BLONDET: DOPO LA GRECIA, TOCCA ALL’ITALIA! O CREDI ANCORA ALLA CRESCITA DEL PIL ?
di MAURIZIO BLONDET
– Aumenta lo spread dei titoli di stato portoghesi. Il governo di sinistra, che si aspetta un deficit di bilancio del 2,2 per cento del Pil, è ovviamente allarmato: deve chiedere quel 2,2 per cento che manca a quadrare i bilanci ai “mercati”. Le agenzie di rating già hanno catalogato il debito pubblico portoghese “speculativo”, ossia a massimo rischio di insolvenza: i “mercati” (l’usura) esigono ovviamente di estrarre dal paese interessi altissimi, proibitivi dopo 8 anni di tagli della cinghia e austerità feroce. Feroce come prova il fatto che il deficit di bilancio portoghese, l
’anno scorso, è stato del 4,2 per cento. Contrariamente all’Italia, Lisbona ha fatto i compiti a casa, tagliando il deficit quasi della metà.
Otto anni di sacrifici durissimi senza prospettive di miglioramento sono anche la causa per cui l’elettorato ha votato “a sinistra”. A novembre, il primo ministro Antonio Costa, eletto (non come il nostro), ha promesso di porre fine alla “strategia di impoverimento dell’Unione Europea”. Con l’appoggio di verdi, comunisti e blocco delle sinistre, ha aumentato il salario minimo, l’IVA, e approvato una legge che protegge dal pignoramento della casa gli insolventi. Ha anche promesso un aumento delle pensioni e riduzione delle contribuzioni sociali per i lavoratori a più basso reddito.
Ovviamente, Bruxelles si è avventata contro Lisbona: “La UE ritiene la bozza di bilancio di previsione a rischio di non-adempimento della Patto di Stabilità e di Crescita”, ha comunicato nella sua neolingua orwelliana, ed obbligato il governo eletto a cambiarlo, mettendo in forse le promesse di Costa. La Commissione ha di fatto preso il bilancio portoghese sotto la sua amministrazione controllata ed annunciato che lo “valuterà” (correggerà) ad aprile. Il governo eletto ha scongiurato il rigetto puro e semplice del bilancio mettendosi a trattare: Bruxelles ha ordinato che Lisbona tiri fuori quasi un altro miliardo (950 milioni d euro) dalla sua miseria per dedicarlo alla riduzione del debito. Mario Centeno, il ministro delle finanze, ha proposto tagli per 450. Alla fine ha dovuto accettare tagli per 850 milioni. A questo scopo, dovrà rincarare ulteriormente l’Iva su petrolio e tabacchi, varare una supertassa per l’acquisto di auto nuove, prelievi fiscali sui servizi bancari e sulle transazioni finanziarie.
Non basta. Quindi è entrata in scena la vera padrona d’Europa, la cancelliera. Ha convocato il primo ministro socialista a Berlino per fargli la lezione. In una intervista al Frankfurter Allegemeine Zeitung, Costa ha provato a difendere la sua posizione con argomenti del tipo: il lavoro portoghese soffre la concorrenza globale con i paesi a bassi salari, Cina ed Est Europa; dall’entrata nell’euro, “la nostra economia è in stagnazione”; il governo precedente non ha corretto la situazione: “Era un errore pensare che fosse possibile a forza di impoverire ciascuno”. La Merkel ha respinto il ragionamento. “Tutto si deve fare per continuare nella direzione precedente, che ha avuto successo”.
Secondo certe valutazioni il vero scopo della durezza di Berlino è spaccare la alleanza delle sinistre e far cadere il governo. L’alleanza è fratturata. Già la liquidazione della Banca Banif, che su “suggerimento” europeo è stata accollata ai contribuenti portoghesi, facendo aumentare il deficit del Pil dal 3 a 4,2 per cento, ha visto la viva opposizione di tutte le formazioni che sostengono il governo socialista, comunisti, verdi, blocco delle sinistre. La Troika ha naturalmente fatto la sua parte, lanciando “avvertimenti”. Adesso la portavoce di quest’ultima formazione, Catarina Martins, sembra aver capito il gioco, perché ha dichiarato: “Nessun avvertimento da nessuna parte lanciato può mettere in questione l’accordo che abbiamo firmato per mettere fine all’impoverimento in Portogallo”.
