Nova patria Christi Africa
Da una recente sintesi di Marco Tosatti [qui] apprendiamo più ampi stralci dell'intervista al Cardinale
Robert Sarah pubblicata su L'Homme Nouveau/n.1588, che di seguito
riportiamo per intero, traducendoli dall'originale [qui].
Ne avevamo dato un consuntivo più ridotto qui, dopo aver raccolto le prime notizie sul libro.
Ne avevamo dato un consuntivo più ridotto qui, dopo aver raccolto le prime notizie sul libro.
Giornalista e scrittore Nicolas Diat ha condotto interviste con il
cardinale Robert Sarah, pubblicate sotto il titolo Dio o niente,
intervista sulla fede. Per L'Homme Nouveau, Padre Claude Barthe
e Philippe Maxence si sono intrattenuti informalmente col cardinale guineano
dalla parola scintillante come la mattina della risurrezione.
Philippe Maxence, "Dio o niente", Eminenza, è il
programma della santità.Vuole essere un santo?
Cardinale Robert Sarah: Sì, perché questa è la nostra prima
vocazione: essere santi, perché il Signore nostro Dio è santo. Con Dio
o nulla, vorrei giungere a mettere Dio al centro dei nostri pensieri, al
centro del nostro agire, al centro della nostra vita, l'unico posto che Egli
dovrebbe occupare. In modo che il nostro cammino di cristiani possa gravitare
intorno a questa roccia e a questa ferma certezza della nostra fede. Con questo
libro, voglio testimoniare la bontà di Dio, attraverso il racconto della mia
esperienza. Dio è al primo posto nella nostra vita, perché Egli ci ama e che il
modo migliore per farlo è amarLo il centuplo. Il mondo occidentale ha purtroppo
dimenticato la centralità dell'amore divino. E necessario recuperare questa
relazione con Dio. Per questo, la mia testimonianza è lì per invitare il mondo
a non rifiutare Dio. Quando guardo la mia vita, vi vedo, infatti, il segno
reale della predilezione divina. Vengo da una semplice famiglia africana e da
un villaggio molto remoto dal centro della città. Chi avrebbe potuto dire
quando sono nato tutto ciò che Dio avrebbe compiuto? Per diventare seminarista
e sacerdote, sono andato dalla Guinea al Senegal passando per la Costa d'Avorio
e la Francia. Successivamente, sono diventato vescovo di Conakry in condizioni
difficili. Poi sono stato chiamato a Roma, nel cuore della Chiesa. Come tacere,
dal momento che ogni fase della mia vita forma un chiarissimo segno dell'azione
di Dio su di me?
don Claude Barthe: Quali sono i punti di forza e di debolezza del
cattolicesimo africano?
RS: Lei ha ragione a parlare di punti di forza e di debolezza. La
Chiesa in Africa è ancora giovane, e tutto ciò che è giovane e fragile. È
quindi necessario aumentare il numero di cristiani, non solo in termini
quantitativi, ma anche assimilando sempre meglio il Vangelo, aiutando i
cristiani a vivere pienamente, senza esitazioni o compromessi, in teoria e in
pratica, le esigenze della fede cristiana. I Papi hanno sempre spinto in quella
direzione. Quando Paolo VI, nel 1969, designava l'Africa come una «nuova patria
di Cristo - nova patria Christi Africa»,
ha ricordato una realtà che non esclude la necessità per noi africani di
accogliere sempre più profondamente il Vangelo. Quando si incontra il Vangelo e
quando il Vangelo ci penetra, esso ci
destabilizza, ci trasforma, ci cambia radicalmente e ci fornisce orientamenti e
riferimenti morali nuovi. È per questo che chiedo davvero con tutto il cuore
che Cristo viva in Africa perché l'Africa è oggi la sua nuova patria. Ma nello
stesso tempo nella Chiesa africana c'è un vero e proprio dinamismo e penso che
davvero essa sia chiamata ad avere un ruolo nella Chiesa universale. La Chiesa
in Africa risponde profondamente al progetto di Dio. L'ha voluto fin dalle
origini. Quando parlo delle origini, non mi riferisco solo a Sant'Agostino, ma
penso anche al fatto che è un paese africano, l'Egitto, che ha accolto la Sacra
Famiglia, che ha salvato Gesù. È sempre un africano, Simone di Cirene, che
aiutò Cristo a portare la sua croce verso il Golgota. L'Africa è stata
coinvolta nella storia della salvezza fin dall'inizio. E oggi, nel contesto di
profonda crisi, che vede la fede stessa in discussione e valori respinti, credo
fermamente che l'Africa possa apportare nella sua povertà, nella sua miseria, i
suoi beni più preziosi : la fedeltà a Dio, al Vangelo, il suo impegno per la
famiglia, per la vita, in un momento storico in cui l'Occidente dà
l'impressione di voler imporre valori opposti.
