"Che si tratti di processi virtuosi
nessuno per ora può dirlo"
di Giulio Meiattini OSB
Si
ha l’impressione che l’affermazione della superiorità del tempo sullo
spazio obbedisca a un interesse: quello di avviare processi. […] Ma pur
apprezzando lo stimolo di papa Francesco, davvero l’avviare processi è
così vitale oggi, tanto da diventare una priorità? Davvero puntare a
questo obiettivo e richiamarlo in modo pressante è ciò di cui hanno più
bisogno l’uomo o la società attuali, in specie i cattolici? È questo ciò
che serve maggiormente in questa congiuntura globale della vita della
Chiesa?
Mi
sia lecito esprimere un forte dubbio in proposito. Oggi è già in atto
un grandissimo numero di processi, per giunta addirittura travolgenti e
di proporzioni spesso gigantesche. La tanto citata “liquidità” della
nostra società e delle nostre culture, le migrazioni dal sud al nord del
mondo, lo spostamento degli equilibri geopolitici, i mutamenti
valoriali e le trasformazioni apportate dalla tecnica nella sfera
dell’etica, giustificano appieno la felice espressione dello stesso
pontefice: “Non stiamo vivendo un’epoca di cambiamenti, ma un
cambiamento d’epoca”.
I
mutamenti sono già in atto, sono numerosi, di portata enorme e
dall’estensione planetaria. […] Tanto che mi sembra di poter dire che il
problema principale dell’uomo odierno non è quello dell’immobilismo,
quanto il non aver più dei marcatori e dei misuratori dei processi in
atto. I movimenti in corso sono altamente autoreferenziali: cioè non
hanno delle esternalità relativamente stabili che li possano in qualche
modo misurare od orientare. Non hanno delle finalità o un senso. […]. Se
tutto si muove, e se il “cambiamento” fine a se stesso sembra essere
l’unica cosa che rimane, tutto è reso equipollente. […] La parola stessa
“processo”, che il papa usa, appare così neutra che di per sé qualunque
cambiamento è definibile come processo. Anche il degrado è un processo.
Ma se l’importante è processualizzare e cambiare, e non mi si dice il
dove e il come a cui deve portare il processo-cambiamento né il suo
perché, allora, nella moltiplicazione dei cambiamenti, tutto si
equivale. […]
La
mia opinione è che oggi, da parte della Chiesa, la parola che ci si
aspetterebbe non è: avviare processi. Questi, come ho detto, già sono in
atto a dismisura, sia positivi sia negativi, e non aspettano noi
cristiani per continuare la loro corsa o per autoalimentarsi.
I
processi avviati al tempo della caduta dell’impero romano e delle
invasioni dei nuovi popoli euroasiatici, non furono avviati dal
cristianesimo: ma questo seppe renderli meno devastanti e gradualmente
incanalarli grazie a una visione orientata del mondo.
Anche
oggi ci si aspetterebbe che nella labilità e provvisorietà delle
configurazioni sociali e culturali, economiche, politiche ed etiche, si
offrissero dei criteri di valutazione e discernimento, dei riferimenti,
delle topografie che servissero per comprendere all’incirca dove siamo e
dove forse andiamo. Insomma, delle bussole e delle carte per orientare i
fedeli e gli uomini del nostro tempo.
L’umanità
attuale, soprattutto nei paesi riconducibili alla cultura occidentale e
al suo influsso, non soffre di immobilismo, ma di disorientamento per
eccessiva mobilità. Si tratta di guidare e governare, per quanto
possibile, le energie già in moto, perché non confluiscano in un
pericoloso caos, ma diventino costruttive di nuovi assetti vivibili.
Anche le grandi lobby di potere, non di rado, si servono della strategia
della destabilizzazione – avviando processi, guarda un po’! – per
ottenere determinate reazioni a loro favorevoli. Avviare processi non è
per principio innocente, farlo può essere anche nell’interesse del
potere da cui il papa giustamente ci mette in guardia. […]
La
conclusione alla quale personalmente approdo è che dai pronunciamenti
magisteriali sarebbe da attendersi un linguaggio più sorvegliato e una
maggiore lucidità di pensiero. Per il bene di tutti, dal momento che un
esercizio corretto della ragione è un buon servizio non solo per la
teologia e la vita della Chiesa, ma anche per una comunicazione virtuosa
col mondo della cultura. Perché più che una maggiore importanza della
realtà sull’idea, andrebbe ricordato che l’idea fa parte della realtà,
essendo il pensiero un modo dell’essere e il "medium" attraverso cui
l’essere per noi è conoscibile e diventa "verum".
Non
curare l’idea e il processo di ideazione (anch’essa un processo!), cioè
il pensiero, rischierebbe di estraniarci dall’essere che viene
all’idea. L’imprecisione nell’uso dei concetti e nell’esercizio del
pensiero non crea intesa, ma equivoci e confusione. La costituzione
conciliare "Dei Verbum", espressione di una ricca teologia della storia
della salvezza e in piena conformità alla natura sacramentale della
Chiesa, ci ricorda l’inseparabilità dei gesti e delle parole, dei fatti e
del linguaggio. Non esiste una superiorità dei gesti sulle parole né
viceversa.
Mi
preoccupa constatare che del principio-postulato qui esaminato viene
fatto un uso enigmatico anche nel contesto di un documento come "Amoris
laetitia":
“Ricordando
che il tempo è superiore allo spazio, desidero ribadire che non tutte
le discussioni dottrinali, morali e pastorali devono essere risolte con
interventi del magistero” (n. 3).
Mi
chiedo: quale nesso c’è fra il principio richiamato e la conseguenza
tratta? Forse si intende dire che i pronunciamenti del magistero (anche
di "Amoris laetitia"?) sono un sintomo di fissazione immobilista o
conservazione di “spazi di potere”? L’implicito sinceramente mi sfugge.
In
ogni caso possiamo dire che, all’insegna di questo principio, l’effetto
c’è stato: si è avviata, a seguito dell’esortazione postsinodale sulla
famiglia, una serie di “processi”: dibattiti, controversie,
interpretazioni diametralmente opposte, polarizzazioni, perplessità di
fedeli e sacerdoti, incertezze nelle conferenze episcopali.
Che
si tratti di processi virtuosi questo nessuno per ora può dirlo.
Personalmente oso dire che forse non è questo che sul tema della
famiglia oggi maggiormente serviva.
Perché,
dopo ben due sinodi, neanche una pagina è stata spesa in questa
esortazione sulla preparazione e formazione al matrimonio cristiano? E
dire che la "relatio finalis" del secondo sinodo vi aveva dedicato
un’attenzione significativa, anche se ancora non del tutto sufficiente, a
mio parere. Siamo proprio sicuri che oggi i sacramenti vengano dati a
dei “cristiani”?
Sono
convinto che questo sia il vero processo che la Chiesa ha urgente
bisogno di avviare: generare alla fede e alla vita cristiana degli
autentici credenti attraverso il battesimo e l’iniziazione cristiana.
Poi viene il resto, anche il matrimonio, anche la costruzione della pace
sociale e del bene comune.
Ma
al battesimo e al catecumenato c’è ancora qualcuno che pensa sul serio?
Il battesimo non è un postulato, né un’idea astratta. Battezzare e
rendere discepoli i popoli è il cuore della missione della Chiesa, è il
mandato di Gesù.
https://apostatisidiventa.blogspot.it/2016/08/capitan-uncini.html
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