martedì 5 giugno 2012

Domus mea

5 Giugno
Anniversario della Consacrazione
della Chiesa Collegiata di Ferrandina





Ci sono dei momenti così importanti che anche avere un posto in piedi è un privilegio e questo è uno di quei momenti, perché la consacrazione – si dice in termini tecnici – la dedicazione di un altare è un evento a dir poco straordinario, avviene poche volte nella vita di una persona, perché gli altari sono di marmo e quindi durano decenni e secoli, a meno che non ci siano delle trasformazioni architettoniche.
Vorrei fermarmi un attimo con voi a considerare l’importanza di questo momento e come i gesti che poniamo parlano alla nostra vita. Abbiamo ascoltato nella Prima Lettura, un po’ misteriosa, di uno dei patriarchi, Giacobbe, che, ignaro di calpestare la Terra Promessa, quella che Dio aveva promesso ad Abramo e che poi si avrà in possesso solo dopo l’esodo attraverso la conduzione di Mosè, ignaro di tutto questo, si addormenta e fa un sogno: vede una scala su cui ci sono angeli che salgono e scendono, a dire della santità di quel luogo. Giacobbe, quando si sveglia, si rende conto che il sogno che ha fatto non è un sogno qualsiasi, ma un sogno rivelativo e comprende che la pietra su cui ha dormito è sacra, tanto da essere trasformata in stele (pietra messa in dimensione verticale), che era un modo per dire “luogo sacro”. Che significa, nella vita di Giacobbe, questa pietra messa verticalmente? Parlerà di un sogno, ma sarà anche la prima pietra della Terra Promessa. È come se io, questa sera, vi consegnassi una pietra e vi dicessi: “Guarda, Peppe… Guarda, Angela… Guarda, Giovanni… Guarda, Giorgio… Guarda, Francesca… Questa è la prima pietra della tua reggia, di un castello che si costruirà”. Tornereste a casa - speriamo - contentissimi, perché anche se adesso abitate in una casa, in un appartamento stretto e i vostri figli si lamentano, potete dire loro: “Adesso siamo qui, stretti in questo appartamentino, ma domani abiteremo in una reggia!”. E la pietra che io vi consegnerei è il segno, l’anticipo - si dice in termini tecnici - il sacramento di quella reggia che non si vede, che è ancora tutta da costruire, ma che quella pietra in qualche maniera comincia a rendere concreta.
Così è l’altare: l’altare è questa pietra su cui Giacobbe ha dormito, prima pietra di una terra promessa. E questa terra promessa si chiama reggia, si chiama eternità, si chiama resurrezione, perché noi sull’altare celebriamo i Santi Misteri che annunciano la resurrezione e che sono posti nella memoria di ciò che Gesù ha fatto e nell’attesa di ciò che Egli farà per noi, tornando. È importante questo, per noi che stiamo per consacrare questo altare, ma anche per avere uno sguardo di fede rispetto agli altari delle nostre chiese che forse teniamo in poca considerazione rispetto ad una statua, rispetto ad altri oggetti di culto che invece hanno un valore infinitamente più esiguo, più piccolo di quello dell’altare. Un altare in una parrocchia, in una chiesa parrocchiale, per esprimerci in una dimensione di sogno, dovrebbe essere d’oro. Forse un giorno – e non quando saremo ricchi, perché sarebbe facile – qualcuno farà un altare interamente coperto d’oro e si chiederà a quel prete, a quella comunità: “Ma non avete esagerato spendendo tanto per un altare?”. E la risposta è: No, perché non c’è una pietra più preziosa della pietra dell’altare. Neanche il diamante, che forse qualcuna fra voi porta incastonato in un anello, in un orecchino o in un altro gioiello, ha lo stesso valore dell’altare, che è la pietra che dice Terra Promessa, che è l’anticipo della Reggia, che è il luogo centrale dove celebriamo i Misteri, ricordando, attualizzando e aspettando. Tra l’altro questo altare, carissimi fratelli e sorelle, lo consacriamo riaprendo al culto questa chiesa di San Giorgio, che è la prima Chiesa Parrocchiale di Pignataro Maggiore, a dire che qui ci sono le radici della vostra fede, perché l’altare e la chiesa rimandano alla comunità, rimandano alla famiglia parrocchiale, rimandano ai credenti; le pietre, che non parlano, messe l’una sull’altra in una maniera più o meno artistica e le pietre viventi, le pietre che respirano, che siamo noi, le pietre di inestimabile valore che - dice l’apostolo Pietro - costituiscono il tessuto connettivo della Chiesa: noi. Dunque in questa chiesa di San Giorgio, sulla collina, hanno respirato per decenni i credenti della comunità di fede di Pignataro e quindi verrete qui - e veniamo qui anche questa sera - a fare memoria delle radici della fede che rende preziose le pietre, perché quella mattina, all’atto in cui Giacobbe poneva la pietra-guanciale a stele, e quindi a segno di preghiera, gli altri avrebbero potuto dire: “Ma cos’è? È una pietra qualsiasi!”