mercoledì 11 dicembre 2013

Più Messa meno Messe ????????

LA CONCELEBRAZIONE


Riflessione teologica di P. ENRICO ZOFFOLI

§ 6 - La concelebrazione generalizzata fa risparmiare del tempo ai concelebranti, li lascia più liberi e disponibili per altre mansioni, esige un solo altare e comporta una notevole diminuzione dei paramenti e arredi sacri; ma, insieme, induce a ridurre facilmente il numero delle Messe con immenso danno dei fedeli.

Questi infatti, specialmente in una grande città, compongono un pubblico altamente differenziato per età, sesso, condizioni familiari, tipo di lavoro, abitudini, stato di salute, ecc.; per cui possono partecipare alla Messa solo in differenti momenti della giornata. Il Codice di diritto canonico l'ha previsto stabilendo che «la celebrazione e la distribuzione dell'Eucaristia può essere compiuta in qualsiasi giorno e ora...» (CIC 931). Lo stesso Concilio autorizza la concelebra­zione purché «l'utilità dei fedeli, non richieda che tutti i sacerdoti presenti celebrino singolarmente» (SC 57). Ma purtroppo anche in questo il Vaticano II è stato tradito.

«La ricerca della facilità pratica», è stato scritto, «molte volte nella vita dell'umanità ed anche della Chiesa, ha fatto sì che i valori essenziali e i principi fondamentali siano velati o alterati. Questo succede molte volte anche a proposito del santo Sacrificio della Messa. Questa ricerca della facilità nelle comunità, nelle parrocchie e nelle sacrestie si è trasformata molte volte in dottrina sacramentale. Questa diffusione della concelebrazione è una novità assoluta nella storia della Chiesa, avendo come risultato la diminuzione massiccia degli atti sacrificali eucaristici».

Ma la tentazione di dedicarsi meno alla causa di Dio e delle anime, e darsi di più a tutto il resto, va prevalendo ... Da tutte le parti si levano angosciose voci di protesta perché i sacerdoti, memori della propria identità, non si lascino travolgere dalla corrente di un «secolarismo» che va sfociando nel più insensato ateismo pratico.

C'è da augurarsi che ciò non si verifichi. Ma il problema della concelebrazione resta non risolto in molte diocesi d'Italia, dove moltissimi lamentano le «troppe Messe soppresse», osservando che, per andare incontro ai fedeli, basterebbe evitare le concelebrazioni ...

«Se la fede aumenta», si scrive, «diminuiscono le Messe». «Mentre i dati di fatto con il 96 per cento di richieste dell'ora di religione a scuola dimostrano una notevole sensibilità popolare verso i valori della fede cattolica, dall'altra sembra di assistere ad un impoverimento della voglia di darli: si chiudono chiese, si interpretano restrittivamente disposizioni liturgiche (...). In cambio ci alluvionano con dibattiti e conferenze per i quali si trova pur tempo e disponibilità».

Non basta: «Per sapere se c'è Messa, ci vuole un medium ... ». «C'è troppa incertezza sulle Messe domenicali». È grave il malessere abbastanza diffuso tra i fedeli per la facilità con cui sono sospese consuete Messe festive serali ... ». «Siamo preoccupati per il ripetersi di atteggiamenti che sembrano volere vuotare d'impor­tanza, nella religiosità dei fedeli, quella che è la base della liturgia cattolica...». «Messe soppresse a Natale!... Poi parlano di poca fede!». «Non si generi in seguito, col riprodursi di tali situazioni - come sempre più spesso sta succedendo - una diseducazione verso l'importanza della celebrazione eucaristica...».



A Roma, dove le comunità religiose maschili sono particolarmente numerose, l'inconveniente di concelebrazioni di venti, trenta e più sacerdoti, a cui risponde la soppressione di altrettante Messe individuali, che potrebbero celebrarsi nelle rispettive chiese e altrove, è vivamente avvertito e biasimato dal popolo. Talvolta si ha l'impressione - purtroppo fondata - che sia appunto il popolo a doversi adattare agli orari delle comunità, e non queste alle esigenze del popolo. Il quale sente molto più il bisogno di Messe e di Confessori che di certi raduni, dibattiti, pubblicazioni, corsi di aggiornamento... Ovunque si verifica che alla riduzione delle Messe-Sacramento risponde una moltiplicazione delle Messe nere.

