mercoledì 15 luglio 2015

l' Africa ci salverà?

Nova patria Christi Africa



Da una recente sintesi di Marco Tosatti [qui] apprendiamo più ampi stralci dell'intervista al Cardinale Robert Sarah pubblicata su L'Homme Nouveau/n.1588, che di seguito riportiamo per intero, traducendoli dall'originale [qui].
Ne avevamo dato un consuntivo più ridotto qui, dopo aver raccolto le prime notizie sul libro.

Giornalista e scrittore Nicolas Diat ha condotto interviste con il cardinale Robert Sarah, pubblicate sotto il titolo Dio o niente, intervista sulla fede. Per L'Homme Nouveau, Padre Claude Barthe e Philippe Maxence si sono intrattenuti informalmente col cardinale guineano dalla parola scintillante come la mattina della risurrezione.
Philippe Maxence, "Dio o niente", Eminenza, è il programma della santità.Vuole essere un santo?

Cardinale Robert Sarah: Sì, perché questa è la nostra prima vocazione: essere santi, perché il Signore nostro Dio è santo. Con Dio o nulla, vorrei giungere a mettere Dio al centro dei nostri pensieri, al centro del nostro agire, al centro della nostra vita, l'unico posto che Egli dovrebbe occupare. In modo che il nostro cammino di cristiani possa gravitare intorno a questa roccia e a questa ferma certezza della nostra fede. Con questo libro, voglio testimoniare la bontà di Dio, attraverso il racconto della mia esperienza. Dio è al primo posto nella nostra vita, perché Egli ci ama e che il modo migliore per farlo è amarLo il centuplo. Il mondo occidentale ha purtroppo dimenticato la centralità dell'amore divino. E necessario recuperare questa relazione con Dio. Per questo, la mia testimonianza è lì per invitare il mondo a non rifiutare Dio. Quando guardo la mia vita, vi vedo, infatti, il segno reale della predilezione divina. Vengo da una semplice famiglia africana e da un villaggio molto remoto dal centro della città. Chi avrebbe potuto dire quando sono nato tutto ciò che Dio avrebbe compiuto? Per diventare seminarista e sacerdote, sono andato dalla Guinea al Senegal passando per la Costa d'Avorio e la Francia. Successivamente, sono diventato vescovo di Conakry in condizioni difficili. Poi sono stato chiamato a Roma, nel cuore della Chiesa. Come tacere, dal momento che ogni fase della mia vita forma un chiarissimo segno dell'azione di Dio su di me?

don Claude Barthe: Quali sono i punti di forza e di debolezza del cattolicesimo africano?

RS: Lei ha ragione a parlare di punti di forza e di debolezza. La Chiesa in Africa è ancora giovane, e tutto ciò che è giovane e fragile. È quindi necessario aumentare il numero di cristiani, non solo in termini quantitativi, ma anche assimilando sempre meglio il Vangelo, aiutando i cristiani a vivere pienamente, senza esitazioni o compromessi, in teoria e in pratica, le esigenze della fede cristiana. I Papi hanno sempre spinto in quella direzione. Quando Paolo VI, nel 1969, designava l'Africa come una «nuova patria di Cristo - nova patria Christi Africa»​​, ha ricordato una realtà che non esclude la necessità per noi africani di accogliere sempre più profondamente il Vangelo. Quando si incontra il Vangelo e quando il Vangelo ci penetra, esso ci destabilizza, ci trasforma, ci cambia radicalmente e ci fornisce orientamenti e riferimenti morali nuovi. È per questo che chiedo davvero con tutto il cuore che Cristo viva in Africa perché l'Africa è oggi la sua nuova patria. Ma nello stesso tempo nella Chiesa africana c'è un vero e proprio dinamismo e penso che davvero essa sia chiamata ad avere un ruolo nella Chiesa universale. La Chiesa in Africa risponde profondamente al progetto di Dio. L'ha voluto fin dalle origini. Quando parlo delle origini, non mi riferisco solo a Sant'Agostino, ma penso anche al fatto che è un paese africano, l'Egitto, che ha accolto la Sacra Famiglia, che ha salvato Gesù. È sempre un africano, Simone di Cirene, che aiutò Cristo a portare la sua croce verso il Golgota. L'Africa è stata coinvolta nella storia della salvezza fin dall'inizio. E oggi, nel contesto di profonda crisi, che vede la fede stessa in discussione e valori respinti, credo fermamente che l'Africa possa apportare nella sua povertà, nella sua miseria, i suoi beni più preziosi : la fedeltà a Dio, al Vangelo, il suo impegno per la famiglia, per la vita, in un momento storico in cui l'Occidente dà l'impressione di voler imporre valori opposti.

