venerdì 26 giugno 2015

diritto al lavoro, alla felicità, all’orgasmo, ...

Questo sistema è radicalmente sbagliato


Da pochi anni abito a Corsico, alle porte di Milano. Un abitante che è nato qui mi raccontava di quanto fabbriche c’erano: la Richard Ginori – il cui stabilimento lungo il naviglio sta sgretolandosi abbandonato – le cartiere Burgo, una grossa conceria, decine di aziendine metallurgiche. La Richard Ginori da sola occupava 1800 dipendenti, al Burgo ottocento, la conceria trecento. Ad occhio e croce, questa cittadina di 35 mila abitanti ha perso almeno 3 mila salari e decine di attività produttive. Sostituiti da pensioni: adesso è una cittadina di pensionati, alcuni caporioni ndranghetisti in un quartiere marginale; e  circondata di mega-centri commerciali esteri: Ikea, Auchan, magazzini di sei piani dei cinesi che vendono tutto. Alcuni dei supermercati però stanno chiudendo, l’affitto degli amplissimi spazi è diventato insostenibile data la caduta dei profitti.
Il partito comunista governa ininterrottamente dal dopoguerra. Questa meravigliosa classe politica   – sull’esempio di quella nazionale del resto – ha assistito a questa decadenza e arretramento operai, a questa desertificazione, non è stata capace né ha pensato di fare nulla per riconvertire in qualche modo l’abitato. Nè gli abitanti si sono ingegnati, si sono sforzati di migliorarsi. Si sono lasciati vivere – magari partecipando con convinzione agli scioperi e sostenendo i ricatti dei loro sindacati, ovviamente corresponsabili della perdita di competitività delle fabbriche.
Adesso sembra che la caduta sia all’accelerazione finale. Una quarantenne che lavora in una azienda ai margini della cittadina, dice: il contratto mi scade il 30 giugno, non so se me lo rinnovano. Una sua amica, cinquantenne, faceva la donna delle pulizie, aveva messo su un gruppetto di pulitrici per le ditte: niente da due anni, nessuna ditta la chiama, nessun reddito.
Sua figlia, sposata con una bambina di due anni, nemmeno lei ha lavoro. Il marito, un giovanotto tatuato, è stato licenziato, anche lui aveva un lavoro di bassa professionalità: quel tipo di lavori che prendono gli immigrati (che sono spesso più istruiti, e sempre più svegli di un italiano come il tatuato cresciuto a Nutella). La mamma non riesce più ad aiutarli, ovviamente. La coppia, sostanzialmente, non ha più da mangiare, figurarsi pagare le bollette. E nemmeno osa chiedere aiuto al Comune, perchè teme le assistenti sociali gli toglierebbero la bambina per metterla in un istituto.
Io temo che un giorno si apprenderà che la coppietta s’è uccisa.   Magari per la vergogna di non poter più permettersi l’ultimo smartphone, o la partenza per le vacanze o il pantalone da palestra orribile e costoso, di cui questa classe di poveracci si adorna.
Ma tutto si addiziona alla disperazione di “umili” (una volta si chiamavano così) a cui è stato fatto balenare il paradiso consumistico in terra, e li si è illusi che hanno “diritti”: diritto al lavoro, diritto alla felicità, diritto all’orgasmo, alla sessualità. Adesso i diritti non esistono più. E gli ex umili non hanno nemmeno più la fede che valorizzava l’esser poveri, che dava un senso al sacrificarsi, il duro lavoro, che prometteva un compenso eterno all’abnegazione, la dignità della croce. Non c’è più un “perché” a quel che ti si rovescia addosso, la sofferenza non ha più senso. Il suicidio è ovviamente la via d’uscita accettabile. Si uccidono piccoli imprenditori perché non possono più andare in giro col Suv e sono pieni di debiti con la banca: sono stati operai di successo, quindi stessa testa delle donne delle pulizie, nessuna visione più alta. Adesso, temo, cominceranno i suicidi dei disoccupati di lunga data, dei giovani con poca scuola a cui i genitori o i nonni non possono più dare soccorso.
Ora, io che sono vecchio, sono nato in una Milano diversa: aziende chimico farmaceutiche, fabbriche di auto e di industrie fini, un premio Nobel per la chimica; se ben ricordo, non ci si lasciava vivere, ci si sforzava di migliorare, le maestre e i professori sferzavano perchè non dovevamo dormire sugli allori.
Ci si insegnava – giuro, alle elementari – che l’Italia non avendo materie prime, doveva puntare sulle attività trasformatrici complesse (non si diceva ancora “ad alto valore aggiunto”), al turismo (che era allora la prima voce del Pil) e quindi non si dovevano sporcare le città perché ciò offendeva i visitatori turisti.