§ 7 - L'errore di credere che le Messe si moltiplicano secondo il numero dei celebranti ha indotto molti sacerdoti a commettere la grave scorrettezza di soddisfare molte intenzioni di Messe celebrandone soltanto una.

Ciò accade quando un fedele chiede che si celebrino nel medesimo giorno per es. venti Messe per un certo motivo, e il superiore della chiesa (chiunque egli sia) dispone che a tal fine venti sacerdoti concelebrino. Allora infatti si verifica che non già venti, ma soltanto una è la Messa celebrata, contro la volontà del committente, che resta defraudato, con grave discredito del Clero. Il fedele infatti - dopo la promessa del sacerdote - ha diritto a venti Messe celebrate distintamente, esigendo cioè che per venti volte, all'altare, egli preghi secondo le sue intenzioni.

§ 8 - La concelebrazione sistematicamente generalizzata rappresenta una grave involuzione nella storia del culto eucaristico, contro la lettera e lo spirito del Vaticano II.
Per comprendere tutta la portata dell'affermazione, è necessario fare un passo indietro e ricostruire la storia del culto in questione.

Stando agli storici della liturgia, non stupisce che la consapevolezza del valore e della necessità del Sacrificio Eucaristico si sia venuta facendo sempre più viva nel corso dei secoli, come risulta dal bisogno di ripeterne sempre più frequen­temente la celebrazione. Vi contribuì il culto dei Martiri, la santificazione di certi giorni festivi, le Messe celebrate a Roma nelle diverse «stazioni», il desiderio di suffragare i defunti, al quale alcuni (senza però dimostrarlo) fanno risalire l'origine delle «messe private».

La frequenza della celebrazione eucaristica varia secondo le chiese. In Africa sembra che molto presto si sia conosciuta la Messa quotidiana, come informano S. Cipriano, S. Agostino, S. Ambrogio; mentre a Costantinopoli e altrove in generale, nel V secolo, si celebrava ancora soltanto il sabato e la domenica. Alla tradizione dell'unica Messa succedette il costume di celebrarne due, e anche più se necessario, nei casi in cui la chiesa non poteva contenere tutto il popolo, specialmente nei giorni di festa. Al riguardo, Dioscoro, vescovo di Alessandria, si consultò con S. Leone Magno, che l'incoraggiò a seguire la nuova prassi.

Questa poi si andò sempre più affermando col propagarsi del monachesimo. Nel secolo VI-VII, infatti, fa la prima comparsa la «Messa privata» celebrata dai religiosi senza l'assistenza dei fedeli; ciò che si verificò soprattutto quando i monaci, divenuti missionari, dovettero ricevere gli ordini sacri. Decisivo al riguardo il pontificato di S. Gregorio Magno. Perciò, aumentando il numero dei monaci presbiteri, si moltiplicò anche quello delle Messe celebrate nei mona­steri; per cui si arrivò a distinguere la «Messa privata» da quella «conventuale».

Altre cause, in seguito, contribuirono alla moltiplicazione delle Messe, avvertendosi sempre più vivamente che il Sacrificio Eucaristico è la suprema fonte della grazia, l'unico-essenziale mezzo di salvezza. Si istituirono così le Messe votive, si ebbe la «fondazione» di Messe con Confraternite di sacerdoti; si giunse a celebrare anche più volte al giorno. Gregorio di Tours, in un villaggio presso Soissons, un giorno celebrò tre Messe su tre differenti altari per purgarsi dall'accusa di aver offeso gravemente Tredegonda, moglie di Childeberto I. Papa Leone III celebrava fino a sette e anche nove Messe... Quando poi ciò non accadeva, non era raro il caso che si «binasse» e «trinasse», come talvolta ordinavano vescovi e sinodi particolari...