Don CB: Ci sono molti sacerdoti in Africa. È preoccupato per la mancanza di formazione del clero, come troppo spesso accade in Francia?

RS: Abbiamo molte vocazioni, ma formazione ed esperienza non sufficientemente solide. Vedete, abbiamo spesso giovani sacerdoti che, dopo aver completato gli studi a Parigi o Roma, sono immediatamente chiamati ad insegnare nei seminari. Non ne hanno esperienza sufficiente né realmente consolidata dal tempo e da un rapporto personale con Gesù. Si trovano nella situazione di coloro che hanno delle conoscenze senza effettivamente assimilato sul campo. La nostra tragedia non è la mancanza di sacerdoti, ma la mancanza di sacerdoti  veramente configurati a Cristo e divenuti ipse Christus : Cristo stesso. In qualche modo, noi siamo troppi come sacerdoti. Oggi siamo più di 400.000 sacerdoti nel mondo. Già agli inizi del VII secolo san Gregorio Magno scriveva: «Il mondo è pieno di sacerdoti, ma raramente si incontra un operaio nella messe di Dio; noi accettiamo la funzione sacerdotale, ma non facciamo il lavoro corrispondente a questa funzione». Cos'è che ha rivoluzionato il mondo? Dodici Apostoli totalmente incorporati da Gesù, presi da Gesù. Ci manca questo tipo di sacerdoti. Certamente essi hanno studiato molti testi scientifici, ma si ritrovano incapaci di nutrire il popolo di Dio e portarlo verso la radicalità del Vangelo, perché essi stessi non hanno davvero visto o incontrato Cristo personalmente. Dovrebbero essere come Sant'Agostino. Malgrado le sue doti eccezionali di teologo, le sue parole scaturivano dal suo cuore e dall'esperienza. Questo è il profilo di sacerdoti che vorrei!

Don CB: Il modo in cui è stata fatta la riforma liturgica e lo spirito liturgico in cui di conseguenza si realizza la formazione dei sacerdoti che non li allontanano dal modello sacerdotale che lei propone?

RS: Constatiamo sempre più che l'uomo cerca di prendere il posto di Dio, che la liturgia diventa un semplice gioco umano. Se le celebrazioni eucaristiche si trasformano in luoghi di applicazione delle nostre ideologie pastorali e di opzioni politiche di parte che nulla hanno a che vedere con il culto spirituale per celebrare come voluto da Dio, il pericolo è immenso. Mi appare urgente mettere più attenzione e fervore nella formazione liturgica dei futuri sacerdoti. La loro vita interiore e la fecondità del loro ministero sacerdotale dipendono dalla qualità del loro rapporto con Dio nel faccia a faccia quotidiano che la liturgia ci dona di sperimentare.

