Chiusura dei conventi domenicani.
È lo spirito del Concilio?
"C'era anche un Concilio dei media: il
mondo ( ndr e la chiesa) ha percepito il Concilio tramite i media, non i
padri.
Queste banalizzazioni dell'idea del Concilio - ha
detto il Papa - sono state virulente nella prassi dell'applicazione della
riforma liturgica, che era nata nella visione del Concilio fuori dalla
chiave della fede. Il libro sacro era da trattare storicamente.
Sappiamo che questo Concilio dei media, accessibile
a tutti, ha creato tante calamità, tanti problemi tante miserie, seminari
chiusi conventi chiusi, liturgia banalizzata ..." Benedetto XVI 14
feb. 2013
La sua fortuna è
divenuta forse anche la sua maggiore disgrazia: sin dal 1302 il convento di San
Domenico Maggiore, a Napoli, ha rappresentato un importante centro di
diffusione del tomismo. Del resto, proprio qui san Tommaso d’Aquino, allora
19enne, vestì l’abito dell’Ordine dei Predicatori; qui, più tardi, nel 1259,
scrisse una buona parte della Summa contra Gentiles;
qui, nel 1272, fondò uno Studio Generale (l’equivalente di un’odierna facoltà
teologica) e compose la terza parte della Summa Theologiae;
qui restò sino ai primi di febbraio del 1274, quando lasciò questa comunità
domenicana per partecipare al Concilio di Lione: non vi fece più ritorno,
poiché morì durante il viaggio.
Ma il suo spirito ed il suo
pensiero continuano ad aleggiare ancora oggi nel convento, esercitando la loro
benefica influenza. Evidente
dunque l’importanza di tale presenza, addirittura strategica, tenendo conto di
quanto lo stesso Concilio Vaticano II abbia raccomandato di avere «san Tommaso per maestro» (Optatam totius, n.
16) e di seguire in modo speciale le sue «orme» (Gravissimum educationis, n. 10). Lo stesso Codice di
Diritto Canonico raccomanda l’istruzione dei chierici, «seguendo soprattutto la dottrina di San Tommaso» (can.
252, par. 3).
Ebbene, questo convento, dove
san Tommaso si formò, visse ed operò, verrà chiuso ed abbandonato: a deciderlo, è stato proprio il
Capitolo provinciale del suo Ordine, quello domenicano. Tra lo sconcerto di
molti religiosi e di numerosi fedeli. San Domenico Maggiore rappresenta una
delle principali chiese di Napoli: sorge in pieno centro, dal Duecento; qui
riposano i resti mortali di regnanti, alta nobiltà, uomini d’armi, politici,
religiosi ed artisti; custodisce opere di Tiziano, Caravaggio ed altri
eminentissime firme; fu ed è il cuore della Provincia Regni utriusque Siciliae, che nei secoli abbracciò
tutta l’Italia meridionale e la Sicilia; recentemente ha ospitato la Facoltà
Teologica, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose ed una ricca biblioteca;
ha editato una rivista internazionale di filosofia e teologia, dal titolo
“Sapienza”, nonché un’altra pastorale, “Temi di Predicazione”; solo 23 anni fa
vi è stato inaugurato l’Istituto Filosofico S.Tommaso d’Aquino. Ed ora, con 900
anni di storia, cultura, arte, formazione sulle spalle, c’è chi è pronto ad
assumersi la responsabilità di mettervi la parola fine. Incredibile!
Un episodio grave, purtroppo
però non il solo. Più
o meno nelle stesse settimane, un altro Capitolo provinciale domenicano ha
deciso la chiusura di un altro convento plurisecolare, quello di San Marco, a
Firenze, affidato ai Padri Predicatori dal 1436. Da sempre fulcro di vita
ascetica, è stato cenacolo di artisti, intellettuali e politici: ha ospitato il
co-patrono di Firenze, sant’Antonino, Massimo il Greco (santo per gli
ortodossi), diversi Beati, Savonarola, Cosimo de’ Medici, Poliziano, Pico della
Mirandola, san Filippo Neri, Niccolò Tommaseo, alti ecclesiastici, e poi
Giorgio La Pira ed il regista e scenografo Franco Zeffirelli. Custodisce le
straordinarie opere del Beato Angelico. Ha accolto una prestigiosa biblioteca,
la prima dell’età moderna aperta al pubblico, ed un’antica Farmacia di
prestigio europeo.