Don CB: Ci sono molti sacerdoti in Africa. È preoccupato per la
mancanza di formazione del clero, come troppo spesso accade in Francia?
RS: Abbiamo molte vocazioni, ma formazione ed esperienza non
sufficientemente solide. Vedete, abbiamo spesso giovani sacerdoti che, dopo
aver completato gli studi a Parigi o Roma, sono immediatamente chiamati ad
insegnare nei seminari. Non ne hanno esperienza sufficiente né realmente
consolidata dal tempo e da un rapporto personale con Gesù. Si trovano nella
situazione di coloro che hanno delle conoscenze senza effettivamente assimilato
sul campo. La nostra tragedia non è la mancanza di sacerdoti, ma la mancanza di
sacerdoti veramente configurati a Cristo e divenuti ipse Christus :
Cristo stesso. In qualche modo, noi siamo troppi come sacerdoti. Oggi siamo più
di 400.000 sacerdoti nel mondo. Già agli inizi del VII secolo san Gregorio
Magno scriveva: «Il mondo è pieno di sacerdoti, ma raramente si incontra un
operaio nella messe di Dio; noi accettiamo la funzione sacerdotale, ma non
facciamo il lavoro corrispondente a questa funzione». Cos'è che ha
rivoluzionato il mondo? Dodici Apostoli totalmente incorporati da Gesù, presi
da Gesù. Ci manca questo tipo di sacerdoti. Certamente essi hanno studiato
molti testi scientifici, ma si ritrovano incapaci di nutrire il popolo di Dio e
portarlo verso la radicalità del Vangelo, perché essi stessi non hanno davvero
visto o incontrato Cristo personalmente. Dovrebbero essere come Sant'Agostino.
Malgrado le sue doti eccezionali di teologo, le sue parole scaturivano dal suo
cuore e dall'esperienza. Questo è il profilo di sacerdoti che vorrei!
Don CB: Il modo in cui è stata fatta la riforma liturgica e lo
spirito liturgico in cui di conseguenza si realizza la formazione dei sacerdoti
che non li allontanano dal modello sacerdotale che lei propone?
RS: Constatiamo sempre più che l'uomo cerca di prendere il posto
di Dio, che la liturgia diventa un semplice gioco umano. Se le celebrazioni
eucaristiche si trasformano in luoghi di applicazione delle nostre ideologie
pastorali e di opzioni politiche di parte che nulla hanno a che vedere con il
culto spirituale per celebrare come voluto da Dio, il pericolo è immenso. Mi
appare urgente mettere più attenzione e fervore nella formazione liturgica dei
futuri sacerdoti. La loro vita interiore e la fecondità del loro ministero
sacerdotale dipendono dalla qualità del loro rapporto con Dio nel faccia a
faccia quotidiano che la liturgia ci dona di sperimentare.
Don CB: Nel suo libro racconta, a proposito di tale genere di scelte, l'episodio della rimozione del baldacchino della cattedrale di Conakry da parte del vescovo Tchidimbo.