. Ma nella fede Giacobbe ha pensato: No, questa è la prima pietra della Terra Promessa, è la prima pietra della Reggia che i figli dei figli tra varie generazioni abiteranno; questa è la pietra del futuro, è la pietra angolare, è la pietra che è Cristo. Più volte avete ascoltato l’espressione del Salmo nei discorsi, soprattutto di Pietro, negli Atti degli Apostoli: La pietra scartata dai costruttori è divenuta testata d’angolo. Questa è l’opera del Signore: una meraviglia ai nostri occhi. In questo cantiere del mondo, la pietra - qui si tratta di Gesù di Nazareth - scartata, condannata, messa ai margini, crocifissa, è stata scelta come la pietra più bella per la costruzione di un nuovo mondo: la pietra di Giacobbe, la pietra dell’altare, la pietra della Terra Promessa, la pietra che è Gesù su cui edificare poi le nostre storie, la pietra che dà stabilità ai vostri matrimoni, ai nostri affetti, alle nostre comunità, ai nostri progetti, perché ciò che non si edifica su Cristo è destinato a perire e ciò che invece si innerva in Lui ha futuro. L’altare significa anche questo, rimanda anche a questo: l’altare è Cristo. Adesso non è ancora rivestito degli abiti sacerdotali che sono le tovaglie, perché è ancora una pietra qualsiasi, ma alla fine di questa celebrazione sarà una pietra santa, sarà la pietra della Reggia, sarà la pietra che è Cristo, pietra angolare della storia. Tutto questo – che è un dono – chiede anche un impegno. È sempre così nella vita. I doni sono belli, sono grandi, preziosi, ma comportano anche un impegno. Anche il diamante, il brillante che avete avuto in dono il giorno del fidanzamento ufficiale è una pietra preziosa, ma immediatamente vi sarete chiesti: Dove la metto? Come la custodisco? Lo stesso interrogativo ci preme in questo momento rispetto a questa pietra e a ciò che significa, cioè una pietra da custodire, perché c’è un peccato contro la pietra dell’altare che si chiama “profanazione”. La profanazione è il contrario della santificazione: ciò che è santificato può essere profanato, ciò che è prezioso può essere rubato, ciò che serve per la reggia può diventare una casa di prostituzione. Questo è anche per la nostra fede, carissimi fratelli e sorelle. Questa chiesa, che parla della fede dei vostri padri - e i vostri padri, i vostri antenati sono affacciati dal cielo a guardare questo momento - ci interroga anche su quanto della loro fede abbiamo conservato e quanto perduto e quanti perduti. L’immagine, l’icona di San Giorgio, ci pone in questo atteggiamento guerriero, difensivo e - perché no? - santamente aggressivo rispetto al dono della fede che può anche andare perduto, essere profanato. Questa pietra preziosa può essere utilizzata come una qualsiasi pietra e allora bisogna combattere. Lo abbiamo ascoltato anche nella Seconda Lettura in cui Paolo dice: Voi partecipate alla mensa del Signore, ma attenti, non amoreggiate con il demonio. Utilizza un termine che forse, se avete prestato attenzione, vi avrà fatto un po’ di impressione; parlava di “mensa del Signore” e “mensa del diavolo” e oggi tanti vengono a Messa, fanno la Comunione e poi partecipano ad altre mense come se nulla fosse, come se partecipare alla mensa del Signore non ci consacrasse a Lui, tutti, grazie al Battesimo rinnovato e rinverdito dalla forza del Sacramento Eucaristico: lasciano la chiesa e vanno dall’amante, lasciano una celebrazione e vanno ad un’altra, come cambiarsi d’abito.
Chiediamo l’intercessione di San Giorgio, vostro protettore, perché sappiamo difendere le nostre pietre. Per le pietre si sono fatte delle guerre in passato, a volte esagerando. Noi per le pietre, purtroppo, non siamo disposti a pagare nulla; per le pietre si è versato sangue, e noi ridiamo del sacrificio di quelli che per le pietre, per il suolo - magari della patria, era un valore anche questo una volta - offrivano le loro giovinezze. Il Vescovo vi invita a saper difendere la pietra della vostra fede, a custodirla, a vestirla, perché occhi indiscreti non abbiano a poggiarsi su di essa profanandola. E non parlo della pietra dell’altare - pure preziosissima - ma del vostro cuore, del cuore di Pignataro, del cuore cristiano di Pignataro, se c’è ancora. C’è motivo di chiederselo per queste doppie mense, per queste doppie vite, per questo nostro amoreggiare con Cristo e col diavolo, che nell’immagine del drago S. Giorgio sconfigge, a dire: “No, stai lontano!”. Questo non è un parlare medioevale, d’altri tempi: è parlare di tutti i tempi, anche dei nostri. E allora consegnandovi e consegnando a Dio questa pietra, vogliamo riconsegnarci a Lui, perché ci riconsacri, perché con una carezza distolga i profumi, le immagini, le sensazioni, le parole, i canti di altre celebrazioni, di altri riti, di riti satanici che sono venuti a scalfire la nostra fede. S. Giorgio, combattente, ci aiuti a combattere per la fede, per custodire questa pietra e ciò che significa. Amen.  

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