persone a milano
Era la Milano delle possibilità. Era la Milano delle fabbriche: e i meridionali entrando nelle fabbriche acquistavano civiltà, e dignità di lavoratori. Sì, le fabbriche, le industrie, sono molto più che entità economiche: sono civilizzatrici. Il salario è molto più che un introito contabile, è il compenso di un dovere svolto bene.   C’è un valore morale- “qualitativo” –   in un’economia industriale, che abbiamo gettato nel cesso perché – ci hanno detto gli ideologi del liberismo – non aveva un valore, anzi era inefficienza da abolire.

La globalizzione del sistema liberista ci ha insegnato questo: le cose che producevate, è meglio se le comprate da chi le sa produrre con “vantaggio competitivo”; voi concentratevi nelle produzione nelle attività terziarie dove avete “il vantaggio competitivo”; vendete queste a loro, e loro vi vendono le loro cose a voi.
Siete inderdipendenti ma efficientissimi.
Secondo questa dogmatica liberista, insomma, uno stato, un popolo, una nazione non sono altro che una azienda, il cui scopo è la “vendita”,ossia l’export, e da cui trae il profitto.
Ma uno stato non potrà mai essere un’azienda. Una ditta, una finanziaria, un a SpA non deve mantenere vecchi, invalidi e ammalati, non deve   insegnare a leggere e scrivere a dei bambini pagandone gli insegnanti; una ditta espelle queste bocche inutili, questi costi – e le mette a carico della società, dello Stato. Il quale non può gettarle fuori, se le deve mantenere.
Ovviamente il liberismo risponde: e perché mantenerle?
Si mettano a lavorare questi ignoranti, malati, vecchi, bambini, coglioni fancazzisti: si mantengano. Il mercato assegnerà loro il salario che meritano, data la forte concorrenza degli immigrati, dei disoccupati che non fanno i difficili – 400 euro mensili, e di che vi lamentate? Sono le paghe correnti in Germania per i minijob. Non bastano? Ma a forza di abbassare i salari, anche le merci in vendita caleranno di prezzo. Il colsto della vita diminuirà. E’ matematico. E’ la teoria liberista, infallibile.
I sindacati e i rossi, che quando Milano era piena di industrie facevano i leoni, indicevano milioni di scioperi dannosissimi, sputavano sulle necessità del mercato, pretendevano dai “padroni” le paghe come “variabile indipendente”,   da quando il globalismo è instaurato si sono fatti conigli. Anzi, nemmeno conigli: servi del sistema, hanno abbandonato gli operai e si danno alle “lotte” per gli statali, (che guadagnano il 20 per cento in più dei privati, e sono illicenziabili) , per i “diritti” dei gay…