Il giornale del blocco delle sinistre, Esquerda, ritiene che la inflessibilità brutale di Bruxelles (Berlino) serva anche come messaggio lanciato alla Spagna: “Dissuadere il partito socialista spagnolo dall’optare per una soluzione di tipo portoghese”. Berlino vuol spingere Madrid, dove la disoccupazione è al 24 per cento, a tornare entro i limiti del famoso 3%: che si tradurrebbe nell’estrazione dalle tasche spagnole di altri 8 miliardi di euro. “Podemos” ha come programma dichiarato di metter fine alla politica di austerità, che “ha avuto tanto successo”. Il commissario europeo all’economia e finanze, il francese Moscovici non ha fatto commenti sui negoziati in corso fra il partito socialista iberico e “Podemos” (sarebbe stato imbarazzante, essendo Moscovici un ‘socialista’, il che fa’ un po’ridere), ma ha pronunciato le solite frasi in neolingua sull’obbligo per Madrid di rispettare “Il patto di stabilità e crescita” con “un maggiore sforzo”.
Commerzbank, il bastonatore
A questo punto si è chiamato nel gioco – come bastonatore, figura che non può mai mancare nel sistema dell’usura (il “recupero crediti”, in neolingua) – un attore inatteso: la Commerzbank. E’ stata questa gigantesca banca germanica – che ha ricevuto dal governo un dieci miliardi di euro, altrimenti sarebbe fallita – a attaccare, il 19 gennaio, il governo socialista portoghese eletto: “Evidentemente il nuovo governo non si affida alla deregulation e alle privatizzazioni per ravvivare l’economia”, ha scritto sul suo report: “Preferisce tornare alle politiche espansive e all’intervento dello stato in economia”: traduzione dalla lingua di legno: il premier Costa s’è rifiutato di applicare alla Banca centrale portoghese il bailout (salvataggio a spese dello Stato) che il precedente governo liberista aveva applicato alla Banif; quindi, vi facciamo fare la fine che la UE ha fatto fare a Syriza. Il report di Commerzank del 19 gennaio è stato anche,forse soprattutto, un segnale per le libere agenzie di rating: alzate il rischio-paese.
A questo punto si è chiamato nel gioco – come bastonatore, figura che non può mai mancare nel sistema dell’usura (il “recupero crediti”, in neolingua) – un attore inatteso: la Commerzbank. E’ stata questa gigantesca banca germanica – che ha ricevuto dal governo un dieci miliardi di euro, altrimenti sarebbe fallita – a attaccare, il 19 gennaio, il governo socialista portoghese eletto: “Evidentemente il nuovo governo non si affida alla deregulation e alle privatizzazioni per ravvivare l’economia”, ha scritto sul suo report: “Preferisce tornare alle politiche espansive e all’intervento dello stato in economia”: traduzione dalla lingua di legno: il premier Costa s’è rifiutato di applicare alla Banca centrale portoghese il bailout (salvataggio a spese dello Stato) che il precedente governo liberista aveva applicato alla Banif; quindi, vi facciamo fare la fine che la UE ha fatto fare a Syriza. Il report di Commerzank del 19 gennaio è stato anche,forse soprattutto, un segnale per le libere agenzie di rating: alzate il rischio-paese.
Ora, la sola agenzia di rating che non ha catalogato il debito pubblico portoghese come spazzatura, la canadese DBRS, deve revisionare le sue valutazioni ad aprile. Se anche questa svaluta il rating portoghese, il Portogallo corre un rischio letale: la BCE non ha più, secondo le regole, il permesso di comprare i titoli del debito portoghese, che quindi dovrà essere venduto sul “mercato”, offrendo interessi proibitivi. E’ precisamente ciò che la Commerzbank vuole. L’ha scritto nel suo report: “Il nuovo governo – prevede – non chiederà un nuovo pacchetto di bailout (alla Troika), proverà a scongiurare questo rischio prendendo una direzione più moderata verso la politica economica. Ciò provocherà la rivolta nella coalizione di sinistra, portando il governo in minoranza e a nuove elezioni”(Economic insight.www.commerzbank.com.)
