gradualità dei Comandamenti
Ciò che più sorprende è il fatto che il Sinodo stesso, come ha notato l’arcivescovo Stanisław Gądecki, presidente della Conferenza Episcopale Polacca, si è emancipato dal concetto di peccato. Non si parla da nessuna parte di peccato, mentre si cerca di affrontare con tanta bontà e con uno sguardo detto “misericordioso” le situazioni familiari in cui il primo matrimonio è naufragato nel divorzio, rappresentando al contempo le nuove unioni come normali e addirittura con elementi intrinseci di bontà. In modo ilare, come in una festa, da queste nuove convivenze more uxorio si è passati a vedere la bontà delle unioni tra due uomini o due donne. Certo, la bontà di alcuni padri sinodali non conosce limiti nell’errore. Ma ci si chiede: che c’entrano le unioni omosessuali con la famiglia? Sono in qualche modo famiglia anche loro?
Per la linea Kasper-Forte sì, applicando un principio della gradualità. Di questo argomento abbiamo già qui dato un accenno ecclesiologico, dimostrandone le premesse erronee, anzi ereticali, ossia la confusione ch’essi fanno tra amore naturale e grazia. Ora entriamo nello specifico.
Cos’è questa benedetta gradualità?
Si fa un gran parlare ora di questo principio morale ma, evidentemente secondo l’interpretazione della linea sinodale della rottura dottrinale, viene interpretato in modo surrettizio, al fine di poter guardare con occhi di misericordia chi vive in una situazione disordinata e di peccato. Tale principio, secondo i suoi teorici, permetterebbe di vedere solo il bene che c’è nel peccato (che non bisogna però dire tale), e così l’approccio misericordioso avrebbe la meglio sulla dottrina rigida e fissista, quella dei fondamentalisti della fede, che, al dire di Mons. Forte, “colpisce come una clava”. Lui, invece, è morbido e umano … e sa accarezzare il mondo. Sta di fatto che la grande reazione dei Padri, che si è avuta dopo la Relazione-sintesi della prima settimana di lunedì 13 ottobre, indica una cosa: la “gradualità” così come è stata concepita e interpretata è sbagliata.
Infatti, nella sintesi degli interventi in aula dopo la Relatio post disceptationem fatta dal Card. Erdo leggiamo: «Necessario è approfondire e chiarire il tema della “dicendo gradualità”, che può essere all’origine di una serie di confusioni. Per quanto riguarda l’accesso ai sacramenti per i divorziati risposati, ad esempio, è stato detto che è difficile accogliere delle eccezioni senza che in realtà diventino una regola comune».
Il tema della gradualità era stato già affrontato da S. Giovanni Paolo II nell’Esortazione apostolica post-sindodale Familiaris consortio, esortazione di fatto messa in soffitta in questo Sinodo:
«Anche i coniugi, nell’ambito della loro vita morale, sono chiamati ad un incessante cammino, sostenuti dal desiderio sincero e operoso di conoscere sempre meglio i valori che la legge divina custodisce e promuove, e dalla volontà retta e generosa di incarnarli nelle loro scelte concrete. Essi, tuttavia, non possono guardare alla legge solo come ad un punto ideale da raggiungere in futuro, ma debbono considerarla come un comando di Cristo Signore a superare con impegno le difficoltà. “Perciò la cosiddetta legge della gradualità, o cammino graduale, non può identificarsi con la gradualità della legge, come se ci fossero vari gradi e varie forme di precetto nella legge divina per uomini e situazioni diverse» (FC 34).
La gradualità della legge indica che la legge stessa sarebbe graduale, quindi che si potrebbe scegliere quello che più conviene, invece la legge della gradualità o cammino graduale, accezione corretta, esprime piuttosto l’esigenza di un’opera pedagogica per entrare nel cuore della legge e per osservarla non solo in modo esteriore, ma con la mente e il cuore: posso cioè essere educato a capire gradualmente il valore della legge, che in sé rimane intangibile e comunque la via al bene da perseguire.
L’indissolubilità del matrimonio è un precetto divino: è l’essenza del matrimonio e ad un tempo la condizione di partenza per potersi sposare. Ora, si può applicare la gradualità della legge a questo precetto divino, iscritto nella natura dell’uomo e del matrimonio? Certamente no. Non si può sottoporre l’indissolubilità del matrimonio ad un arrivo graduale; non vale mai, come risulta chiaramente in questo caso, la gradualità della legge. I divorziati risposati non potrebbero mai capire per gradi la verità dell’indissolubilità perché l’hanno messa in discussione e l’hanno spezzata in partenza. Né tanto meno vale la gradualità per vedere l’amore di due partner come un bene in sé, amore folle che arriva fino al sacrificio di sé, amore che giustificherebbe così l’unione, e pian piano ci permetterebbe di maturare giudizi più misericordiosi verso di loro. Questa è una gradualità nel peccato, che è sempre peccato.
In che senso però, a livello educativo e pastorale, si deve essere pazienti e vedere una legge della gradualità? Solo in chi vuole accostarsi al matrimonio e vuole capire la bellezza dell’unione sponsale indissolubile, magari uscendo da una condizione di peccato oggettivo qual è la convivenza, è individuabile una legge della gradualità. Per gli omosessuali la gradualità consiste nell’accompagnarli pian piano, nel rispetto delle persone, a capire che la condizione di vita scelta è contro natura, e a farli uscire da quella condizione, cominciando ad astenersi dagli atti disordinati e con la preghiera capire le cose più grandi dello spirito.
Si vede chiaramente che il principio della gradualità non può “servire” a vedere un bene in una convivenza o un in matrimonio civile dopo il divorzio come tali, procurando magari, con un cammino penitenziale, un accostamento poi alla Comunione. La gradualità non può essere manipolata per avere uno sguardo misericordioso su chi vive in situazioni non conformi alla legge di Dio.
Il principio della gradualità, pertanto, non è per se stesso la soluzione ai problemi di chi vive in situazioni matrimoniali difficili o disordinate, ma richiede una spiegazione morale giusta, altrimenti degenera in un grande equivoco. Il punto chiave dell’equivoco sta qui: si vuole utilizzare, come appare dal Sinodo, un principio morale che è un aiuto a diventare santi, passo dopo passo, data la difficoltà che noi poveri peccatori possiamo incontrare, per vedere invece il bene in una situazione intrinsecamente disordinata. Il bene o qualche elemento di bontà, che certamente esiste (non per sé ma in relazione al bene integro), se non è redento da ogni compromesso con il peccato e con il disordine morale non è un bene ma ancora un male. Il bene o è integro o non è bene, ma ancora un male, cioè l’assenza di un bene che dovrebbe esserci. Il bene o è tutto bene e interamente bene o è un male. L’errore della linea Kasper-Forte parte da un approccio storicistico alla Rivelazione e alla grazia, e finisce nel rendere bene un bene non integro, dunque ancora un male, un peccato. Con il rischio di giustificare con il fine (amore, fedeltà, aiuto reciproco) i mezzi, che sono inquinati (convivenza o divorzio).
Intanto però è da notare con interesse uno scherzo della Provvidenza: mentre fino a qualche anno fa i critici di Kasper, di Forte, e dei vari Baldisseri di turno, erano soltanto dei “conservatori con delle fisime”, oggi invece tali personaggi sono noti e svelati al pubblico, a tutti i fedeli. Tutti ormai conoscono la linea dei riformatori.
(Fonte: http://lafededeinostripadri.blogspot.co.at)
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