Ma a tutto questo, ora, si
vogliono mettere catenaccio e sigilli. Senza che ne siano chiari i motivi,
specie perché da poco conclusisi i lunghi e costosi lavori di riadattamento
degli spazi. Il
Consiglio provinciale ha lamentato l’impossibilità di mantenere in Firenze il
“lusso” di due comunità domenicane (questa e quella di S. Maria Novella), pur
continuando a gestire entrambe dal punto di vista liturgico e culturale,
attuando una sorta di “pendolarismo” religioso in contrasto con le Costituzioni
dell’Ordine, che parlano espressamente di «fratres ibique habitualiter
degentes» (n. 260, par. I). Scarsità di “manodopera”, si afferma. In
realtà, altre comunità – come i due conventi della Provincia a Roma, pure
vicini, pure in difficoltà, pure con pochi frati, quindi sostanzialmente in
condizioni analoghe a San Marco – vengono viceversa mantenute in vita e restano
aperte, senza che – giustamente ‒ alcuno osi metterle in discussione.
Per giustificare
l’ingiustificabile, il “burocratese” ed il “sindacalese” fanno la propria
irruzione nel campo dello spirituale: così anche i Padri Predicatori, nelle interviste
rilasciate alla stampa fiorentina, son ricorsi a termini quali «riorganizzazione» e «razionalizzazione delle risorse»,
degne più di un’azienda che di un convento. Gli stessi Padri, che da una parte
promuovono le beatificazioni di mons. Del Corona e di La Pira, ritenendoli
figli spirituali di San Marco, ma dall’altra chiudono la struttura che li ha
accolti. Un inspiegabile paradosso, oltre tutto a due anni dal Giubileo
dell’Ordine Domenicano, che avrà luogo nel 2016, occasione più per un rilancio
che per una cura dimagrante…
Per questo oggi fedeli e non,
assolutamente smarriti di fronte a tali scelte dei Superiori, calate dall’alto, si sono fatti
promotori di una raccolta-firme, con cui chiedono al Maestro Generale di
annullare la chiusura del convento di San Marco, decisa dal Capitolo
provinciale in modo giuridicamente legittimo, benché spiritualmente e
culturalmente letale. Il Maestro Generale, che peraltro presto si recherà in
visita alle tre Province italiane dei Predicatori (quindi, anche a quella in
questione) è l’unica autorità dell’Ordine, dotata del potere e dell’autorità
necessari per una decisione di questo tipo. Per questo, una richiesta analoga
giunge anche – e per gli stessi motivi ‒ dai fedeli della chiesa partenopea di
San Domenico Maggiore.
Vicende tristi, queste, vicende
che, concludendo, spingono a due ordini di conclusioni. La prima: i Domenicani furono tra i
primi non solo a respirare a pieni polmoni, ma addirittura a far maggiormente
circolare il cosiddetto soffio dello «spirito del Concilio»
(pensiamo, ad esempio, al ruolo svolto da molti esponenti di spicco di tale
Ordine nell’ambito della cosiddetta “nouvelle théologie”).
Visti i frutti – emorragia di vocazioni, seminari svuotati ed ora anche
conventi chiusi – v’è da chiedersi, se, anziché di un soffio, non si sia
trattato di un’insopportabile alitosi.
La seconda considerazione: preso atto di come il
cattoprogressismo non paghi, anziché limitarsi a chiudere conventi ed azzerare
comunità, non sarebbe meglio, avviare piuttosto una seria riflessione sulle
cause che hanno condotto in cinquant’anni al disastro di oggi, cercando
di porvi rimedio nell’unico modo possibile, ovvero tornando alle radici del
carisma, al Fondatore ed alla Tradizione? (Mauro Faverzani)
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