RS: Sì, è stata una riforma liturgica alla francese! Volevamo
migliorare la partecipazione del popolo di Dio nella liturgia, senza mettere in
discussione forse abbastanza sul significato di questa «partecipazione». Che
cosa significa «prendere parte alla liturgia?». Questo significa entrare
pienamente nella preghiera di Cristo. Nulla a che vedere con il rumore,
l'agitarsi e il fatto che ognuno rivesta un ruolo come in un teatro. Si tratta
di entrare nella preghiera di Gesù, di immolarsi con lui, di essere in qualche
modo transustanziati e diventare noi stessi, ostie viventi, sante e gradite a
Dio. È esattamente ciò che intende S. Gregorio Nazianzeno, quando ha detto: «Noi
parteciperemo alla Pasqua (...). Ebbene, quanto a noi, partecipiamo (...) in un
modo perfetto. (...) Offriamo in sacrificio, non giovani tori o agnelli con
corna e zoccoli (...). Offriamo a Dio un sacrificio di lode sull'altare celeste
in unione con i cori del Cielo. Ciò che sto per dire va oltre: è noi stessi che
dobbiamo offrire in sacrificio a Dio; offriamogli ogni giorno tutta la nostra
attività. Accettiamo tutto per Cristo; con le nostre sofferenze, imitiamo la
sua passione; col nostro sangue, onoriamo il suo sangue; saliamo verso la Croce
con fervore! ». Non si tratta di distribuirci ruoli o funzioni. A poco
a poco, siamo chiamati ad entrare nel mistero dell'Eucaristia e celebrarlo come
Gesù e come la Chiesa lo ha sempre celebrato. L'Eucaristia deve assimilarci a
Cristo, farci diventare un unico essere con Cristo. Io stesso divento Cristo.
Benedetto XVI è stato chiaro sul fatto che la chiesa non si costruisce a colpi
di rotture, ma nella continuità. la Sacrosanctum Concilium, il
testo conciliare sulla santa liturgia non sopprime il passato. Ad esempio, non
ha mai chiesto di sopprimere il latino o la soppressione della Messa di San Pio
V.
Don CB: Lei sottolinea la necessaria perennità dell'insegnamento morale della Chiesa, nonostante le pressioni delle correnti relativistiche. È l'intera del magistero. Come considerare, per il futuro, la funzione di questo Magistero?
RS: Bisogna assolutamente conservare fedelmente e accuratamente i
dati essenziali della fede cristiana in una intelligenza che cerca di
esplorarli in profondità e comprenderli in maniera attiva e sempre nuova. Ma
dobbiamo mantenere intatto il deposito della fede e tenerlo al riparo da
qualsiasi violazione e da qualsiasi alterazione. Se la Chiesa comincia a
parlare come il mondo e ad adottare il linguaggio del mondo, dovrà accettar di
cambiare il suo modo di giudizio morale, e, quindi, dovrà abbandonare la sua
pretesa di voler illuminare e guidare le coscienze. Così facendo la Chiesa
dovrà abbandonare la sua pretesa di essere luce di verità per i popoli. «Dovrà
rinunciare a dire che ci sono beni che sono dei fini, che è nobile che l'uomo
li persegua non soltanto come valore ma come obiettivo. Soprattutto, dovrà
rinunciare a dire che ci sono atti che sono intrinsecamente malvagi di per sé e
che nessuna circostanza li consente». Quindi penso che il Magistero deve stare
fermo come una roccia. Infatti, se si crea un dubbio, se il magistero si situa
nel tempo in cui viviamo, la Chiesa non ha più il diritto di insegnare.
L'urgenza effettiva di oggi sta nella stabilità che deve avere l'insegnamento
della Chiesa. Il Vangelo è lo stesso. Non cambia. Naturalmente c'è sempre
bisogno di un lavoro di formulazione per raggiungere meglio le persone, ma non
possiamo, con il pretesto che esse non ascoltano più, adattare la formulazione
della dottrina di Cristo e della Chiesa alle circostanze, alla storia o alla
sensibilità di ognuno. Se si crea un magistero instabile, si crea un dubbio
permanente. C'è un lavoro enorme da fare a questo proposito: rendere
comprensibile l'insegnamento della Chiesa, mantenendo intatta la dottrina di
base. Ed è per questo che è inammissibile separare la pastorale dalla dottrina:
una pastorale senza dottrina è una pastorale costruita sulla sabbia.
Don CB: Sembra che oggi nella Chiesa non ci un sia limite definito
tra coloro che sono fuori e coloro che sono dentro. In Francia, per esempio, ci
sono università cattoliche in cui sono esplicitamente insegnate eresie e
rimangono « cattoliche ». Nell'ultimo Sinodo, alcuni hanno sostenuto la sua
linea, ma altri hanno detto il contrario. Ora tutti sono dati come « cattolici
». Per il bene delle anime, non dovremmo tornare, non solo ad un insegnamento
chiaro, ma anche all'affermazione esplicita che questo o quello non è
cattolico?
