I teologi modernisti mostrano le carte contro Veritatis Splendor
Dopo il convegno “A un anno da Amoris laetitia. Fare chiarezza”, organizzato a Roma da La Nuova Bussola Quotidiana e dal mensile di apologetica Il Timone, c'è un fatto nuovo e interessante che si inserisce nel dibattito posto dai dubia
che quattro cardinali hanno rivolto al pontefice sulle parti ritenute
ambigue dell'esortazione apostolica. Un fatto e una domanda. Che
meritano di essere conosciuti.
L'ANTEFATTO
Nel settembre 2014 il vescovo di Anversa, Johan Bonny, scrisse una
lunga lettera indirizzata ai padri che stavano per riunirsi a Roma in
vista del primo round del doppio sinodo sulla famiglia, l'assemblea
straordinaria, a cui seguirà poi quella ordinaria del 2015. Il nocciolo
di quella lunga missiva era contenuto in poche righe. Queste: «Dopo l'Humanae Vitae e la Familiaris Consortio,
la dottrina della Chiesa Cattolica si è trovata legata quasi
esclusivamente ad una determinata scuola di teologia morale, costruita
su una propria interpretazione della legge naturale».
Occorreva, secondo Bonny, riaprire la porta a quella
teologia morale capace di riconoscere «ciò che è umanamente possibile
quando ci si trova in circostanze fragili e complesse». Una porta che,
sempre secondo Bonny, era stata “marginalizzata” non da un magistero,
come ad esempio quello dell'enciclica Veritatis splendor, ma, sostiene
il presule, da “uno sviluppo politico ecclesiale”.
IL FATTO
Ma qual è il fatto nuovo che sembra emergere sempre più chiaro nel dibattito sull'Amoris laetitia? Lo scrivono nero su bianco i due curatori di un autorevole volume, Amoris laetitia: un punto di svolta per la teologia morale? (edizioni San Paolo), che nella domanda del titolo contiene già un indizio di questo nuovo elemento.
Il fatto è che l'enciclica di san Giovanni Paolo II Veritatis splendor
sarebbe la grande imputata per aver bloccato la teologia morale
cattolica (e quindi tutta una serie di questioni legate alla sessualità,
alla contraccezione, etc.), dietro a una visione ritenuta unilaterale.
Il problema, secondo Stephan Goertz e Antonio Autiero, i curatori del
libro presentato alla Gregoriana, è dato dall'idea
«complessiva che con Familiaris consortio e Veritatis splendor sia
stata codificata una dottrina completamente inattaccabile dal punto di
vista della teologia morale, una dottrina che si basa solidamente sulla
sacra Scrittura e sulla tradizione, una dottrina non più bisognosa di
ulteriori sviluppi, ha portato a dei blocchi di pensiero e di azione
nella chiesa cattolica. Con Amoris laetitia, papa Francesco si propone di offrire uno spunto a continuare nella ricerca, anche in questo campo».
Sulla stessa lunghezza d'onda il professore Andrea Grillo, insegnante al Pontificio Ateneo Sant'Anselmo, che ha parlato di “massimalismo morale” nel caso di Veritatis splendor. Anzi, secondo Grillo la rottura con la tradizione l'avrebbe operata proprio l'enciclica di Giovanni Paolo II e ora Amoris laetitia, semplicemente, avrebbe rimesso le cose al loro posto. «La discontinuità», ha scritto sul suo blog Come se non, «era stata introdotta da alcuni documenti del XX secolo – che vanno da Casti Connubii, a Humanae Vitae a Veritatis Splendor –
i quali avevano introdotto un “massimalismo morale” del tutto inedito
fino ad allora, con una grande forzatura nella lettura delle fonti
tradizionali, e rispetto a cui Amoris Laetitia opera un vero e proprio atto di “riconciliazione con la tradizione”».
Che il problema fosse proprio Veritatis splendor,
con i suoi chiari riferimenti agli assoluti morali, al rifiuto di una
coscienza creativa e di un'etica della situazione, lo ha ribadito anche
il redentorista Marcelo Vidal all'Università di Salamanca, durante un
recente incontro introdotto dal cardinale di Madrid Carlos Osoro. «Amoris laetitia», avrebbe detto Vidal, come riporta Infocatolica, «è contro Veritatis splendor,
vale a dire un testo che abbiamo voluto come risarcimento di quella
[enciclica] che ha fermato il rinnovamento della Teologia morale del
Vaticano II».
