Quanto un due di briscola: Gualtiero Bassetti. Il vescovo che non doveva diventare cardinale
Chi è quel vescovo che pur non avendo diritto alla porpora l’ha ottenuta al posto di coloro a cui spettava? Un ritratto lieve, scritto da un suo ex ministrante
Ora che la sua nomina è annunciata, l’arcivescovo si definisce con sconcerto «un povero due di briscola», manifesta la propria inadeguatezza a fronte di una chiamata che avverte essere più grande di sé. Mi ricorda la formula del nolo episcopari, l’espressione di umiltà che rivela l’uomo degno. «Non so se si possa vincere una partita con il due di briscola o se questo possa rivelarsi una carta utile», continua Bassetti. Al momento della notizia si è quasi sentito venir meno ma poi…
di Alessandro Lastra
Avevo sentito la voce, giorni fa, secondo cui l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve, Mons. Gualtiero Bassetti, sarebbe stato creato cardinale nel primo concistoro di Papa Francesco. Pur non prestandovi fede, ammetto di averci sperato. Per più di dieci anni, dopo un primo incarico episcopale a Massa Marittima-Piombino, Bassetti è stato vescovo di Arezzo-Cortona-Sansepolcro, la mia diocesi e, seppur nessuno ci abbia mai presentati, posso affermare di conoscerlo.
Tutt’altro che “un povero due di briscola”
«Ringrazio il Santo Padre ma, per pietà, fermiamoci qui» ha detto Bassetti il giorno dell’Epifania, ricordando l’incarico ricevuto nella Congregazione per i vescovi e respingendo con ironia quelle voci che poi si sono concretizzate. Ora che la sua nomina è annunciata, l’arcivescovo si definisce con sconcerto «un povero due di briscola», manifesta la propria inadeguatezza a fronte di una chiamata che avverte essere più grande di sé. Mi ricorda la formula delnolo episcopari, l’espressione di umiltà che rivela l’uomo degno. «Non so se si possa vincere una partita con il due di briscola o se questo possa rivelarsi una carta utile», continua Bassetti. Al momento della notizia si è quasi sentito venir meno ma poi, riferisce commuovendosi, ha avuto davanti agli occhi un’immagine rassicurante, cara alla chiesa aretina che tanto a lungo ha servito: la Madonna del Conforto.
Di questa icona mariana e della sua storia ho parlato in un mio precedente articolo su questo sito (vedi QUI). Mi preme sottolineare il profondo valore affettivo della comunità di Arezzo per questa Madonnina di terracotta che, secondo la leggenda, in una notte sul finire del XVIII secolo, per prodigio cambiò colore e scampò Arezzo da un violento terremoto. Mons. Bassetti la rammenta come la figura più familiare, al punto da essersene portato una copia alla sua nuova sede, Perugia.
Un uomo al posto giusto
E proprio in tempo per la festa della Madonna del Conforto (il 15 febbraio), nell’ormai lontano 1999 Mons. Bassetti fece il suo ingresso nella mia diocesi. Allora io ero un bambino di appena otto anni e avevo iniziato da poco a servire messa. Non conservo il ricordo di altri vescovi prima di lui, né avevo idea di cosa significasse di per sé questa figura. Quando servii la prima messa di Bassetti nella concattedrale di Sansepolcro, l’impressione che ebbi di lui mi servì a qualificare chi e cosa dovesse fare un vescovo. Mentre celebrava, appariva distante e serio, quasi corrucciato, per poi accendersi e parlare col cuore in mano all’omelia. Non capivo però cosa lo differenziasse da un comune sacerdote e, prima che potessi chiederlo (da timido che ero e che sono, non lo avrei fatto comunque), fu proprio lui a spiegarmelo, molto semplicemente: «il vescovo è successore degli apostoli, pastore tra i pastori».
Nei dieci anni in cui ha svolto il suo ministero episcopale nella mia diocesi, assieme a molti ho appurato che fosse esattamente quello che Mons. Bassetti era portato a fare. Quando penso a lui, mi viene in mente uno che ha accolto la chiamata del Signore e si trova al proprio posto.
In una diocesi territorialmente estesa com’è la mia, in cui si ritrovano a convivere realtà multiformi e spesso in contrasto fra loro, lui ha saputo penetrare tante barriere, toccando il cuore dei fedeli.
Per quanto mi riguarda, Bassetti è riuscito a farmi comprendere l’importanza e il valore di una Chiesa unita, su ciò che conta. Tanto per fare un esempio, in occasione della Madonna del Conforto ogni anno si teneva ad Arezzo un grande raduno di tutti i giovani della diocesi. All’ultimo a cui assistetti, rammento che il vescovo fece una lunga e appassionata catechesi sulla parabola del granello di senapa. In quel momento vidi in me la piccolezza di quel seme e, in tutti noi che là eravamo riuniti, l’enormità di ciò che siamo chiamati a formare.