La causa
E’ appena il caso di ricordare che questi “problemi” – come quello italiano non nascono dalla naturale inferiorità dei latinos, bensì da un evento imposto artificialmente una quarantina di anni fa? Il “divorzio” fra banche e centrali e ministeri del Tesoro? Prima del divorzio, la banca centrale era obbligata a comprare le emissioni che restavano invendute sul mercato: ciò costituiva un calmiere al costo del denaro, che i “mercati” non potevano tollerare. Non sarà nemmeno il caso di ricordare che in quegli anni, con quel metodo di finanziamento, il debito pubblico italiano era al 54 per cento, e solo “dopo” il divorzio ha cominciato a salire a manetta, fino al 120 per cento attuale? Che allora, al prezzo di una certa inflazione, si ottenne lo sviluppo industriale, il miracolo economico, il tendenziale pieno impiego?
No. Non si può evocare la soluzione, che è quella. La “sinistra” italiotè favorevole al divorzio, anche soprattutto quello voluto dalla finanza internazionale. Su tema, mantiene fermo il tabù; non si può parlare di rimettere Bankitalia sotto lo Stato. Il tabù sul sesso invertito, invece, lo attacca: facile….
E’ appena il caso di ricordare che questi “problemi” – come quello italiano non nascono dalla naturale inferiorità dei latinos, bensì da un evento imposto artificialmente una quarantina di anni fa? Il “divorzio” fra banche e centrali e ministeri del Tesoro? Prima del divorzio, la banca centrale era obbligata a comprare le emissioni che restavano invendute sul mercato: ciò costituiva un calmiere al costo del denaro, che i “mercati” non potevano tollerare. Non sarà nemmeno il caso di ricordare che in quegli anni, con quel metodo di finanziamento, il debito pubblico italiano era al 54 per cento, e solo “dopo” il divorzio ha cominciato a salire a manetta, fino al 120 per cento attuale? Che allora, al prezzo di una certa inflazione, si ottenne lo sviluppo industriale, il miracolo economico, il tendenziale pieno impiego?
No. Non si può evocare la soluzione, che è quella. La “sinistra” italiotè favorevole al divorzio, anche soprattutto quello voluto dalla finanza internazionale. Su tema, mantiene fermo il tabù; non si può parlare di rimettere Bankitalia sotto lo Stato. Il tabù sul sesso invertito, invece, lo attacca: facile….
Tutto si aggravò poi con l’entrata nell’euro e la perdita di sovranità monetaria. Come il Portogallo, anche l’Italia ha smesso di essere un concorrente dell’industria tedesca, e gli è stato prescritto di concorrere con i salari di Cina ed Est, ossia con la riduzione delle paghe. Esito fallimentare e rovinoso, che disgrega la società e blocca il futuro nazionale.
Il fatto strano – che non si ha voglia di notare – è che la BCE fa oggi quel che faceva la banca centrale nazionale al tempo del “matrimonio” col rispettivo Tesoro nazionale: compra titoli del debito pubblico che altrimenti il mercato (l’usura speculativa) non accetterebbe se non con interessi altissimi, mortali per le economie. Come mai ciò che “non andava bene” allora diventa bene oggi? Perché allora rispondono, si dava ai politici (ai governi eletti) il modo di spendere. Oggi, lo si dà ai banchieri. Quanto meglio spendono il denaro creato dal nulla, i profitti generati dall’esazione di interessi altissimi dai lavoratori, e i profitti degli esportatori, lo dice il caso Deutsche Bank: ha “investito” in derivati pari a molto più del pil tedesco. O se volete, Montepaschi Etruria, eccetera.
Siccome sono le banche a possedere la BCE, va bene anche la “repressione finanziaria” che prima faceva il matrimonio fra banche centrali e Tesoro di ogni paese. Fino alla morte, “austerità” è la legge.