miracolo italiano
Ora non ci sono più industrie.   E i poco istruiti non trovano lavoro nemmeno come addetti alle pulizie delle aziende: logico, visto che le aziende sono molto diminuite. Il lavoro minorile non è ancora fiorito nella sua bellezza.   I disoccupati anziani, una volta espulsi dal lavoro,non ne trovano. Ma guarda un po’.
Non sarà che quando mancano le industrie mancano anche quasi tutte le attività terziarie? E peggio: che i bambini diventano più ignoranti, che il “capitale umano” si degrada, perché gli manca la scuola delle fabbriche, del lavoro aziendale, del lavoro che dà dignità, competenze e saperi pratici che nessuna scuola può insegnare.
A voi giovani parrà impossibile, ma io che sono vecchio lo ricordo: l’Italia era un paese di industrie. Tante industrie diverse, non solo quelle “competitive sui mercati mondiali”. Specie la Lombardia. Ed erano le industrie che facevano nascere “i servizi”, specie quelli “avanzati”. Le tante industrie diverse   davano ai lavoratori – alti e bassi, ingegneri e dattilografe e muratori – “competenze”. Queste competenze erano coltivate e ci si sforzava di mantenerle. Davano cittadinanza e dignità; quella dignità che il “reddito di cittadinanza” non darà – anzi la toglierà, trasformando definitivamente gli italiani in una torma “romana”, quella dei tempi di Roma, dipendente dalle elargizioni, frumentationes, e dai circenses.
Sarebbe la fine della dignità del lavoro. Precisamente per questo ve la daranno, alla fine, la paga “di cittadinanza”: perché vi rende meno cittadini, vi priva di potere politico, quel poco che vi resta.
Era il lavoro che vi rendeva cittadini, non la paga. Vedete che l’economia non è “quantità”, è “qualità”. Che non è aritmetica né matematica; è storia umana, umanesimo. Vedete che il sistema liberista applicato nel suo massimo rigore dogmatico, è un sistema radicalmente sbagliato, perché dà valore solo a ciò cui può assegnare un prezzo. E nel sistema, voi siete un costo. Il sistema punta alla massima efficienza, che vuol dire questo: alla massima efficienza per il capitale. Ossia: il capitale chiama chiama “efficienza” quella che compensa sempre più il capitale, e sempre meno il lavoro (un costo).
Il capitale  per avere più capitale, taglia i costi. I costi, siete voi. vi stanno tagliando.
Io che sono vecchio, prima di morire devo assolutamente trasferirvi qualcosa della esperienza che a voi giovani è negata: Milano era piena di fabbriche e quindi di centri di ricerca, di banche che finanziavano industrie, e trovare il lavoro era facile. Il tessuto economico vivo e complesso richiedeva competenze alte, laureati in ingegneria, chimica industriale, nucleare, spaziale, aeronautico. Vi farà ridere, ma a abbiamo avuto industrie aeronautiche eccellenti che gli americani ci hanno segato perché avevano vinto al guerra. Vi posso assicurare che anche nel dopoguerra erano piene di competenti che erano pieni d i idee. …
Da dove venivano tutte queste competenze? Queste idee? Di quale economia era frutto questo vasto tessuto industriale? Di quale filosofia?
Ve lo dico, per trasferirvi una conoscenza che vi viene negata: Era il residuo di un sistema che considerava lo Stato non un’azienda, ma un motore della continuità storica di un popolo nei secoli. I secoli passati, e i secoli – soprattutto – futuri (1). Uno Stato che cercava di insegnare ai bambini meglio, che li sferzava con   la tremenda “severità”, perché non degradassero in inoccupabili, in cittadini senza dignità e senza abnegazione che si lasciano vivere, contentandosi di essere quello che già sono. Uno stato che rendeva obbligatorio l’insegnamento della religione, perchè i meno favoriti non si vergognassero della povertà, e dessero un senso ai loro sacrifici.
Uno stato che si occupava di economia: non per mantenere aziende non-competitive (quello l’ha fatto, ma solo quando è diventato democratico ossia irresponsabile verso   di voi come popolo), ma per salvaguardare competenze che riteneva preziose per reggersi collettivamente con decenza nella storia: ingegneri, ricercatori che, chiuse le aziende, magari sarebbero emigrati; avrebbero trovato lavoro, loro, ma avrebbero depauperato la nazione con la loro emorragia di cervelli.
Uno Stato che, vivendo in tempi di enorme crisi internazionale, puntò a ridurre le importazioni. Scandalo!
Mirava all’autosufficienza, a produrre il grano all’interno invece di comprarlo all’estero. Sapete perché? Perché non è la stessa cosa: il grano comprato all’estero lo devi pagare in dollari, in una moneta che lo stato non stampa; il grano prodotto in patria (scusate, m’è scappata la parola)   magari costa di più di quello offerto sui mercati; ma lo pagate in lire, la vostra moneta. E date lavoro ai vostri agricoltori, non a quelli stranieri. E i vostri agricoltori imparano a lavorare meglio, se sono occupati, magari diventano competitivi. Da disoccupati,   perdono le competenze che hanno.
E questo che vale per l’autosufficienza agricola valeva, in quello Stato, per tutte le attività economiche: è il vantaggio del puntare all’autosuffficienza. Anche se non la si raggiunge mai completamente, si dà lavoro all’interno, si creano idee competente e possibilità, e si pagano nella moneta nazionale che lo Stato stampa.
Che poi non è solo la moneta che stampa, ma la moneta che vi somiglia. Perché la moneta non è una “unità di conto”, una mera quantità, come vi hanno detto; è una foto segnaletica di quello che siete come popolo. Le sue debolezze sono esattamente le vostre, i suoi difetti sono quelli che non volete curare in voi, collettivamente. Le sue qualità sono anche le vostre: la flessibilità, l’ingegno improvvisatore che a volte – nei migliori di voi – diventa arte. 
50-lire-Vulcano-1958