E proprio nel rapporto coi giovani che Bassetti investe molte delle sue energie, tanto che, quando stava ad Arezzo, più volte fu chiamato “il vescovo dei giovani”. Ma non nel senso retorico e demagogico con cui l’intendono altri suoi pari, no: nel senso di consapevolezza di avere a che fare con i futuri uomini, da formare come tali. Come uomini cristiani, cattolici per la precisione.
Come pietre
Nel settembre 2005 ricevetti da lui il sacramento della Confermazione. Poco dopo averci segnati con il crisma, donò a ciascuno di noi un mattone di pietra. Consegnandolo nelle mie mani, mi disse sorridente: «Questa è pietra viva. Non tirarla a nessuno!». Sul mattone c’era una targhetta con la scritta: Voi siete le pietre vive di Cristo, un passaggio della Prima lettera di Pietro, rimando alla pienezza dei tempi, quando tutti diverremo realmentepietre vive per la costruzione di un edificio spirituale […] per offrire sacrifici spirituali graditi a Dio, per mezzo di Gesù Cristo.
Passato il traguardo della Cresima, continuai un cammino di fede insieme ad altri giovani della mia età. Il nostro gruppo prese il nome da un’ispirata omelia di Mons. Bassetti, il quale ci esortava a diventare «gli Angeli della Speranza» per chi viveva insieme a noi. Quella speranza che non ho mai abbandonato mi ha permesso di volare alto e di non cedere alle allettanti restrizioni che il mondo mi proponeva.
All’età di sedici anni, presi parte ad un pellegrinaggio per le terre della mia diocesi, organizzato dalla Pastorale giovanile. Passando per La Verna vi incontrammo il vescovo, che interruppe il pranzo per venirci a salutare, non perdendo l’occasione di fare battute sulla sua mole importante. Lo ritrovammo giorni dopo ad Arezzo, mèta del nostro cammino, e gli ultimi chilometri volle percorrerli assieme a noi. Tenevamo un diario di viaggio, su cui ciascuno di noi annotava i suoi pensieri. Ricordo che chiedemmo a Mons. Bassetti di scriverci due parole e, poiché non c’era un tavolo, m’ingiunse di voltarmi e usò la mia schiena come leggio.
«Siate la luce di speranza che accende il mondo!» ci esortò, alla fine di quell’esperienza che con tanto affetto porto ancora dentro di me.
Una storia inattesa
Nel 2009 infine, la notizia. Si vociferava da un po’ che, da Arezzo, Bassetti sarebbe stato promosso e trasferito all’arcidiocesi di Firenze; partirono le consuete quanto inutili raccolte di firme degli affezionati aretini. Ma il verdetto finale giunse imprevisto: non più Firenze, bensì la più piccola diocesi di Perugia-Città della Pieve.
La sua missione in terra aretina, cortonese e biturgense s’era dunque conclusa quando, lo stesso anno, iniziai a frequentare l’università a Firenze. Mi sorprese piacevolmente il fatto che, dirimpetto all’appartamento che condividevo con due amici, vivesse la cugina di Mons. Bassetti. Una signora anziana, rimasta vedova per ben due volte, che non usciva mai di casa poiché malferma sulle gambe. Le rare volte in cui ci arrischiavamo a suonarle alla porta per chiedere se avesse bisogno di qualcosa, ella ci accoglieva in casa con grande gentilezza. Quando, terminato il primo anno di studi, lasciammo l’appartamento per le vacanze estive, facemmo per salutarla e lei ci fece accomodare, intrattenendoci a lungo con un racconto sull’infanzia del cugino.
Se non ricordo male, la storia era più o meno questa.
Probabilmente a Marradi, sull’Appennino tra Toscana e Romagna, località di nascita di Bassetti, era appena arrivato il nuovo parroco. Questi, celebrata con scarso entusiasmo la sua prima messa in una chiesetta accessibile al termine d’uno sgangherato sentiero di montagna, all’uscita si trovò davanti il giovane Gualtiero.
«Non avete suonato le campane, stamani» gli disse il ragazzo.
Il prete, dapprima scoraggiato poiché alla funzione non era venuto quasi nessuno, a queste parole si rinfrancò e, il giorno dopo, al mattino si sentirono rintoccare le campane della piccola chiesa e molta gente si presentò per la messa.
Ascoltando questa storia, riconobbi nelle parole di quel ragazzo di montagna la mitezza e la semplicità proprie di Bassetti.
E ora la porpora
All’indomani dalla felice notizia, tra i tanti imprevisti che caratterizzano non tanto il pontificato di Papa Francesco quanto l’epoca in cui ci troviamo a vivere, al nuovo cardinale di Santa Romana Chiesa Mons. Gualtiero Bassetti vanno i miei più vivi rallegramenti, il mio affetto e, per quello che valgono, le mie preghiere.
Avendolo conosciuto all’opera, confido che il Sacro Collegio abbia guadagnato alle sue fila un elemento di valore e, forse, proprio quello di cui aveva bisogno: una carta forte che si crede un due di briscola.
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