sabato 13 giugno 2015

Habemus Papam - Cambia todo cambia










In un patetico articolo su Avvenire, Gian Luigi Gigli propone “per il 2016 una Marcia condivisa” e soprattutto mostra la vera faccia di un mondo che, sbagliando, ci ostiniamo a definire cattolico.
di Paolo Deotto

zzzzmpvcrcPiero Vassallo, nell’articolo che leggete cliccando qui, prende spunto dallo stesso articolo di Avvenire per evidenziare molto opportunamente le radici filosofiche e politiche che hanno consentito l’approvazione di leggi infami come la 194. Io invece ne parlo perché il neo-presidente del Movimento per la Vita scrive alcune cose che non possono essere ignorate, non tanto perché le dice lui, quanto perché chiariscono in modo lampante, anche ai più inguaribili ottimisti, cosa sia un certo “mondo” che pretende di pontificare su  fede, ragione, morale, ovviamente sotto il tranquillizzante ombrello del “quotidiano della Cei”, che poi sarebbe la Conferenza Episcopale, che raccoglie i Vescovi, ovvero i successori degli Apostoli…
Leo Longanesi disse che “gli italiani accorrono sempre in aiuto del vincitore”, e il Gigli, con il suo articolo su Avvenire (clicca qui), conferma quanto l’amara affermazione di quel grande protagonista della cultura italiana fosse e sia vera. Infatti molto pensavano – e alcuni tra questi molti lo speravano ardentemente – che quest’anno la Marcia per la Vita facesse un bel flop. E invece la Marcia, sia in termini partecipazione (superiore a quella, già cospicua, dell’anno scorso), sia per vivacità dei partecipanti, è stata nuovamente un successo.
Ecco allora il grido di dolore di chi teme di aver sbagliato cavallo e tenta di saltare sul destriero col quale poter partecipare a chissà quali vantaggi. Del resto, in questo il personaggio è perfettamente in linea anche con la sua carriera politica, caratterizzata da agili saltelli da un partitino all’altro. Non vale la pena nemmeno sprecare tempo e inchiostro sulle affermazioni, semplicemente false, da cui emerge un Movimento per la Vita praticamente unico baluardo e difensore della vita. Chi realmente da anni e anni si dedica con generosità all’attività “pro-life” sa benissimo quante siano le persone generose e attive e le realtà associative che in mille modi si adoperano per salvare le vite innocenti, e sa bene quante volte molte di queste attività hanno trovato ostacoli proprio nella libidine monopolistica di un MpV, per decenni feudo personale di Carlo Casini. Glissons.
Ora arriviamo al vero nocciolo della vicenda. Sul giornale “dei vescovi”, leggiamo un articolo scritto da un “cattolico”, dove si trovano perle di questo tipo: “… Per questo non condividiamo il fatto che la presenza di religiosi in abito talare abbia troppa visibilità, per questo riteniamo inopportuno innalzare croci a mo’ di stendardi, per questo non ci piacciono le ostentazioni di rosari in certe circostanze” Il Gigli si doleva, nelle righe precedenti, con queste alate parole: “Pur consapevoli del fatto che i pro life possono essere trovati soprattutto tra i credenti, il MpV giudica inopportuno caratterizzare in senso esclusivamente confessionale simili manifestazioni, perché il farlo equivarrebbe a far ghettizzare il tema della tutela e della promozione della vita, riducendolo a un problema dei soli cattolici”.
Anzitutto c’è una cosa che l’articolista non sa, o non capisce o non vuole capire: gli organizzatori non hanno “caratterizzato” un bel nulla, anzi, hanno sempre sottolineato che la Marcia per la Vita è aperta a tutti. La sola esclusione operata dal Comitato Marcia per la Vita è quella di bandiere ed emblemi politici.
L’altra cosa che non capisce, probabilmente perché non ne è in grado, vivendo in quell’Olimpo di illuminati per il quale il popolo resta comunque il popolaccio, è che la Marcia ha trovato la sua forza dal basso, dalla spontanea partecipazione di migliaia e migliaia di persone, e la gran parte di queste persone testimonia la sua Fede cattolica anche partecipando alla Marcia per la Vita.
Cosa avrebbero dovuto fare gli organizzatori? Vietare i Crocefissi, sequestrare i Rosari, imporre ai religiosi di vestirsi in borghese (molto interessante, come inchino servile al conformismo, quella doglianza sui religiosi, si badi bene, “in abito talare”… ). Avrebbero dovuto severamente imporre il divieto a preghiere e canti religiosi?
Comunque, il sig. Gigli la pensa così, e si pone perfettamente in linea con i tanti che operano in ambito cattolico con una sola preoccupazione: cancellare la presenza cattolica.
Ho già avuto occasione di scrivere che tutto ciò che serve a far chiarezza è provvidenziale. Del resto, il Gigli è perfettamente in linea con illustri esponenti di una “gerarchia”, vedi ad esempio un mons. Galantino, che già espresse il suo signorile disprezzo per faccenduole da vecchiette sceme come i Rosari, recitati con “viso inespressivo” davanti alle cliniche in cui si ammazzano i bimbi con tutti i crismi di legge.
Questi sono i tempi in cui viviamo; si parla tantissimo di giustizia sociale, di migranti, di corruzione (ovviamente solo di quella economica), di guerra e pace, e si parla di tutto questo facendo ben attenzione a non dare fastidio al sistema dominante, che non sopporta le testimonianze di Fede. Apertura, dialogo, pace e bene purché siano solo quelli del mondo, il quale mondo, per garantire a tutti la libertà, deve anzitutto mettere a tacere la testimonianza della Fede cattolica, unico ostacolo alla felicità perfetta promessa dal mondialismo.
Tutto bene, tutto chiaro.
Però mi sembra legittimo fare una richiesta: smettiamola di parlare di “intellettuali cattolici”, “quotidiani cattolici”, e così via, laddove di cattolico non è rimasto più nulla. Smettiamola di prenderci in giro.