Ora, contro quanto qualcuno ha scritto o vorrebbe insinuare, la ragione profonda di tale prassi non era tanto la «devozione privata», quanto la ferma convinzione dell'intrinseco valore salvifico della Messa e dei benefici derivanti dalla sua celebrazione alle anime e alla Chiesa: la santificazione personale si conciliava perfettamente con la finalità pastorale ed ecclesiale.



Non potevano mancare gli abusi; ma la Gerarchia intervenne per correg­gerli, anche se non sempre con successo. Col passare del tempo tuttavia i risultati positivi premiarono gli sforzi dei più zelanti, finché, nel periodo aureo della Scolastica, si raggiunse l'equilibrio per merito della riflessione teologica condotta sull'essenza e il valore del Sacrificio Eucaristico. Dopo Pietro Lom­bardo, si distinse soprattutto S. Tommaso...

Purtroppo, dal secolo XIV-V in poi, con la decadenza della Scolastica, succedette una crescente rarefazione delle Messe, che riflette le tremende crisi subite dalla Chiesa in tutto il periodo rinascimentale. Enorme - anche se lenta e inavvertita - la nefasta influenza della riforma protestante persino nel mondo cattolico a proposito della Messa, ritenuta non soltanto superflua, ma addirittura «abominevole»: essa offende la dignità e nega l'efficacia salvifica del Sacri­ficio della Croce. Sulla scia delle sètte gnostico-manichee e panteistiche del Medioevo, G. Wyclif (1320- 1384) aveva già respinto la Messa come non istituita da Cristo, secondo il Vangelo: l'errore era stato condannato il 4 maggio 1415 dal Concilio di Costanza (D-S 1155). Lutero arrivò a supporre che, eliminata la Messa, il Papato (e quindi la Chiesa gerarchica) sarebbe crollata.

All'inizio del Seicento molti preti celebravano solo raramente in quasi tutti i paesi d'Europa. Ma, alla fine del secolo, ci fu una ripresa, favorita dal Concilio di Trento; la quale però restò limitata per l'influenza del giansenismo: soddisfatti i doveri d'ordine pastorale, si giunse a sconsigliare la celebrazione quotidiana, e la medesima sorte toccò alla «Comunione eucaristica».

Alla fine, attraverso le tempeste dei secoli XVIII-XIX, la logica della Riforma di Trento - sostenuta dall'opera di grandi Santi e dei rispettivi Ordini religiosi, antichi, nuovi e riformati - portò al rinnovamento eucaristico; il quale, tra l'Ottocento e il Novecento, ebbe le sue prime esplosioni nel Congresso eucaristico del 1881 e nei documenti di S. Pio X sulla Comunione dei bambini e la celebrazione frequente ed anzi quotidiana della Messa.

A proposito della Messa, la spinta decisiva del grande Concilio contro l'eresia luterana era stata preceduta, fin dall'alto Medioevo, dalla celebrazione delle tre Messe di Natale; e seguita dal privilegio di quelle del 2 novembre concesso nel 1740 da Benedetto XIV alla Spagna e al Portogallo; poi, nel 1897, esteso da Leone XIII ai paesi dell'America Latina; e infine, da Benedetto XV a tutta la Chiesa nel 1915.

Dall'inizio del '900 al Vaticano II la Chiesa non ha cessato di esaltare il valore della Messa individuale e promuoverne la ripetizione più numerosa possibile. La documentazione che al riguardo si potrebbe offrire eccede i limiti di un rapido ragguaglio. Basteranno alcuni accenni.
Quando nel 1933 si celebrò il Giubileo della Redenzione, in una lettera del 10 gennaio Pio XI scrisse al vescovo di Lourdes, mons. Gerlier, rallegrandosi che per tre giorni e tre notti sarebbero state celebrate nella Grotta delle Apparizioni delle Messe «continuamente e senza interruzioni». I festeggiamenti centenari non avrebbero potuto avere un coronamento più degno.

Il vescovo, a sua volta, commentando il documento pontificio, osserva: «L'ininterrotta celebrazione di queste 140 Messe, che da giovedì 25 aprile alle ore 16 alla domenica 28 aprile alla medesima ora saranno offerte sull'altare della Grotta da vescovi e sacerdoti che rappresentano tutte le nazioni del mondo - serie luminosa nella quale, ogni giorno, alle tre del pomeriggio, una Messa pontificale richiamerà in modo particolare l'ora della morte del Salvatore Gesù sulla croce - (...) Lourdes in un momento solenne diventerà, come non si e mai visto, il centro della preghiera del mondo».

