Terrorismo, Meluzzi: "I media utilizzano la psichiatria per minimizzare e depistare"
"Ipnotizzati dal politicamente corretto, siamo incapaci di chiamare le cose col loro nome. Questo ci rende fragili e impreparati a questa guerra. Ogni giorno arrivano migliaia di islamici. Rischiamo di soccombere"
I terroristi islamici erano terroristici islamici anche per i grandi
media, un tempo. Poi il politicamente corretto li ha derubricati a
terroristi generici, omettendo la matrice religiosa e ideologica. Quindi
un altro salto carpiato: non son più nemmeno terroristi ma persone
disturbate, instabili, depresse, magari perché divorziate, bullizzate,
residenti in periferia, con un lavoro precario o abbandonate dalla
fidanzata. Qualsiasi giustificazione pur bizzarra è ben accetta, a patto
di scansare la parola Islam.
Alessandro Meluzzi, psichiatra, cosa sta succedendo ai media?
Il meccanismo mediatico tende a utilizzare le categorie della
psichiatria per minimizzare, per depistare rispetto alla realtà delle
cose. C’è un utilizzo assolutamente improprio della psichiatria. E lo
dice uno che fa lo psichiatra da 35 anni.
Eppure quella psichiatrica pare diventata l’unica chiave di lettura.
Non si può pensare di buttare in depressione, in psicosi, in disturbo
della personalità un confronto tragico come quello che abbiamo di
fronte, che ha certamente degli aspetti di follia ma in senso simbolico e
metaforico. Certamente è difficile che ci possa essere un reclutamento
al terrorismo se coloro che vengono reclutati al terrorismo non avessero
delle falle nella struttura di personalità. Ma questo è valso nelle
rivoluzioni e nelle guerre di tutte le epoche.
Se l’analisi dei media è così fuorviante, non c’è il rischio di sottovalutare il fenomeno?
Siamo di fronte a una vera guerra rispetto alla quale bisogna essere
attrezzati. Non esito a usare la parola guerra. È un confronto di
civiltà, l’attacco più insidioso alla civiltà europea dopo la seconda
guerra mondiale, rispetto al quale siamo fondamentalmente impreparati.
Ipnotizzati dal politicamente corretto, incapaci di chiamare lo cose col
loro nome.
Questo aggrava la situazione?
Questo ci rende particolarmente vulnerabili, impreparati e fragili.
Anche perché è in corso una migrazione di tipo apocalittico e biblico:
arrivano ogni giorno alcune migliaia di islamici. E arrivano in una
condizione di fondamentale disadattamento psicosociale, condizione base
per un reclutamento di massa dall’immediato futuro.
Quali prospettive abbiamo?
Quella di ricordare un importante filosofo della politica che si
chiamava Lenin: diceva che “i fatti hanno la testa dura”. Li si può
rigirare come si vuole, ma avendo la testa dura si ripresentano in tutta
la loro crudezza. Una situazione che l’Occidente ha contribuito a
creare, attraverso la destabilizzazione delle cosiddette primavere
arabe: ha creato un bubbone che ora sta trasmigrando da noi. O la nostra
cultura, la nostra civiltà imparerà a sviluppare degli anticorpi e a
difendersi, o soccomberà di fronte a una struttura rigida e
assolutamente inaggredibile dalle chiacchiere qual è l’Islam
fondamentalista. Che alla fine produrrà un effetto di destabilizzazione
incontenibile su tutta la linea. Si tratta di follia, ma non
psichiatrica. Sarà follia ideologica, sociologica, antropologica. Ma
buttare tutto questo in clinica psichiatrica è un’offesa alla storia e
un’offesa alla psichiatria.
C’è un limite al politicamente corretto?
Deus quos perdere vult, dementat primum: Dio fa diventare pazzi coloro che vuole distruggere. È quello che ci sta capitando. E questo sì, è psichiatrico.
[Fonte]
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