Don CB: Nel suo libro racconta, a proposito di tale genere di scelte, l'episodio della rimozione del baldacchino della cattedrale di Conakry da parte del vescovo Tchidimbo.
RS: Sì, è stata una riforma liturgica alla francese! Volevamo migliorare la partecipazione del popolo di Dio nella liturgia, senza mettere in discussione forse abbastanza sul significato di questa «partecipazione». Che cosa significa «prendere parte alla liturgia?». Questo significa entrare pienamente nella preghiera di Cristo. Nulla a che vedere con il rumore, l'agitarsi e il fatto che ognuno rivesta un ruolo come in un teatro. Si tratta di entrare nella preghiera di Gesù, di immolarsi con lui, di essere in qualche modo transustanziati e diventare noi stessi, ostie viventi, sante e gradite a Dio. È esattamente ciò che intende S. Gregorio Nazianzeno, quando ha detto: «Noi parteciperemo alla Pasqua (...). Ebbene, quanto a noi, partecipiamo (...) in un modo perfetto. (...) Offriamo in sacrificio, non giovani tori o agnelli con corna e zoccoli (...). Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull'altare celeste in unione con i cori del Cielo. Ciò che sto per dire va oltre: è noi stessi che dobbiamo offrire in sacrificio a Dio; offriamogli ogni giorno tutta la nostra attività. Accettiamo tutto per Cristo; con le nostre sofferenze, imitiamo la sua passione; col nostro sangue, onoriamo il suo sangue; saliamo verso la Croce con fervore! ». Non si tratta di distribuirci ruoli o funzioni. A poco a poco, siamo chiamati ad entrare nel mistero dell'Eucaristia e celebrarlo come Gesù e come la Chiesa lo ha sempre celebrato. L'Eucaristia deve assimilarci a Cristo, farci diventare un unico essere con Cristo. Io stesso divento Cristo. Benedetto XVI è stato chiaro sul fatto che la chiesa non si costruisce a colpi di rotture, ma nella continuità. la Sacrosanctum Concilium, il testo conciliare sulla santa liturgia non sopprime il passato. Ad esempio, non ha mai chiesto di sopprimere il latino o la soppressione della Messa di San Pio V.

Don CB: Lei sottolinea la necessaria perennità dell'insegnamento morale della Chiesa, nonostante le pressioni delle correnti relativistiche. È l'intera del magistero. Come considerare, per il futuro, la funzione di questo Magistero?
RS: Bisogna assolutamente conservare fedelmente e accuratamente i dati essenziali della fede cristiana in una intelligenza che cerca di esplorarli in profondità e comprenderli in maniera attiva e sempre nuova. Ma dobbiamo mantenere intatto il deposito della fede e tenerlo al riparo da qualsiasi violazione e da qualsiasi alterazione. Se la Chiesa comincia a parlare come il mondo e ad adottare il linguaggio del mondo, dovrà accettar di cambiare il suo modo di giudizio morale, e, quindi, dovrà abbandonare la sua pretesa di voler illuminare e guidare le coscienze. Così facendo la Chiesa dovrà abbandonare la sua pretesa di essere luce di verità per i popoli. «Dovrà rinunciare a dire che ci sono beni che sono dei fini, che è nobile che l'uomo li persegua non soltanto come valore ma come obiettivo. Soprattutto, dovrà rinunciare a dire che ci sono atti che sono intrinsecamente malvagi di per sé e che nessuna circostanza li consente». Quindi penso che il Magistero deve stare fermo come una roccia. Infatti, se si crea un dubbio, se il magistero si situa nel tempo in cui viviamo, la Chiesa non ha più il diritto di insegnare. L'urgenza effettiva di oggi sta nella stabilità che deve avere l'insegnamento della Chiesa. Il Vangelo è lo stesso. Non cambia. Naturalmente c'è sempre bisogno di un lavoro di formulazione per raggiungere meglio le persone, ma non possiamo, con il pretesto che esse non ascoltano più, adattare la formulazione della dottrina di Cristo e della Chiesa alle circostanze, alla storia o alla sensibilità di ognuno. Se si crea un magistero instabile, si crea un dubbio permanente. C'è un lavoro enorme da fare a questo proposito: rendere comprensibile l'insegnamento della Chiesa, mantenendo intatta la dottrina di base. Ed è per questo che è inammissibile separare la pastorale dalla dottrina: una pastorale senza dottrina è una pastorale costruita sulla sabbia.

Don CB: Sembra che oggi nella Chiesa non ci un sia limite definito tra coloro che sono fuori e coloro che sono dentro. In Francia, per esempio, ci sono università cattoliche in cui sono esplicitamente insegnate eresie e rimangono « cattoliche ». Nell'ultimo Sinodo, alcuni hanno sostenuto la sua linea, ma altri hanno detto il contrario. Ora tutti sono dati come « cattolici ». Per il bene delle anime, non dovremmo tornare, non solo ad un insegnamento chiaro, ma anche all'affermazione esplicita che questo o quello non è cattolico? 

