Il tormentone clericale e piagnucoloso delle “giornate per le vocazioni”
Spesso si crede di poter risolvere la crisi delle vocazioni con lo show-business o la “tratta delle religiose”. A nessuno viene in mente che forse le “vocazioni” non le abbiamo più perché siamo diventati indegni di ottenerle, esercitarle e beneficiarne. E perché, in definitiva, sono un dono. Di Dio. Non una “strategia di mercato” vincente.
di Antonio Margheriti Mastino
Periodicamente arriva il tormentone delle “giornate per le vocazioni”, che il più delle volte si riducono a un libero blaterare tra sociologismi straccioni, psicologismi da parata, moralismo piagnone; il tutto poi degenerando in sgangherate “strategie” di mercato, peggio, in merchandising vocazionale.
In genere ne sono infastidito. Perché l’offerta di generica e indeterminata “spiritualità”, quella, a un livello persino più professionale, la puoi trovare ovunque; e quel che attualmente passa il convento, certo non basta per vincolarvi una intera vita.
Non a caso, è con queste premesse qui, tutte di mercato, che si è arrivati alla catastrofe (emblematico il caso della suora extracomunitaria rimasta incinta, “senza saperlo”) della siddetta “tratta delle religiose” dai paesi terzomondisti, con una raccolta indifferenziata e un travaso di personalità – prima ancora che vocazioni – quantomeno traballanti. Tanto traballanti che l’intero edificio delle Famiglie Religiose, come era stato con ampio anticipo previsto, sembra esserne scosso, e comincia a scricchiolare pericolosamente: il vado di Pandora prima o poi doveva scoperchiarsi.
Ma del resto è la Bibbia stessa che ci ammonisce a non costruire case sulla sabbia, ma sulla roccia. La roccia della solida formazione, della vocazione autentica a fondo vagliata, in uno stato non di minorità ma di pieno dominio di sé, e capacità di intendere e volere del candidato. Intromettersi in un rapporto delicatissimo che riguarda solo Dio e il vocato, forzare le cose per far “numero”, è un delitto contro Dio e contro la coscienza. Delitto per il quale Dio più prima che poi manderà (e sta mandando) un conto salatissimo, da saldare. E ciò che doveva essere una trasfusione di sangue fresco in vecchie e lasse Famiglie Religiose, ormai anemiche, prossime alla morte per consunzione, diventa una fatale iniezione di sangue infetto che porterà più che a vivificare l’organismo a un rigetto e alla definitiva crisi stessa delle Famiglie Religiose. Che tanto avevano puntato su una soluzione “facile”. Ciò che è facile è sempre diabolico.
Ma non è ancora questo che mi scandalizza.
Mi scandalizza e mi fanno ridere le campagne per raccattare con mezzi dubbi “vocazioni” che necessariamente, intercettate con simili mezzi, non posso che essere equivoche e basate sull’equivoco. Mi suscitano pena questi rituali piagnistei clericali sulla crisi di vocazioni e sui seminari vuoti, tutto questo allarmismo per tentare con vuote parole di tappare qualche buco. Come se un seminario, un ordine possano essere “salvati” da qualche estremo rimedio di fortuna; come se una vocazione rimediata alla meno peggio, per disperazione, possa fare la differenza. Mentre così facendo si fa danno piuttosto che bene, perché è un messaggio subliminale che si invia, e che recita: siamo alla frutta, lo spettacolo è alla fine, l’ingresso è aperto anche a quelli senza biglietto. Sovente a cani e porci. Non è la prima volta che succede così: succede così ininterrottamente da anni. Con i risultati (e gli scandali quotidiani) che abbiamo sotto gli occhi tutti. Come, dicevamo, la monaca che è entrata da sorella in ospedale e ne è uscita madre, con pargolo appresso che non era un orfano ma il figlio che “non so com’è che è successo”.
Questo dico, perché le vocazioni autentiche sono un’altra cosa. Anzitutto sono un mistero: la loro sovrabbondanza come la loro scarsità. Poi sono un dono di Dio, che cala dall’alto, concesso gratuitamente come incoraggiamento o come premio al popolo fedele. Ed è qua il nodo gordiano: c’è poco da fare sociologismo e psicologismo, convegni e show business, perché è uno scaricare sulle forme il valore che dovrebbero avere i fatti e la natura profonda delle cose.
La scarsità o addirittura l’assenza di vocazioni in un determinato tempo e luogo, non è innanzitutto crisi strutturale; è crisi di fede. Scompaiono intorno a noi le vocazioni religiose e sacerdotali perché siamo diventati indegni di esercitarle e di beneficiarne. Perché non ce le meritiamo più. E allora Il Cielo, dinanzi al nostro diuturno sacrilegio verso ogni sacramento, sacrilegio dei consacrati in primis, smette di far piovere grazia sulla nostra aridità che s’è fatta deserto morale. Non è un caso che la crisi delle vocazioni colpisce proprio l’Occidente.
E poiché avete seminato vento, ecco, ora raccoglierete tempesta. Sta scritto
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