Dilemmi morali
Disposto a combattere e a morire per un centimetro ...
di Verità?
Ma bisogna essere una squadra!
E’ vero. Il Vangelo, di morale, parla “poco”. Ma lo fa in modo in modo lapidario. Cristo infatti, riferendosi all’uso ebraico di ripudiare la moglie e di sposarne un’altra, in seguito ad adulterio o per altri motivi, afferma: “in principio non era così”. Il Genesi, infatti, è perentorio: “i due saranno un’unica carne”, come da un’unica carne provengono. Così i tre vangeli sinottici affermano: “L’uomo non separi ciò che Dio ha unito”. E’ vero che il testo di Matteo presenta un inciso di non facile lettura, che può dare adito a dubbi (è lecito o meno ripudiare la moglie che abbia compiuto adulterio?), ma è anche vero che san Paolo sarà molto chiaro riguardo all’indissolubilità. Del resto sta proprio qui la novità portata da Cristo, non nell’istituzione della monogamia, già presente in molti popoli, ma nel suo compimento attraverso la legge dell’amore, “che tutto crede, tutto spera, tutto sopporta” (anche nei confronti del coniuge “manchevole”). Qual è la situazione della famiglia ai tempi degli apostoli? Da Gerusalemme a Roma, drammatica. Ripudio, divorzio, frammentazione familiare, sono epidemici.
Eppure la proposta della Chiesa è il “dolce giogo” della legge di Cristo: la fedeltà al vincolo coniugale. Nella convinzione che rafforzare il matrimonio, insegnandone la nobiltà, sottraendolo alla violenza della concupiscenza o dell’imposizione genitoriale, sia difendere l’uomo, elevarlo, ed elevare, così tutta la società. Il matrimonio è il luogo affettivo in cui uomo e donna realizzano il disegno di Dio per loro; e in cui i figli trovano ciò di cui abbisognano. Sempre, nel corso dei secoli, i missionari che raggiungeranno terre in cui sono presenti il ripudio o addirittura la poligamia, noteranno che proprio queste istituzioni sono la causa dell’abbandono di innumerevoli orfani e dell’infelicità di molti figli. Ed anche per questo, con pazienza e carità, cercheranno di educare le nuove generazioni al matrimonio indissolubile.
Quanto all’inciso di Matteo, l’interpretazione dei primi secoli, è vero, non è sempre univoca e precisa. Il Pastore di Erma (II sec.) è per il ripudio della donna adultera, ma vieta al marito di risposarsi. Clemente di Alessandria e Origene ammettono anch’essi il ripudio dell’adultera, ma non autorizzano un secondo matrimonio, mentre Agostino “confuta la dottrina di Pollenzio il quale, invocando l’inciso di Matteo, permetteva un secondo matrimonio, autorizzando quindi un vero divorzio” (J.Gaudemet). San Basilio, invece, è titubante di fronte al caso di un marito abbandonato dalla moglie, e risposatosi (ciononostante lo considera adultero e gli impone una penitenza di sette anni). Cosa significa, tutto ciò? Sicuramente il mistero del matrimonio indissolubile, sempre, è “grande”. Per questo mistero Tommaso Moro, il cardinal Fisher ed altri hanno dato la vita (senza escogitare “zattere” di salvataggio, né per il proprio re, né per se stessi).
Oggi abbiamo dei dati chiari su cui ragionare: l’introduzione, nelle legislazioni, del divorzio, ha banalizzato il matrimonio, portandolo ad un livello inaudito di fragilità. Nello stesso tempo chi si sposa in Chiesa divorzia (un po’) di meno: l’idea, più o meno radicata, della sacralità del sacramento è stimolo a superare le difficoltà, a far risorgere rapporti incrinati. Trasformare anche la Chiesa nel luogo in cui il matrimonio è aleatorio e non definitivo, significa togliere non solo agli sposi cristiani, ma anche all’umanità, l’idea che l’amore per sempre esiste, è possibile, è ciò che Dio vuole. Significa uccidere la speranza. Per questo il solo sentire la casuistica pro divorzio proposta dal cardinal Kasper genera, in molti, disperazione: “allora, il matrimonio per sempre, non è proprio possibile?”. Altri non possono che chiedersi se non vi siano altri modi per andare incontro a chi abbia vissuto un fallimento, e altre priorità su cui adoperarsi per evangelizzare la società. Ci sono sofferenze da non dimenticare, ma anche giovani da educare.
In conclusione può essere utile, per capire cosa il divorzio significhi davvero, il recente studio di un sociologo, Giuliano Guzzo, intitolato “La famiglia è una sola”. Ne estrapolo solo due stralci: “Nei primi anni Novecento venne pubblicato un lavoro nel quale si mettevano in luce non poche criticità legate all’instabilità coniugale. A rendere interessante il contenuto di quella ricerca è il suo autore, lo studioso positivista Émile Durkheim. Cosa scoprì? In breve, considerando in particolare il caso della Svizzera, Durkheim rilevò che «… dove ci sono molti divorzi ci si uccide molto, dove ci sono pochi divorzi, ci si uccide poco…». Non esitò a riscontrare poi gli effetti benefici del matrimonio: «impedisce al furore di agitarsi e di tormentarsi vanamente alla ricerca di felicità impossibili o deludenti; rende più facile questa pacificazione del cuore, dell’equilibrio interiore che è la condizione essenziale della salute morale e della felicità». Le ricerche di Durkheim sono confortate da analoghe indagini odierne, che dimostrano, continua Guzzo, l’esistenza, in seguito a divorzio, di “ripercussioni piuttosto gravi sulla salute, che si manifestano in maggiori rischi di ansia e di depressione, in un aumento del rischio di abuso di alcol, in più alti tassi di morte prematura…”. E i figli del divorzio? Altra sofferenza immensa, cui il riformatore tedesco non fa cenno. Benché i piccoli siano sempre stati una preoccupazione primaria della Chiesa. (Il Foglio, 9/10/2014)
http://www.libertaepersona.org/wordpress/2014/10/dilemmi-morali/
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