine non vi appare lugubre. Dov’era Suor Agnese alla prima guerra mondiale? Non era al fronte, era ancora bambina, ma credo già consapevole che l’uomo possa impazzire e operare il male alla grande. E questa è un’amara constatazione.
L’uomo è grande, carissimi fratelli e sorelle, è grande qualsiasi cosa faccia: è grande nel bene, è grande nel male; è grande nella santità, è grande nella depravazione. A noi non è dato di compiere mezze misure, ma la grandezza appartiene alla nostra dimensione umana. Dice il salmista nel Salmo 8: Lo hai fatto poco meno degli angeli, di gloria e di onore lo hai coronato. E questa gloria dov’era nel ’15-’18? Non sto qui a fare rimembranze: è una guerra che abbiamo raccolto attraverso i versi di Ungaretti, poi diventati poetici ma che sono stati drammatici per un’intera generazione di giovani decimata al fronte, come un grande baratro. E poi i 20’anni del fascismo e di nuovo… Ogniqualvolta finisce una guerra si dice che è l’ultima, che non si tornerà a compiere questi errori. Ci si dà da fare nella ricostruzione, ma eccoci di nuovo alla seconda guerra mondiale. Dov’era Suor Agnese? Era già in monastero, anche lei a lanciare bombe: Nagasaki, Hiroshima, di questi nomi Suor Agnese avrà un’eco lontanissima nella sua vita claustrale, ma qualche immagine di città distrutte in un attimo con un fungo di morte l’avrà raggiunta forse su qualche rivista. Chissà che non sia sorto in lei il desiderio di lanciare una bomba atomica di bene. Quelle non si vedono, non ci sono deflagrazioni per le bombe del bene: sono bombe che fanno crescere le foreste, che danno ossigeno, fanno nascere bambini, che guariscono, che fanno ricongiungere coppie separate. A questo servono le monache. Avete qui, sul colle San Pasquale a Pignataro, e non lo sapevate, una sorta di cittadella militare, e il sindaco scopre solo questa sera che ci sono delle bombe depositate nel sottoscala, nei meandri di questo monastero: sono bombe di bene, che vengono lanciate su Pignataro, sull’intera Diocesi, su Napoli, sul golfo e fanno fiorire, come questo albero che è sul piazzale del monastero, che io vedo sempre fiorire per primo a primavera. Non so se lo notate anche voi di Pignataro: com’è che l’albero sul colle San Pasquale fiorisce prima degli altri? Sono le preghiere delle monache, sono queste bombe di bene.
Poi c’è stata la ricostruzione, e chissà che non dovremmo rivisitare quel tempo, in questo tempo dove c’è una ricostruzione da fare, e non solo di case per i terremoti “in viaggio” per il mondo, ma di una società che deve ritrovare la sua identità.
Suor Agnese avrà avvertito qualcosa nel ’68: ma che fanno questi giovani? Perché si ribellano? Perché fanno le barricate? Non è finita la guerra? Era la rivoluzione studentesca, forse segno di una difficoltà che poi sarebbe esplosa in un’altra maniera, drammatica, nel terrorismo, negli anni di piombo. Anche Suor Agnese ha lanciato bombe negli anni di piombo, anche lei faceva la terrorista, ma di bene, qui, a preparare una rivoluzione.
Poi ci sono i nostri giorni e poi c’è il grande giubileo e la nostra gioia nel salutare il nuovo secolo e il nuovo millennio, ma ecco che l’11 settembre ricompare la violenza nella forma macroscopica, il male che esplode a dire, come Quasimodo: Sei ancora quello della pietra… Ti ho visto nella carlinga di fuoco… (Uomo del mio tempo).
Ho fatto una piccola carrellata e non per vivacizzare il caldo e i pensieri pesanti che il caldo comporta in questi pomeriggi assolati, ma per dire che in tutto questo tempo Suor Agnese è stata sempre lei: non si è camuffata, non si è travestita, non è uscita di monastero; è stata fedele alle piccole cose di cui è fatta una vita monastica, orari, campane che suonano, punti comuni, come dicono le monache e le religiose, gesti comuni, preghiera personale, preghiera comunitaria, e il mondo intanto compiva questo cammino.
Che cosa è importante rispetto alla storia che procede? Oggi, casomai Suor Agnese mi stesse sentendo ma immagino che non ci senta più tanto (ma si capirà!, dopo 100 anni è il minimo che possa succedere!), oggi le donne, ma anche gli uomini, pensano di dover essere presenti: una delle malattie del nostro tempo è il presenzialismo, cioè bisogna essere presenti. I giovani perché non dormono? Non perché la notte sia giovane: non dormono perché pensano che dormire sia una perdita di tempo. Allora bisogna stare attenti, svegli, possibilmente con qualche sostanza che ci tenga svegli e non solo, perché può succedere qualcosa di importante e io non me ne accorgo; può succedere qualcosa in un posto e io non ci sono; si può organizzare una festa ed io non esserci. Questo è un grande dramma, soprattutto dei nostri figli (magari non lo tematizzano così come l’ho fatto io, ma lo sentono); c’è nell’aria che bisogna andare di qua e di là continuamente per essere presenti. In questi 100 anni Suor Agnese è stata assente ed è una santa assenza perché la sua assenza schiaffeggia il nostro presenzialismo, forse anche il mio, pensando che noi possiamo dire la parola decisiva, porre il gesto, evitare un errore. Suor Agnese, dall’alto dei suoi 100 anni, ci guarda con un sorriso di compatimento, a dire: poveri voi che vi giocate la vita nella continua presenza, perché il segreto della vita è l’assenza. Uno solo è l’Onnipresente: è Colui che fa e che agisce e che è all’origine della vita ed è Dio. Noi siamo comparse. Ogni sera Suor Agnese ha chiuso le sue giornate semplicissime: In pace mi corico e subito mi addormento; Tu solo, Signore, al sicuro mi fai riposare. Suor Agnese ha avuto bisogno di Lexotan, di Tavor? No, ha dormito profondamente come una regina, proprio a partire dalla percezione che le cose grandi le fa Dio. Noi possiamo fare cose piccole e, dopo averle fatte, possiamo ritirarci in buon ordine dicendo: Tutto è compiuto. Sono le parole conclusive di Gesù in uno dei racconti della Passione, cioè tutto è stato fatto, è stato fatto quello che era possibile fare, l’impossibile non appartiene a noi.
Grazie, Suor Agnese, di questa lezione di silenzio, di umiltà, di fedeltà nascosta. Grazie soprattutto perché la stragrande maggioranza di questi 100 anni sono stati vissuti nell’ombra di un monastero di clarisse. Grazie della tua assenza. E grazie delle bombe di bene che segretamente hai lanciato, prima da Napoli e poi da Pignataro. Sono partiti missili aria-aria, terra-aria che si incrociavano e che hanno prodotto miracoli di cui ci renderemo conto solo nell’eternità. Grazie.

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