Riflessione sul
Vegetarianesimo (ma anche sulla Legge del Sacrificio e sul senso profondo
dell’esistenza)
Sollecitato più volte, provo a fare qualche
riflessione riguardo alla questione del Vegetarianesimo (e,
prendendo spunto da essa, anche su questioni un tantino più profonde,
come la Legge del Sacrificio che pervade ogni aspetto di questa
realtà) e persino sul
senso dell’esistenza dell’uomo in questo mondo.
Personalmente,
conosco molti vegetariani e questo non mi crea problemi, almeno nella
misura in cui tale atteggiamento non sfocia in un fanatismo sentimentali stico
e aggressivo. Del resto, si
può essere vegetariani per vari motivi. Anche i monaci
cristiano-ortodossi, mi dicono, lo sono (ma dietro tale scelta non c’è alcuna
motivazione “emotiva”, ma una ragione “tecnica”: certi cibi, la carne su tutti,
hanno effetti “sottili” che possono ostacolare un certo cammino di
contemplazione).
Trovo invece discutibile e un po’ stucchevole il
moralismo che punta l’indice contro “l’assassinio” degli animali e il fatto che
essi vengano “sacrificati” per il nostro piacere. Ecco: in questi casi, credo
che bisogna chiarire alcuni termini della questione.
Caro Vegetariano,
fermo
restando che non andrebbe mai inflitta una sofferenza immotivata a qualsivoglia
essere, qui secondo me ti sfugge un aspetto della Realtà in quanto
tale. Ci piaccia o meno, infatti, esistere
vuol dire già di per se immolare altri esseri al sacrificio.
La realtà stessa di questo mondo è dominata
dall’occulta Legge
del Sacrificio, che si traduce necessariamente in una forma di
“violenza” e nell’immancabile “sofferenza” che essa provoca.
Nascere vuol dire
infliggere sofferenza e dolore a nostra madre e immolare il suo sangue;
coltivare una pianta e poi estirparla dal terreno è già un atto di “violenza”;
camminare vuol dire calpestare e colpire la terra; consumare qualsiasi cosa
vuol dire, già di per se, sottrarla ad un altro essere.
Ogni
atto che compiamo in questo mondo proietta dietro di se un’ombra.
Chi mai ha pensato,
portando all’altare la propria moglie, che in quel momento, forse, sta
letteralmente “spezzando il cuore” (sta conducendo al sacrificio) altri uomini
che vorrebbero stare al proprio posto e che quella stessa donna desiderano e
forse amano esattamente come lui?
Ed elevandoci ad un
piano superiore: forse che il Cristo all’atto di andare in croce non è
cosciente di sacrificare, oltre che se stesso, anche le anime di coloro che
umanamente lo amano, quelle dei suoi discepoli sgomenti, dei suoi fedeli
scandalizzati, di sua madre piangente?
Questo
avviene necessariamente perché il mondo in cui viviamo –la dimensione temporale
dominata dal tempo, dalle nascite e dalle morti- NON è il Paradiso, ma tutt’al
più solo una sua ombra fugace. Nella dimensione edenica e paradisiaca,
gli esseri manifestano ed espandono la loro natura in tutte le sue modalità e
in armonia perfetta con gli altri esseri (essendo ogni essere nient’altro che
una manifestazione particolare dell’Uno), ma in questo mondo della “divisione”
e del polemos, del
divenire e del conflitto permanente, questo non può avvenire.
Le
immagini dell’orca che fa a pezzi un cucciolo di foca, del lupo che divora
l’agnellino indifeso, potranno anche apparire crudeli ai nostri occhi, ma
rispondono in realtà ad una spinta necessaria che ha lo scopo di innalzare gli
esseri per ricondurli al loro Principio.
“La creazione geme” scrive San Paolo,
perché ogni aspetto di questo mondo (o meglio, di questo piano della realtà)
implica combattimento e sacrificio; e tutti i sacrifici – letteralmente il
“diventare sacro” - hanno come scopo di riportare all’Uno ciò che qui appare
“sparso”.
Questo non deve
“scandalizzare” e non deve confondere.
Come i chicchi
dell’uva devono essere schiacciati e spremuti per dare vita ad un buon vino,
così è degli esseri che popolano il mondo.
Per l’uomo, che è Immagine divina, questo
può avvenire direttamente, conformandosi ad una Legge Sacra e così giungendo
alla salvezza e poi alla realizzazione spirituale; per gli altri esseri, al
contrario, esso avviene attraverso il passaggio ad altri stati dell’essere o
attraverso la partecipazione e la vicinanza all’uomo (credete forse che solo
“per caso”, molti animali ricerchino la vicinanza di uomini santi, come
dimostrano innumerevoli aneddoti riguardo alla vita di San Francesco,
Sant’Antonio o San Serafino di Sarov?).
Il
ruolo dell’uomo, da questo punto di vista, dovrebbe essere (purtroppo non
sempre lo è!) proprio quello di “riunire in se”, come Immagine di Dio, ogni
aspetto della creazione: diventare pontifex,
riportare il creato al suo Principio.
Non è forse questa,
tra l’altro, l’occulta ragione dei sacrifici di sangue che tutte le Tradizioni
antiche celebravano?
Ma per compiere
tale gesto – che è poi il Sacrificio Supremo - l’uomo dev’essere davvero
Immagine del Creatore e cioè santo.
“Tutta la creazione attende la
rivelazione dei figli di Dio” scrive sempre San
Paolo.
Un sapiente
sacerdote, mi disse una volta:
“all’atto della resurrezione del santo,
risorgono con lui anche gli esseri di cui si è nutrito”.
Cosa vi ispira
questa immagine? Vi fa cogliere un certo aspetto “sottile” della realtà,
indipendentemente dal fatto che la vogliate intendere in senso letterale o come
“metafora” o come simbolo?
Pertanto, caro
vegetariano e anche voi cari carnivori,
il vero nocciolo
della questione non sta tanto nel consumare bistecche o tofu, kebab o riso in
bianco. Come mi disse tempo fa un caro e sapiente fratello, la vera domanda da
porsi dovrebbe essere:
“tu che stai mangiando costolette d’agnello o
pane di segale: cosa stai facendo affinché questi sacrifici che compi
nutrendoti non siano vani? La
tua vita è abbastanza umana (e di riflesso santa e divina) da meritare questo
sacrificio?”.
http://www.gianlucamarletta.it/wordpress/2016/02/vegetarianesimo/
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