Per conoscere meglio i valdesi i tentativi di uccidere San Giovanni Bosco.
Per saperne di più abbiamo chiesto un’intervista a Cristina Siccardi, scrittrice ben nota e giustamente apprezzata. Cristina Siccardi, che ha al suo attivo 56 titoli, molti dei quali tradotti anche all’estero, ha pubblicato nel 2013, con “La Fontana di Siloe” (gruppo Lindau) “Don Bosco mistico. Una vita tra cielo e terra”, un libro che in poco tempo si è affermato come la biografia più documentata e più attendibile sul grande Santo piemontese.
D. Cara Dottoressa Siccardi, anzitutto le chiederemmo di spiegarci chi erano – e chi sono – i valdesi e quale sia stato, o sia tuttora, il loro peso nella vita politica locale.
R. I valdesi nascono da un movimento eretico fondato da un mercante francese, Valdo di Lione, noto anche come Pietro Valdo (Lione, 1140 – 1206 circa), conosciuto all’epoca, in latino, come Valdesius o Valdes.
Ascoltando un menestrello che cantava la vita di sant’Alessio, decise di approfondire lo studio della Bibbia; non conoscendo però il latino, si fece tradurre i Vangeli e altri scritti biblici in francese. Leggendo le parole rivolte da Gesù al giovane ricco: «Se vuoi essere perfetto, va’, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; poi vieni e seguimi» (Mt 19, 21), decise, nel 1173, di abbandonare la moglie (alla quale lasciò i beni immobili), far accogliere le figlie nel monastero di Fontevrault e dare le sue ricchezze ai poveri. Poi si circondò di un gruppo di seguaci con i quali, fatto voto di castità e vestiti solo di stracci, andava in giro a predicare il messaggio evangelico; ben presto il gruppo fu identificato con l’espressione “Poveri di Lione”. La loro predicazione si svolse all’interno dell’ “ortodossia” romana, rivolgendosi principalmente contro il dualismo cataro. La fedeltà al Papa di Roma da parte del movimento valdese in questi anni è testimoniata dalla ricerca di approvazione ecclesiastica nel 1179, in occasione del terzo Concilio Lateranense: essi si recarono a Roma, dove incontrarono il Pontefice Alessandro III, il quale dimostrò apprezzamento per il loro proposito di vivere in maniera povera e conforme al dettato evangelico, ma non concesse loro di predicare la Parola, non essendo sacerdoti e, inoltre, svolgendo una lettura diretta (senza intermediazione ecclesiastica) e personale della Bibbia.
Tuttavia Valdo, insieme ai suoi seguaci, continuò a diffondere l’insegnamento cristiano nonostante il divieto pontificio. Nel 1180 venne convocato dal Cardinale Enrico di Marcy, vescovo di Albano, in un sinodo a Lione, nel quale Valdo e i suoi seguaci dichiararono la loro ortodossia e al contempo esposero quelli che consideravano gli errori dei catari. Nonostante ciò, la predicazione da parte dei laici e delle donne e la lettura individuale della Bibbia erano aspetti considerati inaccettabili dalla Chiesa romana, consapevole del fatto che ammettere tale innovazione avrebbe significato dare il via ad un processo di trasformazione dagli esiti imprevedibili.
Tutto questo era stato ben compreso da Walter Map, rappresentante di re Enrico II Plantageneto al concilio lateranense del 1179, che a proposito dei valdesi aveva scritto:
«Costoro mai hanno dimore stabili, se ne vanno due a due a piedi nudi, vestiti di lana, nulla possedendo, ma mettendo tutto in comune come gli apostoli, seguendo nudi il Cristo nudo. Iniziano ora in modo umilissimo, perché stentano a muovere il piede; ma qualora li ammettessimo, ne saremmo cacciati» (Walter Map, De nugis curialium, Clarendon Press, Oxford, 1983, p. 126).
Nel 1184 a Verona, con la bolla Ad abolendam, papa Lucio III scomunicò una serie di movimenti ritenuti ereticali anche molto diversi tra loro, tra cui i poveri di Lione, i valdesi. La motivazione per tale scomunica rimase la presunzione dei valdesi a voler predicare in pubblico. Nonostante la condanna papale il movimento valdese continuò la sua espansione verso il Mezzogiorno di Francia e l’Italia (Piemonte, Lombardia, Puglia e Calabria), giungendo anche in alcune regioni della Germania, in Svizzera, in Austria, Spagna, Ungheria, Polonia e Boemia. Nel 1979 si sigla il patto di integrazione tra metodisti e valdesi in un’unica comunità confessionale.