Ho riletto questo vecchio articolo di Giorgio Vittadini del "2007"....in occasione dello scorso Family day....qualcuno oggi gli ha cambiato il titolo...FAMILY DAY:...IL CICLO INTERROTTO!....


Giorgio Vittadini
Presidente Fondazione per la Sussidiarietà
Tratto dal quotidiano "Il Giornale" del 17 maggio 2007 pagina 8
IL FAMILY DAY HA APERTO UN CICLO.
17.05.2007 -l successo del Family day non è stato solo quantitativo, ma anche qualitativo. Il milione di persone presenti sabato scorso in piazza San Giovanni non è sembrato davvero un’anonima massa, ma un popolo di famiglie, cosciente delle ragioni per cui partecipava, in difesa del valore «naturale» e originario della famiglia fondata sul matrimonio eterosessuale. Giancarlo Cesana, in un’intervista ad Avvenire del 3 maggio, ha mostrato la ragione profonda di tale posizione: l’esperienza elementare dell’uomo, «un dato di natura, oggettivo con il quale ciascuno non può fare a meno di misurarsi», capace di «constatare che la famiglia è un di più di umanità e ha in sé una grande ricchezza e costruttività che invece non viene riconosciuta a livello politico, economico, fiscale». Occorre quindi non abbassare la guardia sul piano legislativo e della difesa dei principi irrinunciabili. Tuttavia, sarebbe un grave errore limitarsi a questo. Come viene detto nell’intervista citata «è una battaglia di lungo periodo che si combatte innanzitutto sul piano della testimonianza di esperienze in atto». Perché qui sta il cuore della questione: la famiglia può non essere un’esperienza positiva per i suoi membri. È significativo, ad esempio, che su uno degli aspetti cruciali che compete loro, le famiglie italiane non abbiano le idee chiare. In una recente indagine è risultato che solo il 35% delle famiglie intervistate capisce la differenza tra istruzione (trasmissione di nozioni) ed educazione (introduzione alla realtà). Molti genitori, dominati da un’ideologia borghese, basata sulla ricerca del successo, o dall’utopia radicale, fondata sull’abolizione di ogni vincolo morale, o da un cristianesimo ridotto a moralismo soffocante nel suo formalismo, hanno spesso rovinato i loro figli. L’esperienza di essere persone animate da una irriducibile domanda di significato più grande della propria capacità di rispondervi, in queste famiglie, è stata mortificata. Ne è nato un nichilismo di ritorno diffuso e pernicioso. C’è bisogno allora di chi riscopra personalmente l’esperienza elementare ell’anelito al vero, al bello, al giusto e lo assuma come fonte di giudizio per la vita quotidiana e sociale. Uomini e donne così danno vita a famiglie dove non si tarpa la dimensione religiosa e cristiana, si desidera educare i figli, si accoglie la vita nascente, si ama il lavoro e la costruttività sociale, si è gratuiti verso gli altri, disponibili ad ammettere i propri errori e a perdonare. Uomini e donne così non concepiscono la loro famiglia come una monade chiusa, isolata e autosufficiente come una «camera a gas», ma desiderano l’appartenenza ad amicizie, realtà sociali e movimenti che aprano alla vita. Molti presenti al Family day hanno già iniziato questa esperienza e chiamano tutti gli altri a parteciparvi.
Giorgio Vittadini
Presidente Fondazione per la Sussidiarietà

Tratto dal quotidiano "Il Giornale" del 17 maggio 2007 pagina 8

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