giovedì 20 marzo 2014

politicamente corretto

La dittatura del politically correct




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di Costanza Miriano    IL TIMONE gennaio 2014
Ultimamente mi trovo, sempre più spesso, quando parlo in pubblico, a chiedere: “state registrando?” E tenete presente che io sono una delle persone al mondo meno preoccupate della formalità, cosa che mi ha procurato memorabili figuracce nel corso della vita (da cui a volte mi salvaguardano solo le occhiatacce di mio marito).
Una volta rassicurata del fatto che quello che dirò non potrà essere usato contro di me, parlo liberamente, e lo faccio anche in contesti magari lontani dal nostro modo di pensare, perché non è certo la paura di essere impopolare a muovere la mia cautela, ma l’aspetto giuridico, la sensazione di vivere in uno stato di psicopolizia. Fino a qualche tempo fa pensavo di essere esagerata, mi avrà un po’ deformata il fatto di essere figlia di un magistrato, pensavo. In fondo, mi dicevo, la legge Scalfarotto non è ancora passata, e il reato di opinione non c’è, no?
Poi è successo che il mio primo libro è stato pubblicato in Spagna, con il titolo di Casate y sé sumisa, e ben tre partiti in Parlamento  hanno fatto un’interpellanza per farlo ritirare dal mercato, una raccolta di firme contro di me ha avuto un fiume di adesioni, al ritmo di diecimila al giorno,  mentre una commissione del Consiglio comunale di Granada ha chiesto alla Fiscalia, cioè alla Procura, di intervenire, per chiedere il ritiro del libro dal mercato e il pagamento di una forte multa alla casa editrice. Motivo: incitamento alla violenza sulle donne. Punto in cui inciterei al reato: il titolo! Specificatamente la parola “sottomessa”. Nessuno degli accusatori pareva, almeno inizialmente, averlo letto, e, mi dispiace per loro, quando lo faranno resteranno delusi: in nessuna parola, né virgola del libro ovviamente troveranno né l’incitamento alla violenza, né l’incoraggiamento a sopportarla supinamente. Pare che quella incriminata sia l’espressione “l’uomo deve incarnare l’autorevolezza, la guida, la donna abbandonare la logica dell’emancipazione e abbracciare quella del servizio”, parole che hanno incredibilmente innervosito alcune femministe spagnole.
Adesso non vorrei farla tanto lunga, ne ho parlato già abbastanza e poi finché non scorre il sangue atteggiarsi a martiri è un po’ esagerato, ma il punto non è questo, e non è neanche la mia storia, per quanto sicuramente particolare (è la prima volta, mi dicono, nella storia della Spagna democratica, che si parla di censurare un libro in Parlamento).
Il punto vero è che c’è un chiarissimo progetto per imporre una visione dell’uomo (e della donna) diversa e in certi aspetti contraria a quella del cristianesimo, e siccome questa visione è falsa, e dunque non si mostra da sola in tutta la sua verità, bisogna farla prevalere con la forza. Facendo leggi che stabiliscano che è un reato pensarla diversamente. Censurando libri. Propagando ideologie anche attraverso agenzie governative come l’Organizzazione Mondiale della Sanità, e dando disposizioni agli Stati perché si attivino per diffonderle, per esempio attraverso la scuola pubblica.
Ma la cosa è ancora più complicata di così. Anche a prescindere dagli argomenti su cui si legifera, c’è tutta una serie di opinioni che ormai sembrano assurte a credo indiscutibili.
Prova a dire durante una cena che sì, ti dispiace molto se degli animali vengano uccisi con la scarica elettrica per farne delle pellicce, ma che trovi molto più angosciante che i bambini vengano triturati nel grembo della mamma, e questa venga considerata una conquista, mentre i maltrattamenti dell’ermellino nano (esiste?) una barbarie. Vedrai che gelo tra i commensali.
Prova a dire che sì, sicuramente il cibo biologico è una bella cosa, ma che più degli Ogm ti preoccupa la manipolazione degli embrioni. Prova a dire che certo, la differenziata è importante, ma che trovi molto più urgente che trovino sepoltura i bambini abortiti, attualmente trattati quasi ovunque come rifiuti ospedalieri. Se lo dici tra amici penseranno “solo” che tu sia una squilibrata, se mai riuscissi a dirlo davanti a una platea più ampia, da un pulpito più autorevole, si scatenerebbe un putiferio.
Io credo che l’uomo privato di Dio abbia comunque bisogno di religiosità, e debba per questo costruirsene una, per quanto fittizia, irragionevole, irreale. È come se avvertisse in qualche modo confuso che non è bene per l’uomo essere privo di riferimenti superiori, e allora se ne crea alcuni, assolutizzando i propri pensieri, elevandoli alla dignità di fede. Chi ha Dio non è che non si preoccupi della sorte degli ermellini, ma non li ritiene una causa prioritaria, non fino a che smetteranno di esserci esseri umani che fanno una fine anche peggiore. Ci sono alcune parole d’ordine di questa stramba religione fabbricata dagli uomini sulle quali dialogare è difficilissimo, e io mi chiedo anche se sia utile.
Come dice un caro amico sacerdote, di fronte a una casa disordinata ci sono due modi per far capire al padrone di casa che sta sbagliando. O lo si rimprovera, lo si critica, si protesta, oppure lo si porta a vedere quanto sia bello vivere in una casa ordinata.
Noi cristiani dobbiamo essere più convincenti degli altri, e possiamo esserlo solo se più convinti, noi per primi. Se la nostra casa è bellissima, pulita, ci si respira una buona aria e ci si vive allegri, ha senso arrabbiarsi perché la casa degli altri è brutta, sporca, maleodorante e triste? Non dovremmo piuttosto essere dispiaciuti per loro? Magari farli entrare da noi? Oppure, se proprio siamo persone speciali, potremmo offrire il nostro aiuto all’amico che ha la casa in quello stato, dirgli come si fa a vivere in un altro modo. Solo noi possiamo tradire la Chiesa, non dobbiamo avere paura dei nemici esterni. La vera evangelizzazione avviene per inseguimento. È quando si è così invidiabilmente luminosi che la gente ti viene dietro.
Noi cattolici dovremmo trovare nuove vie per contestare i dogmi del politicamente corretto, nuovi modi per difendere i nostri figli dalle informazioni strampalate che ricevono a scuola. Per esempio potremmo insegnar loro a fare le pernacchie (raccomandandoci che le facciano fuori dall’orario di lezione). È più facile combattere lancia in resta, ergere un muro contro il muro degli altri. È molto più faticoso far spuntare i fiori da quel muro, da quella terra ormai secca e inaridita. I figli se in casa hanno respirato quell’aria buona di cui dicevamo prima, sapranno bene da soli da che parte stare, soprattutto se vedranno che in casa i suoi genitori, che gli hanno sempre parlato di Dio, si divertono – fondamentale – mentre gli altri che presumono di poter fare da soli sono tristi e falliti. Il peccato non è un dispetto che si fa a Dio, ma è mancare il bersaglio, fallire, cercare la vita dove non è.

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