Card. O'Malley. "La Chiesa non è
democrazia! Ma volontà di Dio"
Il Cardinale si riferiva alla dimensione temporale-organizzativa della Curia, ma il concetto vale anche e soprattutto in ambito dottrinale!
da Tempi, del 17.11.2013
Riportiamo ampi stralci dell’intervista rilasciata al National Catholic Register dal cardinale Sean O’Malley, arcivescovo di Boston, chiamato da papa Francesco a far parte del consiglio degli otto cardinali che lo affiancano come consiglieri nella guida della Chiesa.
Lei è l’unico americano chiamato a consigliare il Papa sulla riforma del governo della Chiesa. Cosa può dirci a riguardo della sua missione di consigliere?
Come annunciato, c’è un desiderio di riformare la curia perché sia maggiormente al servizio del Santo Padre e delle Chiese locali. Lo scopo è di renderla più efficiente e quindi di permettere al Santo Padre di governare con più incisività. È importante esaminare le funzioni dei dicasteri e del consiglio pontificio, per capire come possono lavorare meglio. Il Santo Padre si preoccupa anche, ha un desiderio di cura pastorale per le persone che lavorano in curia. Molti al suo interno hanno dato la vita per servire la Chiesa. Non ci deve essere però un approccio carrieristico ma missionario. Il Santo Padre vuole essere sicuro che questo sia lo spirito (…). Inoltre, la Chiesa è cresciuta molto ed è più internazionale. Perciò c’è un desiderio di internazionalizzare in parte la curia (…). Il consiglio non serve solo per la riforma della curia ma anche per consigliare il Santo Padre sul governo della Chiesa.
Di recente si è parlato di ampliare le consultazioni in seno alla Chiesa. Questo consiglio è un modello di governo per la Chiesa anche ad altri livelli?
La Chiesa non è una democrazia, ma può procedere solo se si cerca di discernere la volontà di Dio e questo non lo facciamo solo come individui, lo facciamo in un’atmosfera di dialogo e preghiera. In ultima istanza, poi, sarà il Santo Padre a prendere le decisioni a cui noi ubbidiremo.
Papa Francesco ci ha chiesto di essere una “Chiesa per i poveri”. Significa condurre una vita più semplice?
La Chiesa ha sempre incoraggiato le persone a tenere uno stile di vita semplice. (…) Il punto è che dobbiamo essere più coscienti dei bisogni della gente e voler rinunciare alle ricchezze e ai comfort superflui. I Cavalieri di Malta per tradizione vedono i poveri e i malati come «il nostro Signore Sovrano». Madre Teresa disse che i poveri sono Cristo «sotto sembianze dolorose». Dobbiamo imparare a vedere il valore delle persone che potrebbero apparire invisibili alla cultura, inclusi i bambini non nati, i pazienti affetti da Alzheimer, i drogati. Alcune di queste persone vivono situazioni difficilissime, non sono le persone belle e produttive, non solo celebrità. Dobbiamo imparare a riconoscere il loro valore con gli occhi di Dio. Socrate diceva: «Le persone mi credono perché sono povero». La testimonianza di una vita semplice è importante nella Chiesa. Non significa che le persone non devono vivere secondo quanto richiesto dalla loro condizione di vita – non tutti devo fare un voto di povertà. Quando leggiamo la vita dei primi cristiani e vediamo come condividevano tutto fra loro, si vede un senso di responsabilità per i poveri, gli orfani e gli stranieri. Dobbiamo fare di più.
Nella sua intervista al magazine America, papa Francesco ha parlato della sua profonda esperienza di paternità spirituale, ma ha anche chiarito che tutti i dirigenti della Chiesa e i pastori devono andare verso gli altri, come padri spirituali.