Il peso dei valdesi, pur essendo un numero esiguo nel mondo (al 31 dicembre 2010 si contano 25.693 fedeli in Italia, gran parte dei quali nelle valli valdesi e in alcune comunità di lingua italiana nelle maggiori città della Svizzera e circa 13.000 in Argentina e Uruguay), è notevole in Italia: essi sono dallo Stato laico molto considerati a motivo del loro progressismo sociale, del loro sostegno per la laicità dello Stato e per le questioni etiche: sono rimasti pauperisti, con un’impostazione politica di matrice comunista e con forti simpatie radicali: si pensi al loro pensiero favorevole su contraccezione, aborto, eutanasia, testamento biologico (i cui registri, in diverse città, sono gestiti proprio dai valdesi).
Il loro impegno politico è sempre stato forte: hanno partecipato attivamente al Risorgimento e alla Resistenza. Da sempre i loro esponenti, fra i quali spesso anche pastori (come Tullio Vinay, Lino De Benetti, Domenico Maselli) sono stati eletti al Parlamento italiano. Attualmente sono membri della Chiesa evangelica valdese due ex ministri (Valdo Spini e Paolo Ferrero), un ex presidente di regione (Riccardo Illy), un ex deputato (Domenico Maselli), un senatore (Lucio Malan), un deputato (Luigi Lacquaniti), un sindaco di città capoluogo di provincia (Rosario Olivo), alcuni consiglieri regionali e l’eurodeputato Niccolò Rinaldi.
Il sinodo valdese, a larga maggioranza, ha deliberato in favore della benedizione delle coppie omosessuali, approvata da un ordine del giorno del 26 agosto 2010 e ciò è stato confermato nel corso del Sinodo del 2011. Non solo i valdesi si impegnano nella campagna contro la cosiddetta «omofobia», ma supportano anche la comunità LGBT. Il dibattito sul tema dell’omosessualità avviene anche tramite la R.E.F.O. (Rete Evangelica Fede e Omosessualità) e l’ «Associazione Fiumi d’acqua viva – Evangelici su fede e omosessualità».
D. Cosa c’è di vero nei tanti tentativi di uccidere Don Bosco e quale fu il movente di questi crimini?
R. San Giovanni Bosco fu oggetto di diversi attentati dai quali si salvò grazie o all’intervento delle sue «guardie del corpo» (i suoi giovani) o della Divina Provvidenza. Oltre ai massoni anche i valdesi auspicavano la sua morte, perché egli con le sue celebri Letture Cattoliche, con le sue conferenze e con i suoi oratori che di anno in anno crescevano di numero era considerato un acerrimo nemico da odiare e da abbattere. Ed ecco, quindi, che gli spararono, lo bastonarono, cercarono di avvelenarlo, di accoltellarlo…
D. Nelle numerose e più o meno romanzate biografie di Don Bosco si raccontano questi fatti? e come se ne parla?
R. Da cinquant’anni a questa parte, ovvero da quando la Chiesa cattolica ha deciso, dopo il Concilio Vaticano II, di aprire le porte a tutti, di dialogare con tutti, di non condannare più gli errori, di sviluppare un disegno ecumenico fra religioni diverse ed opposte fra di loro, nelle biografie sul paladino dell’ortodossia cattolica quale fu San Giovanni Bosco (Padre e Maestro dei giovani, ma anche formatore di migliaia di sacerdoti Salesiani e non), l’aspetto degli attentati per mano dei valdesi e dei liberal-massoni è stato taciuto. Sappiamo, invece, per certo, che quei fatti avvennero grazie alla prima biografia monumentale: XIX volumi compilati da tre salesiani. Don Giovanni Battista Lemoyne SDB (1839-1916) scrisse i primi nove allo scopo di documentare tutto il percorso del fondatore e di impedire futuri oblii e/o travisamenti. Morì prima di completare l’opera che venne arricchita di altri dieci volumi, realizzati sulla base della vastissima documentazione raccolta dallo stesso don Lemoyne e da don Gioacchino Berto. Preziosa, indubbiamente, risulta essere anche l’autobiografia di don Bosco, Memorie dell’Oratorio. I XIX volumi e quest’ultima opera sono state le principali fonti del lavoro che ho svolto per realizzare Don Bosco mistico. Una vita tra Cielo e terra. Lemoyne morì il 14 settembre 1916 mentre era in corso di stampa il IX volume. Il suo compito di redigere le Memorie biografiche venne ereditato dai Salesiani don Angelo Amadei (1868-1945) , che scrisse il X volume e don Eugenio Ceria (1870-1957) , autore dei restanti nove. Nella letteratura agiografica la monumentale opera è un unicum, per vastità di documentazione e rigoroso spirito cronachistico.
