Quale pastorale?
Nel precedente post
del 22 agosto promettevo un approfondimento sulle lettere pastorali.
L’intervento si rendeva necessario dopo aver accennato a tali scritti
nell’intervista rilasciata al sito Cooperatores veritatis.
Eccomi dunque qui a mantenere la promessa, precisando però che non ho
nessuna intenzione di fare un trattato sulle lettere pastorali, ma solo
cercare di capire in che senso vada inteso l’aggettivo “pastorale” ad
esse attribuito. Si noti che le due lettere a Timoteo e quella a Tito
non sono sempre state designate in tal modo. Il primo a farlo è stato D.
N. Berdot nel 1703, seguito poi da P. Anton nel 1726. Sono state cosí
chiamate perché indirizzate a due “pastori” della Chiesa e perché
trattano del modo di guidare le comunità loro affidate.
Naturalmente non mi soffermerò sulla questione dell’autenticità paolina
di queste lettere, perché esula dal nostro interesse. Per una
trattazione equilibrata del problema rimando alla “Introduzione alle
lettere pastorali” nella TOB; mentre trovo del tutto inadeguate le
premesse alle singole lettere nella Bibbia della CEI (Unione editori e
librai cattolici italiani, I coedizione, 2008). Come osservazione
generale, faccio solo notare che il soffermarsi eccessivamente sulla
questione dell’autenticità di un testo va di solito a scapito
dell’attenzione ai suoi contenuti.
L’interesse che mi spinge a considerare le lettere pastorali è quello di
verificare se troviamo in esse l’opposizione, oggi comune, fra
“pastorale” e “dottrina”. Da una lettura, anche solo superficiale, delle
tre lettere, tale opposizione non emerge in alcun modo. Anzi, direi che
la preoccupazione principale del pastore debba essere, innanzi tutto,
la conservazione e la difesa della dottrina.
Per prima cosa, cerchiamo di cogliere il contesto storico in cui si
situano queste lettere. Si stanno diffondendo nelle comunità cristiane
le prime eresie. Non voglio entrare nella questione (che ha ovviamente
ricadute sul problema dell’autenticità) se si tratti di eresie a
carattere gnostico (e che quindi rimanderebbero a una datazione
posteriore delle lettere) o semplicemente di carattere giudaico (e che
quindi sarebbero compatibili con una datazione anteriore). Quel che ora
ci interessa è il fatto che nelle comunità affidate a Timoteo e a Tito
sono presenti delle eresie. Se ne parla in 1Tm 1:3-11; 4:1-7; 6:3-10;
2Tm 2:14-21; 3:1-9; Tt 1:10-16. Il solo elenco dei passi fa capire
quanto sia centrale nelle lettere pastorali la preoccupazione per la
diffusione di false dottrine, nei confronti delle quali si deve avere un
atteggiamento di totale chiusura. In qualche caso si parla anche di
vera e propria “scomunica”: si vedano i casi di Imeneo (1Tm 1:20; 2Tm
2:17), Alessandro (1Tm 1:20; 2Tm 4:14) e Fileto (2Tm 2:17). Si noti che
non si usano, come oggi ci aspetteremmo, espressioni del tipo “va’ in
cerca della pecorella smarrita”; ma espressioni ben piú dure, quali “li
ho consegnati a Satana” (1Tm 1:20).
La lotta contro le eresie avviene con la salvaguardia dell’“integrità
della dottrina” (Tt 2:7). Il termine “dottrina” (in greco διδασκαλία,
letteralmente “insegnamento”) ricorre 15 volte nelle pastorali: 1Tm
1:10; 4:6; 4:13; 4:16; 5:17; 6:1; 6:3; 2Tm 3:10; 4:2; 4:3; Tt 1:9 (2
volte); 2:1; 2:7; 2:10. In diversi casi essa è accompagnata
dall’aggettivo “sana” (ὑγιαίνουσα): 1Tm 1:10; 2Tm 4:3; Tt 1:9; 2:1. In
un caso è detta “buona” (καλή, letteralmente “bella”): 1Tm 4:6. In un
altro caso essa è definita “secondo la pietà” (κατ’ εὐσέβειαν,
espressione tradotta nella nuova versione CEI con “conforme alla vera
religiosità”). È ovvio che proprio l’insistenza sulla fedeltà alla
“dottrina”, assente nelle altre lettere paoline, costituisce uno degli
argomenti portati a sostegno della non-autenticità delle lettere
pastorali.
L’idea che tale dottrina vada conservata intatta viene espressa
attraverso un altro concetto caratteristico delle lettere pastorali, il
“deposito” (παραθήκη, derivato dal verbo παρατίθημι, col significato di
“cosa depositata presso qualcuno e affidata alla sua cura”): 1Tm 6:20;
2Tm 1:12; 1:14 (in quest’ultimo caso qualificato come καλή, “buono”). In
tutti e tre i casi il termine “deposito” è retto dal verbo “custodire”
(φυλάσσω). Nella nuova traduzione della CEI il termine “deposito” è
scomparso: è stato sostituito con “ciò che ti/mi è stato affidato” (1Tm
6:20; 2Tm 1:12) o con “il bene prezioso che ti è stato affidato” (2Tm
1:14). Nella seconda lettera a Timoteo troviamo anche una splendida
enunciazione del concetto di “tradizione”: «Le cose che hai udito da me
davanti a molti testimoni, trasmettile (παρατίθημι) a persone fidate, le
quali a loro volta siano in grado di insegnare (διδάσκω) agli altri»
(2Tm 2:2).
Un altro termine ricorrente nelle pastorali è “verità” (ἀλήθεια): 1Tm
2:4; 2:7; 3:15; 4:3; 6:5; 2Tm 2:15 (λόγος τῆς ἀληθείας, “parola della
verità”); 2:18; 2:25; 3:7; 3:8; 4:4; Tt 1:1; 1:14. In tutto, 13
ricorrenze. Un’espressione che torna piú volte è “conoscenza della
verità” (ἐπίγνωσις ἀληθείας): 1Tm 2:4; 2Tm 2:25; 3:7; Tt 1:1.
Come si può vedere, ci troviamo di fronte a tutta una serie di concetti
“inattuali”: dottrina, deposito, conoscenza, verità. Inattuali perché
visti oggi con sospetto: essi, secondo la mentalità corrente, rischiano
di trasformare il cristianesimo in una ideologia, mentre la sua essenza
risiederebbe esclusivamente nell’amore e nella misericordia. La
pastorale viene oggi contrapposta alla dottrina, perché, anziché
preoccuparsi della custodia di un corpus di verità astratte,
dovrebbe piuttosto preoccuparsi di “accogliere”, “accompagnare”,
“integrare” le persone. Non voglio escludere a priori la
legittimità di tale tipo di pastorale. Non posso però fare a meno di
rilevare la sua assoluta novità e la sua discontinuità, almeno sul piano
terminologico e concettuale, con la pastorale intesa in senso
tradizionale. Per cui sarebbe opportuno, come minimo, preoccuparsi di
dare una fondazione biblica e teologica a questa nuova pastorale. Un
dato comunque è certo: dell’attuale pastorale non c’è ombra nelle
lettere pastorali, le quali invece sono tutte preoccupate proprio
di ciò che la nuova pastorale guarda con sospetto. A prescindere
dall’autenticità paolina, le lettere pastorali fanno parte del canone
biblico e sono quindi parola di Dio. Una domanda: ma la parola di Dio
non dovrebbe essere il punto di riferimento della vita della Chiesa e
quindi anche della sua pastorale?
Q
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