Naturalmente il gioco degli usurai e di Berlino riesce perché i paesi che hanno solo da perdere vanno in ordine sparso, e sono sconfitti uno per uno. Ovviamente ha ragione Varoufakis, che lancia una coalizione internazionale per mettere in atto una resistenza coordinata fra i molti scontenti che, per vari motivi, vogliono una riforma della UE: anche la Polonia di Jarosław Kaczyński, già minacciato da Bruxelles e Berlino (“Non salvaguarda lo stato di diritto). Ma da quelle parti c’è già il Patto di Visegrad (Polonia Ungheria Slovacchia) che si oppone con successo alla inondazione delle identità nazionali nella marea di “immigrati” decretata dalla Merkel.
Naturalmente il gioco degli usurai e di Berlino riesce perché i paesi che hanno solo da perdere vanno in ordine sparso, e sono sconfitti uno per uno. Ovviamente ha ragione Varoufakis, che lancia una coalizione internazionale per mettere in atto una resistenza coordinata fra i molti scontenti che, per vari motivi, vogliono una riforma della UE: anche la Polonia di Jarosław Kaczyński, già minacciato da Bruxelles e Berlino (“Non salvaguarda lo stato di diritto). Ma da quelle parti c’è già il Patto di Visegrad (Polonia Ungheria Slovacchia) che si oppone con successo alla inondazione delle identità nazionali nella marea di “immigrati” decretata dalla Merkel.
Chi deve formare un simile Patto fra i popoli del Sud, se non l’Italia, viste le sue dimensioni? Due giorni fa, Varoufakis ha criticato Renzi e la sua presunta resistenza alla Merkel: “Chiedere più flessibilità per aggirare le regole dell’Europa è un’idea stupida. E controproducente con i tedeschi. Se ognuno nella Ue decide di fare ciò che vuole, l’Unione è finita. La vera battaglia oggi nella Ue è cambiare le regole. L’Europa è un edificio costruito male, dove un processo decisionale opaco presentato dalla burocrazia comunitaria come “apolitico e tecnico” sta rubando la democrazia al popolo”.
Già nel settembre 2015, quando la Grecia veniva schiacciata e Renzi fece la parte dello zelante ai desideri di Berlino, giungendo a deridere Varoufakis (in romanesco, che è la lingua della feccia: “Ce semo liberati di lui”), il greco replicò: “Non di me ti sei liberato,ma della democrazia”.
Oggi Renzi fa interviste in cui sembra avvicinarsi al greco: “UE come Titanic”, eccetera. Se fosse serio, si libererebbe di Padoan, licenzierebbe in tronco il Visco di Bankitalia (omessa sorveglianza come minimo), e prenderebbe come ministro alcuni degli economisti che pure esistono in Italia: Sapelli, Savona, Galloni.
Oggi Renzi fa interviste in cui sembra avvicinarsi al greco: “UE come Titanic”, eccetera. Se fosse serio, si libererebbe di Padoan, licenzierebbe in tronco il Visco di Bankitalia (omessa sorveglianza come minimo), e prenderebbe come ministro alcuni degli economisti che pure esistono in Italia: Sapelli, Savona, Galloni.
O magari proprio Varoufakis.
MAURIZIO BLONDET
CHI E’ MAURIZIO BLONDET
Nasce a Milano il 22 febbraio del 1944. Giornalista dal 1970 per 37 anni, ora in pensione.
La sua vita professionale è legata a testate come Gente ed altri periodici di Rusconi editore, il Giornale, l’Avvenire e La Padania, sia come autore ma anche come inviato. Ha collaborato a Italia Settimanale, diretto da Marcello Veneziani (una testata ora defunta)
E’ stato inviato speciale de Il Giornale (di Montanelli) , in seguito di Avvenire – dove è stato inviato a coprire le guerre balcaniche ed altri teatri di conflitto.
Fin dagli anni ’90 ha cominciato ad indagare sui poteri oligarchici, finanziari e sovrannazionali, che agendo dietro le quinte della democrazia guidano la storia – e la politica presente, sia sul piano internazionale che interno. Per esempio, per la editrice ARES (collegata all’Opus Dei) ha contribuito al volume “Gli antenati insospettati della rivoluzione”, sulla “fabbricazione” artificiale del movimento della rivoluzione culturale (che ha mirato non tanto alla presa del potere, quanto alla sovversione dei costumi e della morale), e su come questa “fabbrica” (che ebbe sede nella facoltà di Sociologia dell’Università di Trento) ha dato nascita all’ideologia delle Brigate Rosse. Forse come effetto collaterale, forse no.