Per tutti i sacerdoti è importante vedere noi stessi come padri spirituali del nostro popolo. Il Santo Padre, nel corso dell’omelia della Messa crismale, ha detto: «Il pastore deve avere l’odore delle pecore». Come il padre di famiglia fa molti sacrifici per i suoi figli, un sacerdote deve fare molti sacrifici per il suo popolo. Quando il padre fa quei sacrifici non è dispiaciuto per se stesso, la vede come la sua missione. Questo è il modo con cui un buon sacerdote deve agire. Temo, però, che la crisi nel clero legata agli abusi abbia portato alcuni sacerdoti a tenersi in disparte dalle persone così che non si possa sospettare delle loro intenzioni.
Lei è stato eletto nel 2012 presidente del Comitato per la vita della Conferenza episcopale americana. Quali sono i suoi obiettivi?
Nell’ultimo anno ho provato a richiamare all’importanza di cambiare la mentalità del paese sull’adozione. (…) Nel 1998 lessi un articolo di Paul Swope in First Things: «Aborto: un fallimento nella comunicazione». Swope scelse le ricerche che mostravano le donne in gravidanze difficili che finivano per scegliere l’aborto. Queste hanno tre opzioni a loro disposizione: mantenere il bambino, abortire o dare il bambino in adozione. Mantenere il bambino è spesso interpretato come una morte personale. Dare il bambino in adozione è percepita come una opzione terribile – sono una cattiva madre, che sta mettendo il bambino in una situazione di abbandono (…). In qualche modo dobbiamo sfondare questa visione sull’adozione, e aiutare le donne a vedere che ci sono molte coppie senza figli meravigliose e pronte per essere genitori amorevoli. Dobbiamo fare di più per sostenere i genitori adottivi (…). Promuoviamo anche l’assistenza post-aborto… sono così tante le donne che hanno abortito. Queste credono di aver commesso un crimine di cui non si può parlare, imperdonabile, e convivono con quella colpa. Dobbiamo aiutarle a trovare la via della riconciliazione, a sperimentare la misericordia di Dio. Questa è una delle cose più belle di papa Francesco. Egli sta mostrando come la Chiesa deve essere un “ospedale da campo “, andando fuori a raggiungere coloro che sono stati devastati dal peccato.
Un membro del Congresso, Chris Smith, ha recentemente introdotto il Abortion Full Disclosure Act, una proposta di legge che richiederebbe ai piani sanitari offerti dallo Stato, autorizzati dall’Obamacare, di rendere trasparente il finanziamento all’aborto. È importante questo disegno di legge?
Il primo novembre ho scritto una lettera di sostegno alla proposta di legge. Il disegno di legge può essere lanciato come uno sforzo per tutelare i contribuenti: le persone hanno il diritto di sapere se un piano sanitario prevede la copertura dell’aborto prima di pagare piani assicurativi statali.
Il Massachusetts è stato il primo stato a legalizzare il matrimonio omosessuale. Che cosa hanno sperimentato la Chiesa, i pastori, le famiglie?
A Boston abbiamo istituito una commissione incaricata di studiare l’impatto del matrimonio omosessuale e il tema dell’omosessualità. Stiamo monitorando ciò che viene insegnato nelle scuole pubbliche. Sappiamo che è una antropologia del tutto diversa da quella della Chiesa. C’è poi un atteggiamento così aggressivo verso chiunque difende il matrimonio tradizionale che molte persone sono intimidite. E c’è un movimento ora che sta cercando di impedire l’adozione a persone religiose. La sfida che abbiamo di fronte oggi è di aiutare le persone a capire che il matrimonio implica la famiglie. Come l’arcivescovo [Salvatore] Cordileone [di San Francisco] ha spiegato nella sua relazione in una conferenza di questa settimana: «Ogni bambino viene da un uomo e una donna. Il matrimonio riconosce questa realtà e unisce i bambini ai loro genitori». Tutti gli studi dimostrano che la circostanza ottimale perché un bambino cresca è con i suoi genitori biologici in un matrimonio d’amore impegnato. Ma nello stesso tempo abbiamo bisogno di far capire – e questo è difficile – che le persone omosessuali non sono sgradite alla Chiesa. La grande minaccia che il matrimonio deve affrontare è la convivenza (…).
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