Parole che sanno tanto di rivincita in bocca a Vidal, visto che il redentorista fu “ripreso” dalla congregazione per la Dottrina della fede nel 2001 (vedi QUI),
proprio in riferimento a tre suoi libri sull'insegnamento della
teologia morale. La “Notificazione” firmata dal prefetto cardinale
Ratzinger indicava, tra l'altro, che «consequenziale al modello morale
assunto [nei libri di Vidal, nda] è l’attribuzione di un ruolo
insufficiente alla Tradizione e al Magistero morale della Chiesa, che
vengono filtrati attraverso le frequenti «opzioni» e «preferenze»
dell’Autore. Dal commento all’Enciclica Veritatis splendor, in
modo particolare, si evince la concezione manchevole della competenza
morale del Magistero ecclesiastico». Sul finale poi si legge un passo
significativo: «con questa Notificazione, [la congregazione della
Dottrina della fede] desidera anche incoraggiare i teologi moralisti a
proseguire il cammino di rinnovamento della teologia morale, in
particolare nell’approfondimento della morale fondamentale e nell’uso
rigoroso del metodo teologico-morale, secondo gli insegnamenti
dell’Enciclica Veritatis splendor e con il vero senso di responsabilità ecclesiale».
LA DOMANDA
Se le cose stanno come sostengono il vescovo Bonny, i
curatori di un importante libro, il professor Grillo e il redentorista
Vidal, viene spontaneo chiedersi quale possa essere stato in quasi
venticinque anni il dovuto “ossequio della volontà e dell'intelletto” al
magistero autentico rappresentato da Veritatis splendor. Ma non è questa la domanda principale che si propone.
Leggendo le “Osservazioni” della congregazione per la Dottrina della fede a di un libro in lingua tedesca, “Teologia morale fuorigioco? Risposta alla enciclica Veritatis splendor”,
è possibile comprendere la portata delle questioni che si sollevano.
Tali “osservazioni” furono pubblicate sull'Osservatore romano del 2
febbraio 1996.
Secondo gli autori di quel testo in lingua tedesca, «la Veritatis splendor
sbaglia non solo perché critica delle teorie morali che, a loro avviso,
rispondono alla verità, ma soprattutto perché intende essere un
pronunciamento magisteriale su una materia - la morale normativa - che
di per sé non rientrerebbe nelle competenze del magistero della chiesa,
dato che su di essa non esisterebbe un concreto insegnamento specifico
nella Rivelazione né sarebbe esistita, almeno fino a questo momento, una
dottrina cattolica definita. (…) Conseguentemente alcuni autori sono
convinti di poter rendere la "Veritatis splendor" oggetto di una "quaestio disputata", e si sentono autorizzati a favorire il dissenso pubblico da un pronunciamento del magistero ordinario del romano pontefice».
La questione comincia a emergere, e riguarda nello specifico il fatto che Veritatis splendor
possa effettivamente essere derubricata a mero “sviluppo politico
ecclesiale” rispetto al pluralismo della teologia morale, come ha
scritto il vescovo Bonny, oppure a espressione unilaterale di un
“massimalismo morale”, come dice, invece, il professore Andrea Grillo; o
come un'enciclica che ha “portato a dei blocchi di pensiero” come hanno
scritto gli autorevolissimi Stephan Goertz e Antonio Autiero nella post
fazione al testo presentato il 4 maggio alla Gregoriana.
Ma quanto spazio ha avuto nella Chiesa questa interpretazione di Veritatis splendor?
Quanti i pastori, i teologi e i sacerdoti, che sono andati per la loro
strada indipendentemente dall’insegnamento di quell’enciclica? E' questo
un esempio di “pluriformità” della Chiesa?
La risposta a queste domande deve tener conto della conclusione di quell’ “Osservazione” pubblicata sull'Osservatore romano nel 1996:
«Come ha ricordato recentemente Giovanni Paolo II (…): “Nelle encicliche Veritatis splendor ed Evangelium vitae, così come nella lettera apostolica Ordinatio sacerdotalis,
ho voluto riproporre la dottrina costante della fede della chiesa, con
un atto di conferma di verità chiaramente attestate dalla Scrittura,
dalla tradizione apostolica e dall'insegnamento unanime dei pastori.
Tali dichiarazioni, in virtù dell'autorità trasmessa al successore di
Pietro di "confermare i fratelli" (Lc 22,32), esprimono quindi la comune
certezza presente nella vita e nell'insegnamento della chiesa”
(Discorso alla sessione plenaria della Congregazione per la dottrina
della fede, 24.11.1995, nn. 5-6). «A nessuno sfugge», chiosava la
congregazione per la Dottrina della fede, «che contestare in linea di
principio il ruolo del magistero della chiesa espresso in queste parole,
(...), non costituisce un problema semplicemente disciplinare, bensì
intacca profondamente l'unità e l'identità della Parola sulla quale è
fondata la chiesa».
E' spaventoso ciò che sta succedendo! Quando si arrivano a mettere in dubbio le parole che Gesù ha detto, dopo che la Santa Chiesa attraverso il Magistero, ne ha donato al mondo le coordinate per convertirsi, vivere e servire il Signore, secondo le Sue Sante Leggi, tutto diventa possibile, anche invocare, sotto la guida dello Spirito, una Chiesa nuova, rinnovata, non più madre e maestra ma serva e discepola dei desideri del mondo.
RispondiElimina