Altre indagini sulle trame dei poteri forti internazionali, allora intenti a sviluppare gli organi di un “governo mondiale” prossimo venturo (dal Fondo Monetario all’Organizzazione Mondiale del Commercio, alla stessa Unione Europea) le ha raccolte nei tre volumetti dal titolo “Complotti”.
L’11 settembre 2001, inviato da Avvenire a Manhattan a coprire il mega-attentato delle Twin Towers, non ha tardato a scoprire e denunciare gli indizi che smentivano la “versione ufficiale”. In Italia, è stato il primo ad uscire con un volumetto che smentiva tale versione: “11 Settembre, colpo di stato in Usa”. Dove appunto ha sostenuto, portando gli indizi raccolti a New York, che non si trattava di un attentato “islamico” (del resto Bin Laden era un agente americano contro i sovietici in Afghanistan), ma di un di colpo di stato di tipo nuovo, una presa del potere dellle istituzioni del governo americano: dove un nuovo centro di potere (i neoconservatori, estremisti filo-israeliani della lobby ebraica in Usa) avevano detronizzato l’oligarchia storica “ (il Council on Foreign Relations, Rockefeller eccetera) per lanciare la super-potenza americana nelle guerre e destabilizzazioni dei paesi del Medio Oriente troppo potenti per Israele. A cominciare dall’Irak, paese modernizzato e media potenza regionale, per poi proseguire con la destabilizzazione-frammentazione di Libia, Siria, Libano, Iran…
Il volume “Chi comanda in America” (Effedieffe) stila appunto la mappa di questo nuovo establishment, di cui lumeggia il carattere messianico, fanatico e irrazionalista. Un altro testo essenziale che illumina l’azione di questi poteri in Europa, fin dal ‘700, è “Cronache dell’Anticristo”.
Con l’11 Settembre il potere americano ha inaugurato un nuovo metodo di conquista mondiale: non più il Nuovo Ordine Mondiale ottenuto con l’interdipendenza economica e sostanzialmente quasi pacifico e consensuale, ma un “Impero del Caos” scatenato. Mentre lo scopo finale del primo progetto globalista era espandere “la democrazia di mercato”, questo nuovo potere ha la destabilizzazione come fine ultimo e sufficiente.
Quando ha spaccato un paese (come ad esempio la Libia) e l’ha ridotto a gruppi armati che si combattono l’un l’altro in nome di qualche Islamismo, ha raggiunto il suo scopo – come del resto ha affermato a chiare lettere George Friedman, il gestore del sito Stratfor. L’America non mira più a pacificare questi paesi per farne i suoi vassalli e suoi mercati, come ha fatto agli europei nel dopoguerra. Il fine nuovo, di stampo ebraico, è quello descritto nella Bibbi quando sarà instaurato il Regno d’Israele: “spargerò il terrore di te” sulle nazioni, abiterai “case che non tu hai costruito”, raccoglierai da “campi che non ha coltivato tu”. La sola concezione possibile di impero, per Israele, è il saccheggio e il terrore.
L’altra essenziale novità è ch la guerra dell’Impero del Caos è “totale” ed orwelliana (con riferimento al romanzo 1984 di Orwell): in pratica,la superpotenza usa come mezzo di guerra tutti i mezzi di illusione di cui dispone – i media, le tv, Hollywood, i video dello Stato Islamico eccetera – allo scopo di trascinare le opinioni pubbliche europee nelle sue guerre, terrorizzando le masse con “immagini”, diffondendo stati d’animo voluti e progettati a tavolino. L’illusionismo ipnotico si è intravisto l’11 Settembre, ma anche nell’eccidio di Charlie Hebdo….Bisogna essere consapevoli che questa parte della guerra totale è diretta contro di noi.
Siamo noi il nemico da soggiogare e terrorizzare con minacce immaginarie, o immaginariamente ingigantite, lo spettro colossale di un “nemico” misterioso, inafferrabile e imprecisabile, sterminatore, enigmatico.
Attualmente Maurizio Blondet svolge prevalentemente l’attività di conferenziere.
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