Penso sia grave lasciare che un sacerdote o un vescovo dica cose
che minano o rovinano il deposito della fede, senza chiedergliene conto. Come
minimo, Bisognerebbe interpellarlo e chiedergli di spiegare i motivi delle sue
osservazioni, senza esitare a richiedere la riformulazione in modo coerente con
la dottrina e l'insegnamento secolare della Chiesa. Non possiamo permettere che
la gente dica o scriva qualunque cosa sulla dottrina, la morale; cosa che
attualmente disorienta i cristiani e crea grande confusione su ciò che Cristo e
la Chiesa ha sempre insegnato. La Chiesa non deve mai rinunciare al suo titolo
di Mater et Magistra : il suo ruolo di madre e di educatrice
del popolo. Come sacerdoti, vescovi o semplici laici, sbagliamo a non dire che
qualcosa non va. La Chiesa non deve esitare a denunciare il peccato, il male e
ogni cattiva condotta o perversione umana. La Chiesa assume, per conto di Dio,
un'autorità paterna e materna. E questa autorità è un servizio umile per il
bene dell'umanità. Oggi soffriamo un deficit di paternità. Se un padre di
famiglia non dice nulla ai suoi figli sul loro comportamento, non agisce come
un vero padre. Egli tradisce la sua ragione e la sua missione paterna. Il primo
dovere di un vescovo, quindi, è quello di interpellare un prete, quando le su
dichiarazioni non sono conformi alla dottrina. Questa è una responsabilità pesante.
Quando Giovanni Battista ha detto ad Erode: «Tu non hai il diritto di prendere
la moglie di tuo fratello» , ci ha rimesso la vita. Purtroppo, oggi l'autorità
spesso tace per paura di passare come particolarmente intollerante o di
capitolare. Come se mostrare la verità a qualcuno significasse volgersi agli
intolleranti o fondamentalisti mentre si tratta di un atto di amore.
In Francia, il cattolicesimo istituzionale è in declino mentre la
base - il cosiddetto «nuovo cattolicesimo» - è giovane e dinamico. Ma c'è un
divario tra questo cattolicesimo di base e molti pastori. Non c'è un problema
nella nomina dei vescovi?
Mi ponete una domanda difficile. Lasciamo che lo Spirito
Santo ci lavori, trasformi e rinnovi. Fu lui infatti a rinnovare la faccia della
terra. È lui che vivifica e santifica la Chiesa. Per quanto riguarda la seconda
parte della domanda, vorrei semplicemente dare questa informazione. La lista
dei nomi dei candidati all'episcopato di solito è offerta dalla Conferenza
Episcopale Nazionale. La Conferenza Episcopale, consapevole delle sfide di
oggi, dei problemi della Chiesa di Francia e della diocesi a provvedervi,
suggerisce candidati degni e idonei. La nomina di un vescovo è una enorme
responsabilità di fronte a Dio e alla Chiesa. I nomi dei candidati
all'episcopato, in altre parole, la « terna » sono presentati al Nunzio
Apostolico. Il Nunzio Apostolico, dopo aver ottenuto l'approvazione del
dicastero competente, conduce indagini su ciascun candidato. Il nunzio e Roma
danno totale fiducia alla coscienza, alla giustizia e all'onestà delle
informazioni. Se tutto è fatto nel timore di Dio e per il bene della Chiesa,
non c'è ragione che il contributo degli informatori non possa aiutare il Papa a
scegliere buoni vescovi. Tutto dipende dalla chiesa locale. Ma vorrei anche
sottolineare che a volte ottimi preti non sono fatti per essere vescovi. A
volte un buon sacerdote, una volta vescovo divenga irriconoscibile, perché
l'autorità, l'esercizio del potere lo hanno cambiato profondamente. Invece di essere
un padre, un leader spirituale e un pastore, diventa un capo difficile e povero
nei rapporti umani.
Dieu ou rien, Entretien sur la foi, Fayard, 422 p., 21,90 €.
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
[Traduzione a cura di Chiesa e post-concilio]
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