Per questo anche l’euro, come il capitalismo globale dell’interdipendenza, è un sistema radicalmente sbagliato. Avete adottato il marco; dovevate diventare tedeschi. Con le virtù dei tedeschi, la disciplina dei tedeschi. Dei sindacati tedeschi che hanno trattato col governo, senza un giorno di sciopero, la Hartz, la normativa di riduzione dei salari che li ha resi competitivi nel mondo –a nostro dano. Siete forse diventati tedeschi? Avete mai voluto diventarlo? E allora perché volete l’euro? E’ una moneta che non i somiglia, e che – giustamente -. non vi appartiene. Cretini.
Avete accettato un sistema radicalmente sbagliato, con la globalizzazione. Avete applaudito l’adesione ad una Europa radicalmente sbagliata. Avete adottato una moneta radicalmente sbagliata per voi. Ed ora non avete prospettive. Il sistema vi offre la sola prospettiva di rientrare dal debito pubblico a suon di ipertassazione, e di tagliarvi i salari, per tutti i prossimi cinquant’anni e più.  Miseria senza uscita, riduzione dei consumi senza speranza di vittoria. Anni in cui generazioni di vostri figli e nipoti non troveranno lavoro perché saranno sempre meno competitivi, istruiti, responsabili verso la nazione (m’è scappatala parola).   In cui un intero popolo non solo ha dimenticato quel che sapeva fare bene, ma nemmeno più capisce cosa gli è successo. E non sa come uscirne, il che è più terribile di una guerra perduta.
E’ la china per cui si diventa selvaggi. Le tribù africane o del Mato Grosso non sono “primitive”; sono residui degradati di popoli che millenni fa’ partecipavano a grandi civiltà. Voi, avendo rinunciato allo stato che vi ho descritto, siete destinati a quello. Se devo giudicare dagli sgorbi con cui riempite i muri delle vostre città – città d’arte lasciatevi dai vostri antenati – siete a buon punto nella discesa verso   lo stato selvaggio. Anche i vostri ragionamenti sempre più rozzi e semplicistici, il vostro obbedire senza vergognarvi un po’ alla pancia come ultima istanza (o anche a quello che sta sotto la pancia), testimoniano il vostro degrado come ben avanzato. Già siete pieni di tatuaggi come i Maori … anzi i Maori hanno smesso di tatuarsi. Siete rimasti voi e i forzati nelle galere.
 Note
  • Qualcosa che il pensiero dominante  disprezza, chiama populismo, autarchia, dirigismo, magari fascismo; crede di ravvisare le idee di Keynes. Ma quale Keynes.   Per lui, in tempo di crisi bastava che lo stato impiegasse i disoccupati a scavare buche, qualunque cosa inutile; era ancora, come britannico, un monetarista. Ma quale Keynes. La teoria di cui parlo fu applicata senza teorizzarla da Alexander Hamilton (1755-1804), il segretario al Tesoro di George Washington, per sviluppare i neonati Stati Uniti da economia agricola a potenza industriale.   Il teorico ne fu Friedrich List (1789-1846), che chiamò questa ricetta per lo sviluppo, ironico ricordarlo, il Sistema Americano.   In Italia, fu praticata durante il fascismo, da Beneduce; dopo, da Mattei e Fanfani.   In Germania fu applicata genialmnente dal Terzo Reich, e risollevò la Germania dal baratro dopo la disfatta. Ma di quale Keynes parlate, fatemi il piacere.

1 commento: