LA MESSA "DI SEMPRE"
A NAPOLI
davanti al corpo
di sant' Andrea Avellino
figlio e vanto della Basilicata
La Missa. Intervista ad un parroco
di Catto Maior
Chiacchierando
con un amico giovane sacerdote, siamo arrivati ben presto a parlare della messa
in latino, di cui anche il sottoscritto è grandissimo ammiratore (tanto che,
soprattutto in certi periodi dell'anno, assiste più al rito di Pio V che a
quello post-conciliare). Per
offrire a tutti un saggio delle bellezze sovrannaturali di questo rito troppo
spesso bistrattato, propongo una breve intervista a questo venerabile Padre,
dalla quale tutti noi possiamo trarre importanti insegnamenti e, magari,
accrescere la nostra curiosità verso questa speciale celebrazione.
Quando e
come ha conosciuto la Missa?
Certamente
nella testimonianza di mio padre. Mio padre è cresciuto in un orfanotrofio e fa
parte di quelli che, dopo anni di messa quotidiana obbligatoria, ha trascorso
anni senza più neppure la messa domenicale. Un giorno però mi parlò della
Comunione, di come la faceva lui: era una cosa santa, disse. Mi chiesi più
volte in che senso ora non lo fosse, o non abbastanza. La domanda rimase
aperta.
Verso il terzo
anno di seminario mi capitò occasionalmente di sentire parlare della Missa su
qualche sito cattolico conservatore (fino ad allora non avevo vera
consapevolezza del fatto che esistessero siti cattolici, né che fossero
divisibili in orientamenti di scuola), diceva cose ragionevoli e meritevoli di
ascolto. Cose mai sentite prima d’allora.
Poi
finalmente, a pochi mesi dall’accolitato, un seminarista più giovane mi propose
di partecipare a una Missa. Accettai subito. Avevo una fifa matta e una
vergogna zozza, quasi che stessimo per entrare in un night club.
Cosa l’ha
colpita principalmente quando ha assistito per la prima volta alla celebrazione
di sempre?
Feci due
considerazioni. Anzitutto avvertivo quel rito come un rito bello e stimolante,
seppur impegnativo, lungo e faticoso. Faticoso perché mi aveva costretto a
pregare, a inginocchiarmi, a confessarmi più e più volte, a battermi, a
guardare la croce. Veniva meno l’ambaradan della messa abituale, addio allo
sguardo ammaliante del prete, nessun andirivieni interattivo tra assemblea e
presbiterio. Il tutto metteva impietosamente a nudo la mia fede. Sì, insomma,
la prima volta fu un trauma, un misto di paura e venerazione: credo di aver
capito lì propriamente, sulla mia pelle, cosa intendesse Kant quando parlava
del “Sublime matematico”.
La seconda
impressione mi assalì all’uscita: la Missa è qualcosa di tremendo ed
eccezionale, potente e ricchissimo, nulla di brutto né stupido né indifferente …
perché mai allora i miei formatori e pastori l’avevano sempre irrisa e me
l’avevano tenuta nascosta fino a quel momento?
Potrebbe
sintetizzare in poche parole qual è la forza coinvolgente e unica della Missa?
No, ci
vorrebbe un poeta, ma uno di quelli grandi e veri. Ci vorrebbe un Dante o poco
meno. Poi è significativo che, per quanto ne so, i grandi poeti cattolici non
scrivessero sulla Missa. La vivevano. E poi scrivevano cose eccelse su tutto il
resto.
Qual è la
sua preghiera preferita della Missa?
L’ultima tra
le apologie segrete: Placeat
tibi, sancta Trinitas, obsequium servitutis meae: et praesta; ut sacrificium,
quod oculis tuae maiestatis indignus obtuli, tibi sit acceptabile, mihique et
omnibus, pro quibus illud obtuli, sit, te miserante, propitiabile. Per Christum
Dominum nostrum. Amen. Mi ricorda il valore propiziatorio del sacrificio,
cosa che non mi è stata insegnata in seminario e che sento come una deplorevole
lacuna nella mia coscienza sacerdotale. E poi è un meraviglioso atto di umiltà:
potrei anche aver appena concluso la più pia, devota, solenne e curata delle
celebrazioni, ma devo pur sempre riconoscere che ciò che ho fatto non vale
nulla, se non in quanto è Dio stesso a volerlo in qualche modo accettare nella
sua Misericordia.
