Usa, la rivoluzione asessuata:
rendere tutti “femmine”
La strage americana, si sa, è maschia. Newtown, Aurora, il Virginia Tech, Columbine e tutti gli altri massacri che ciclicamente gettano nello sconforto il paese sono opera di uomini, e la connotazione sessuale dello stragista è una delle poche costanti in una fenomenologia dell’impazzimento armato che comprende infinite sfumature. C’è la depressione, l’isolamento, il bullismo, ci sono i traumi infantili e il disagio familiare, la vendetta e l’odio, le leggi della strada e il bullismo sui social, ma il fattore che ricorre è la mascolinità dell’aggressore.
La regista-attivista Jennifer Siebel Newsom è certa che non sia affatto un caso, e gli ambienti liberal limitrofi a quelli del parafemminismo da cui Siebel Newsom proviene annuiscono profondamente di fronte alle conclusioni del suo ultimo documentario, “The Mask You Live In”, in cui lega esplicitamente gli episodi di violenza che insanguinano l’America a una cultura maschile fatalmente stimolata da insegnanti e genitori prevaricatori e cultori dell’aggressività, maschilisti travestiti che usando in modo perverso l’arte della maieutica traggono dai ragazzi il peggio del loro patrimonio genetico. Ogni volta che un adulto dice “sii un uomo!” a un ragazzo inconsciamente addestra un potenziale aggressore, forse addirittura uno stragista. “Sei una femminuccia” è la frase che segnala l’irreversibilità del processo di prevaricazione, grilletto mentale che scatena la bestia incontrollata che c’è dentro ogni maschio. Insomma, per la regista essere maschi è una specie di malattia autoimmune, una patologia che va trattata prima che si manifesti nella sua forma acuta, dando origine a sintomi incontrollabili. La soluzione di Siebel Newsom è un inchino all’indifferenza sessuale, grande mito sotteso a ogni invocazione di uguaglianza di genere: femminizzazione. Nel processo educativo occorre scoraggiare i tratti maschili – che portano solo aggressività, istinto, bullismo, dominazione, violenza, comportamenti antisociali – e far emergere la femmina repressa, che albergherebbe pure nel cuore del maschio se non fosse sopraffatta dalla succitata bestia. Il tutto è sostenuto da una fiumana di studi socio-pedagogici presentati da luminari in camice che tendono a dire che qualcosa, nel maschio in tenera età, tende istintivamente ad andare per il verso storto, dunque occorre raddrizzare il prima possibile con il metodo dell’assimilazione del diverso, tendenza androgina. In fondo la mascolinità, dice la regista, è soltanto una maschera. Buttarla, ovvero trovare l’identità sessuale indistinta, è la vera liberazione.
Il valore del documentario nel descrivere l’evoluzione della questione sessuale in America è pressoché inestimabile. Dalla richiesta di parità di diritti civili e considerazione sociale si è passati all’idea, instillata in decenni di gender studies, del genere come ostacolo in sé, limite per la piena realizzazione o addirittura portatore sano di patologie distruttive. La femminista anomala Christine Hoff Sommers già nel 2000 parlava di una “war against boys”, osservando che i modelli educativi più diffusi tendevano a scoraggiare comportamenti e tratti maschili quanto prima. C’è una differenza di genere da seppellire per compiere la rivoluzione asessuata.
Mattia Ferraresi
Fonte: Il Foglio
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