mercoledì 27 novembre 2013

la pace nella terribile crisi

Si revera Deum quaerit. 

Conservare la pace nella terribile crisi della Chiesa.  



È inutile negarlo, questa crisi terribile che attraversa la Chiesa costringe i cattolici che vogliono restare fedeli alla Tradizione a definire la propria identità in modo sempre più polemico.

È inutile negarlo. La pars destruens delle fatiche profuse dal fronte tradizionale assume nella sfera pubblica un’estensione e una visibilità di molto maggiori rispetto alla pars construens, che pur continua a svolgersi con zelo tutt’altro che amaro in singole realtà concrete (religiose, parrocchiali e familiari) che il Signore ha voluto benedire con la fedeltà dottrinale e liturgica.

  È inutile negarlo, questa terribile crisi ci sta togliendo la pace.
Per questo, per non arrendersi all’idea che la battaglia debba privarci del commercio spirituale con Dio, per non convincerci che questo non sia più il tempo dell’ordine, della carità e della pace, per non cadere preda di una sorta di praxis gesuitica quale quella già denunciata in questo blog, per non cedere allo spirito pelagiano (quello vero!), per non avere la smania di vincere nel tempo, ma per cercare Dio solo e da Lui solo sperare ogni cosa, le Sentinelle alessandrine dedicano a tutti gli amici fedeli alla Tradizione queste splendide pagine di spiritualità benedettina.

Si tratta del paragrafo conclusivo della celebre opera Cristo ideale del Monaco, del beato Columba Marmion, nome che non richiede certo presentazioni. Sono pagine che trattano della pace conquistata nella perfezione monastica, ma è bello pensare che a tanto possa anelare ogni anima cristiana in virtù anzitutto del suo battesimo, che la consacra a Dio e la costringe a desiderare di piacere solo a Lui. Pagine sulla perfezione monastica, pagine sulla perfezione cristiana, pagine sulla pace ordinata che deve regnare nel cuore di ogni vero cristiano.

Le dedichiamo a tutti gli amici fedeli alla Tradizione. Ma un pensiero particolare va a chi è in prima linea nella vita pubblica e nella vita privata. Un pensiero particolare a Mario Palmaro e a chi come lui sta portando in modo particolarissimo la Croce del Divin Maestro: quale che sia il futuro preparato per loro dal Signore, attraverso la sofferenza già ricevono una visita del loro Dio.

Buona lettura.