E adesso
lasciami spezzare una lancia di sintonia con il mio venerato Papa, Francesco:
in quel miserante finale sento tutto l’irradiare del
franceschiano miserando, sì che la pastorale realmente si sprigioni dal
culto di obbedienza a Dio.
Come ha
imparato a celebrare la Missa?
Sono andato in
ricerca di un prete che sapesse celebrarla, amasse celebrarla e volesse
insegnarla. Il resto si apprende dai video su Internet. Tutti poi mi
consigliano il video dei lefebvriani: nella celebrazione sono i migliori, né
inutilmente pomposi, né svelti, né troppo rigidi. Incredibile come gente tanto
discussa sia così fine nel più fine dei settori. Quasi quasi verrebbe da
ricredersi su certi pregiudizi, almeno su certi …
Ha
incontrato grandi difficoltà all’interno del clero e ha dovuto operare quasi –
ahinoi – clandestinamente?
Quando indosso
il cingolo, la stola sotto la casula, o quando uso la palla per coprire il
calice e non per appoggiarci le oblate. Non parliamo di talare, pianete,
latino, gregoriano, o della turpe parola: rubrica.
No, davvero,
pressoché nessuno dei miei conoscenti sa che celebro in rito antico. Non mi
considero nemmeno un clandestino, ma un apolide: attendo il ritorno del Padrone
della Vigna. A volte mi stupisco della fede tenace del popolo, visto il
pressapochismo liturgico del clero di mia conoscenza. Scusatemi per questa
considerazione villana: consideratelo uno sfogo imprudente, o la mia tentazione
periodica.
Ha
occasione di celebrare di frequente secondo questo rito?
In alcuni
momenti simbolici durante l’anno. Aggiungi due o tre messe lette al mese.
Comunque è una celebrazione che chiede tanto tempo: i molti lavori, le giuste e
debite messe parrocchiali per il popolo e la necessità di operare nel segreto
rendono difficile una frequenza maggiore.
È riuscito
a comunicare questa sensibilità verso l’antico rito anche ad altri sacerdoti?
Quasi per
nulla. E ho sempre il timore di imbattermi in qualche talpa. Di recente poi,
tra i FFI, la penalizzazione di Burke e altri casi locali di mia conoscenza mi
pare che più uno si esponga più rischi di saltare: di ruolo o di nervi. Il
paradigma ormai è Nagasaki: nascosti per secoli nelle foreste. Il lavoro di
propaganda dovete farlo voi laici. Preziosissimo è l’aiuto di quei laici che
riescono a mettere in contatto tra loro sacerdoti tradizionali di provata
fedeltà e prudenza.
Ritiene che
la Missa possa essere uno strumento efficacie
di rinascita – spirituale e teologica – per la Chiesa attuale?
Sì,
sicurissimo, anche se con l’oblio di Benedetto XVI ho il timore stia diventando
piuttosto il mezzo sondaggistico delle curie per compilare con facilità le loro
nuove liste di proscrizione.
Sovente si
sente etichettare la missa come un qualcosa di superato, limitato
unicamente a ristretti gruppi di nostalgici sovversivi. Tuttavia già la sua
giovine età e il numero crescente di giovani sacerdoti e di giovani fedeli che
si avvicinano a questa forma di celebrazione sembrerebbero indicare ben altro.
Ritiene che la Missa sia
in grado di catturare anche i più giovani e di sostenerli nel non allontanarsi
dalla Fede?
Ritengo che la
Missa ti metta impietosamente davanti a Cristo e all’Eterno: è il momento
migliore per scegliere con lucidità. Poi avremo solo un altro momento più
diafano e più tragico: il momento della nostra morte. Visto l’imprevedibilità
del secondo, ho preferito portarmi avanti sul primo.
“Superato” e
“limitato” sono etichette superficiali, concernono il materiale. Già a livello
psichico divengono confuse. L’uomo spirituale le usa con la stessa parsimonia
con cui un capofamiglia saggio mette mano al bastone.
Ciò detto, i
giovani, quando non siano irrimediabilmente soggiogati al peccato, si sentono
attratti dalle cose profonde e serie. La morte, Cristo e lo spirito sono cose
profonde e serie. Così profonde e serie da riuscire a spezzare talvolta anche i
gioghi più compatti.
http://www.campariedemaistre.com/2014/01/la-missa-intervista-ad-un-parroco.html
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