D. Le autorità del regno (polizia, magistratura) cosa fecero per proteggere Don Bosco? E lui stesso, come reagì?
R. Polizia e magistratura non fecero proprio nulla. Don Bosco era affiancato da Maria Ausiliatrice e dalla Divina Provvidenza e con questa “scorta” proseguì la sua immensa missione. Ecco quindi l’opera dei suoi giovani: egli girava di sera o in luoghi a lui sospetti insieme ad un gruppo di ragazzi fra i più fidati e robusti, i quali intervenivano al bisogno; ma quando, per diverse ragioni, essi non erano presenti, arrivava “il Grigio”, ovvero un cane grandissimo e feroce, con il manto grigio, da qui il nome che gli venne dato. Nessuno seppe mai da dove veniva e dove poi scompariva dopo aver compiuto la sua opera di salvataggio nei confronti di Don Bosco. Tutti all’Oratorio di Valdocco videro «il Grigio» e ne lasciarono testimonianza. Se gli si offriva del cibo o dell’acqua il cane non ne voleva. Fu l’angelo custode di Don Bosco.
D. E l’autorità religiosa? Intervenne a difesa del suo sacerdote?
R. Non si hanno informazioni al riguardo. Francamente sono giunta a questa conclusione: Don Bosco riuscì a rimanere in vita, nonostante tanto odio, e a portare a termine i suoi progetti perché essi coincidevano perfettamente con quelli di Dio. Fu proprio Maria Santissima a sostenerlo, a guidarlo, a difenderlo, fino alla fine dei suoi giorni.
R. L’opinione pubblica? Vedendo che Don Bosco compiva miracoli, ovvero fondava oratori, scuole, innalzava chiese, apriva tipografie e laboratori professionali, guariva le persone fisicamente e spiritualmente, aveva i doni della bilocazione, della levitazione, moltiplicava il cibo quando era insufficiente per sfamare tutti i suoi ragazzi e moltiplicava addirittura le ostie; giunse persino a resuscitare uno dei suoi giovani, ebbene, la gente prese a stimarlo, ad ammirarlo, ad amarlo sempre più, considerandolo già in vita un gigante di Santità.
D. Un’ultima domanda: secondo lei, che insegnamento possiamo trarre da questa vicenda così drammatica della vita di Don Bosco?
R. Possiamo trarre un utile ammaestramento, che giunge dalle parole di San Paolo: «Se Dio è per noi, chi sarà contro di noi?» (Rm 8, 31). Tutto un feroce mondo fu contro Don Giovanni Bosco, fatto di valdesi, di liberali, di massoni, tuttavia quel mondo nulla poté contro di lui. Don Bosco è la dimostrazione vivente che la vera fede di un solo uomo è sufficiente per incidere nella storia e per portare la salvezza a migliaia e migliaia di anime. Inoltre il suo insegnamento contro l’eresia valdese continua ad essere valido e veritiero: egli stesso convertì molti eredi di Valdo. Bellissimo il suo accorato appello, presente nel suo libro Conversione di una valdese (edito da Amicizia Cristiana):
«Protestanti valdesi, e voi tutti che vivete separati dalla Chiesa Cattolica, aprite gli occhi sopra l’immenso abisso che vi sta aperto finché vivete separati dalla vera religione: la Chiesa Cattolica qual madre pietosa vi stende amorosa le braccia: venite e ritornate a quella religione che fu pure per mille e cinquecento anni la religione de’ padri vostri; venite e rientrate nell’ovile di Gesù Cristo […] e faremo un cuor solo ed un’anima sola; ed io a nome di Dio posso assicurarvi che tutti i cattolici vi tenderanno amorose le braccia per accogliervi con gioia, e canteranno a Dio inni di gloria nel vedere avverate le parole di Gesù Cristo: Si farà un solo ovile, ed un sol pastore, et fiet unum ovile, et unus pastor» (p. 107).
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