  "Chiediamo dunque a Gesù che ci porti, ci doni cotesta pace, frutto del suo amore. «Signore - esclama S. Agostino al termine delle Confessioni, l'ammirabile libro in cui narra come aveva cercato la pace in tutte le soddisfazioni possibili dei sensi, dello spirito e del cuore, senza trovarla altrove che in Dio - Signore, dà a noi la pace, la pace del settimo giorno, del giorno che non conosce sera. - Domine Deus, pacem da nobis, pacem quietis, pacem sabbati, sabbati sine vespera». «Quanto a te, Signore, che non hai bisogno di altri beni, tu sei sempre nella quiete, perché sei a te stesso la quiete. Quale uomo potrà farlo intendere a un altro uomo? Quale angelo a un altro angelo? Quale angelo all'uomo? Bisogna chiederlo a te, in te bisogna cercarlo, battendo alla tua porta per ottenerlo». E il santo Dottore, che tutto aveva provato, e conosciuta la vanità di ogni creatura, la fragilità della felicità umana, termina con questo grido dell'anima: «É il solo mezzo per essere esaudito, per trovare, per vedersi aperta la misteriosa porta».
Domandiamo dunque questa pace per noi, per ognuno dei fratelli che abitano nella nostra stessa Gerusalemme spirituale: «Rogate quae ad pacem sunt Jerusalem (Salm. CXXI, 6)» e la otterremo; ma soprattutto saremo esauditi, se ci terremo in atteggiamento di adorazione, di sottomissione e di abbandono a Nostro Signore: qui è la sorgente della vera pace, perché così Dio ha stabilito, e noi vi troviamo la soddisfazione dei più intimi desideri dell'anima. L'atto d'abbandono richiesto è stato fatto già con la professione, dandoci a Gesù per seguirlo: «Reliquimus omnia et secutis sumus te»; dimoriamo nella pace, mantenendoci fermi in questa disposizione; la S. Regola è tutta ordinata a procurarci e a custodirci la pace; e il monastero in cui si vive regolarmente, è già quaggiù una visione della pace. Anche l'anima che si lascia modellare dall'umiltà, dall'obbedienza, dallo spirito di abbandono e dalla fiducia, fondamenti della vita monastica, diventa una città di pace.
Davvero il N.B. Padre ha meravigliosamente compreso il piano divino, l'ordine da Dio stabilito. La nostra anima è fatta per Iddio; se non tende a lui è sempre agitata e turbata. S. Benedetto vuole che abbiamo unicamente quest'intenzione: «Cercar Dio - Si revera Deum quaerit»; vi riconduce tutto come a centro della Regola e con l'unità dello scopo, unifica i molteplici atti della vita, soprattutto i desideri della nostra natura; questo, secondo S. Tommaso, è l'elemento essenziale della pace: «Tranquillitas consistit in hoc quod omnes motus appetitivi in uno homine conquiescunt». L'anima nostra è turbata quando è dilaniata dai desideri che tendono a mille diversi oggetti: «Sollicita es et turbaris erga plurima (Luc. X, 41)»; ma quando cerchiamo Dio solo con l'obbedienza fiduciosa e amante, riconduciamo tutto all'uno necessario; e così stabiliamo in noi la forza e la pace.
Quindi, penetrando più a fondo nell'ordine divino, il santo Patriarca ci insegna che senza il Cristo non raggiungeremo questo fine, perché egli solo è la via che vi conduce: per questo nella Regola non troviamo altro mezzo che l'amore di Cristo: «Ad te ergo nunc meus sermo dirigitur, quisquis … Domino Christo vero Regi militaturus (Prologo)»; solo col fare Cristo re del nostro cuore saremo veri discepoli di S. Benedetto. E quando il Patriarca si congeda da noi, ripete come consiglio incalzante e di gran valore: «Non anteponete nulla a Cristo! - Christo omnino nihil praeponant, qui nos pariter ad vitam aeternam perducat (c. 72)».
Ecco in iscorcio tutto l'ordine divino esposto dal santo Legislatore con ammirabile semplicità e chiarezza. Ritornare a Dio per mezzo di Cristo, cercar Dio con lui, tendere a Dio sulle sue tracce; e per mostrare che la ricerca è sincera, assoluta, fuggire il mondo, praticare l'umiltà, l'obbedienza con amore; avere lo spirito d'abbandono e di fiducia; dare la maggior parte della vita alla preghiera, amare il prossimo. Sono le virtù di cui Gesù per primo ci ha dato esempio; esercitandole, proviamo che davvero cerchiamo Dio, che preferiamo a tutto l'amore di Gesù, e che egli è il nostro solo e unico ideale.
Felice il monaco che va per questa via! Nei più grandi patimenti, nelle più crucciose tentazioni, nelle avversità più spiacenti, troverà luce, pace e gioia; perché nella sua anima regna l'ordine voluto da Dio, e tutti i suoi desideri sono unificati nel solo Bene unico, per il quale è stato creato.
S. Benedetto, che ne aveva fatto la prova, ci garantisce cotanto bene: «Via via che il monaco progredisce nella fede e nella pratica della virtù, il cuore si dilata, l'anima corre nell'ardore di una gioia ineffabile - Dilatato corde inenarrabili dilectionis dulcedine curritur via mandatorum Dei (Prologo)». Felice, ripeto, cotesto monaco! Nella sua anima dimora la pace divina e si riflette sul suo viso; egli la irradia intorno a sé. É il vero monaco, secondo l'idea del B. Padre: il figlio di Dio nella grazia di Cristo, il cristiano perfetto: «Beati pacifici, quoniam filii Dei vocabuntur (Matt. V, 9)». Felice davvero, perché Dio è con lui; e ad ogni momento egli trova, nel Dio che è venuto a cercare in monastero, il bene più grande e prezioso; perché è il bene supremo e immutabile, che non manca mai a coloro che lo cercano con semplicità e sincerità di cuore: «Si revera Deum quaerit!»".

  (Beato Columba Marmion, Cristo ideale del monaco, traduzione italiana a cura della madre Maria Galli, edita dai Monaci benedettini di Praglia, pp. 436 - 438)  

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