Penso sia grave lasciare che un sacerdote o un vescovo dica cose che minano o rovinano il deposito della fede, senza chiedergliene conto. Come minimo, Bisognerebbe interpellarlo e chiedergli di spiegare i motivi delle sue osservazioni, senza esitare a richiedere la riformulazione in modo coerente con la dottrina e l'insegnamento secolare della Chiesa. Non possiamo permettere che la gente dica o scriva qualunque cosa sulla dottrina, la morale; cosa che attualmente disorienta i cristiani e crea grande confusione su ciò che Cristo e la Chiesa ha sempre insegnato. La Chiesa non deve mai rinunciare al suo titolo di Mater et Magistra : il suo ruolo di madre e di educatrice del popolo. Come sacerdoti, vescovi o semplici laici, sbagliamo a non dire che qualcosa non va. La Chiesa non deve esitare a denunciare il peccato, il male e ogni cattiva condotta o perversione umana. La Chiesa assume, per conto di Dio, un'autorità paterna e materna. E questa autorità è un servizio umile per il bene dell'umanità. Oggi soffriamo un deficit di paternità. Se un padre di famiglia non dice nulla ai suoi figli sul loro comportamento, non agisce come un vero padre. Egli tradisce la sua ragione e la sua missione paterna. Il primo dovere di un vescovo, quindi, è quello di interpellare un prete, quando le su dichiarazioni non sono conformi alla dottrina. Questa è una responsabilità pesante. Quando Giovanni Battista ha detto ad Erode: «Tu non hai il diritto di prendere la moglie di tuo fratello» , ci ha rimesso la vita. Purtroppo, oggi l'autorità spesso tace per paura di passare come particolarmente intollerante o di capitolare. Come se mostrare la verità a qualcuno significasse volgersi agli intolleranti o fondamentalisti mentre si tratta di un atto di amore.

In Francia, il cattolicesimo istituzionale è in declino mentre la base - il cosiddetto «nuovo cattolicesimo» - è giovane e dinamico. Ma c'è un divario tra questo cattolicesimo di base e molti pastori. Non c'è un problema nella nomina dei vescovi? 

 Mi ponete una domanda difficile. Lasciamo che lo Spirito Santo ci lavori, trasformi e rinnovi. Fu lui infatti a rinnovare la faccia della terra. È lui che vivifica e santifica la Chiesa. Per quanto riguarda la seconda parte della domanda, vorrei semplicemente dare questa informazione. La lista dei nomi dei candidati all'episcopato di solito è offerta dalla Conferenza Episcopale Nazionale. La Conferenza Episcopale, consapevole delle sfide di oggi, dei problemi della Chiesa di Francia e della diocesi a provvedervi, suggerisce candidati degni e idonei. La nomina di un vescovo è una enorme responsabilità di fronte a Dio e alla Chiesa. I nomi dei candidati all'episcopato, in altre parole, la « terna » sono presentati al Nunzio Apostolico. Il Nunzio Apostolico, dopo aver ottenuto l'approvazione del dicastero competente, conduce indagini su ciascun candidato. Il nunzio e Roma danno totale fiducia alla coscienza, alla giustizia e all'onestà delle informazioni. Se tutto è fatto nel timore di Dio e per il bene della Chiesa, non c'è ragione che il contributo degli informatori non possa aiutare il Papa a scegliere buoni vescovi. Tutto dipende dalla chiesa locale. Ma vorrei anche sottolineare che a volte ottimi preti non sono fatti per essere vescovi. A volte un buon sacerdote, una volta vescovo divenga irriconoscibile, perché l'autorità, l'esercizio del potere lo hanno cambiato profondamente. Invece di essere un padre, un leader spirituale e un pastore, diventa un capo difficile e povero nei rapporti umani. 

Dieu ou rien, Entretien sur la foi, Fayard, 422 p., 21,90 €.

[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]

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