A questo «triduo di Messe» partecipò anche il card. Schuster che ottenne dal Papa l'autorizzazione di celebrare senza interruzione il Sacrificio eucaristico in 72 dei principali santuari mariani della sua diocesi. I vescovi cileni ne seguirono l'esempio celebrando un eguale numero di Messe in un santuario dedicato a Maria presso Santiago.

Nell'enciclica Fidei donum del 21 aprile 1957, Pio XII chiese, tra l'altro, che per le necessità delle missioni si moltiplicassero le Messe: «Ma la forza più eccellente di preghiera non è forse quella che Cristo, Sommo Sacerdote, rivolge Egli stesso al Padre sugli altari su cui rinnova il suo sacrificio redentore? In questi anni, che sono forse decisivi per l'avvenire del cattolicesimo in molti paesi, mo1tip1ichiamo le Messe celebrate secondo l'intenzione delle Missioni (...). Queste prospettive più alte saranno d'altronde meglio comprese se si tien presente allo spirito, secondo l'insegnamento della Nostra Enciclica Mediator Dei, che OGNI MESSA CELEBRATA è essenzialmente un'azione della Chiesa».

Il card. Journet, commentando la lettera pontificia giustamente scriveva: «Se in ogni Messa Cristo compie l'opera della Redenzione, si vede bene la necessità di moltiplicare le Messe in questa epoca cruciale in cui interi continenti come l'Africa si destano alle condizioni della vita moderna e sono poste nell'alternativa di scegliere pro o contro Cristo».

In occasione del 40° anniversario delle apparizioni di Fatima e della consacrazione episcopale di Pio XII, il 13 maggio del '57, nel santuario mariano fu celebrato «un rosario di Messe» (=150) secondo le intenzioni del Papa.

Il medesimo Pontefice, col Motu proprio Norunt profecto del 27 ottobre 1940, aveva richiamato il valore della Messa e raccomandato di celebrare per la pace del mondo; e, dopo la guerra, nel '52, per il medesimo fine, si continuò a celebrarla ogni giorno a Roma, in S. Pietro.

In Francia, nel 1953, succedeva che, in occasione di raduni, alcuni sacerdoti omettevano di celebrare la loro Messa per assistere a quella di un confratello e ricevere da lui la Comunione. Ma, un'assemblea di cardinali e vescovi francesi, pur apprezzando la loro buona intenzione di compiere un gesto volto a dimostrare ai fedeli la loro unione nel partecipare alla medesima Messa comunitaria, non mancò di rilevarne gli inconvenienti, tra cui quello di diminuire la giusta stima del valore delle Messe private. Infatti, era necessario confermare nel popolo la fede nel valore infinito del Sacrificio Eucaristico e piuttosto moltiplicare il numero delle Messe che ridurlo volontariamente. Pratica del tutto riprovevole se fondata sulla falsa idea che l'omissione di una Messa ha poca importanza, e che un gesto collettivo di unità è meglio della celebrazione di più Messe private.

In conclusione: riflettendo che il rinnovamento eucaristico inaugurato verso la fine dell'800 e sostenuto poi con crescente zelo a tutti i livelli della Chiesa e soprattutto dalle direttive della S. Sede; tenuto conto della Mediator Dei di Pio XII a cui seguirono il decreto del Concilio sul ministero e la vita dei sacerdoti e la solenne enciclica Mysterium fidei di Paolo VI, che raccomandava a tutti i sacerdoti la celebrazione quotidiana della Messa privata...; bisogna concludere che la sistematica generalizzazione della «Messa concelebrata» con la conseguente macroscopica riduzione delle «Messe private» è c o n t r a­r i a al Magistero della Chiesa e rappresenta un intollerabile r e g r e s s o nel moto di rinascita e promozione della pietà eucaristica, avente la sua massima espressione in o g n i Messa, che il nuovo Codice di diritto canonico definisce «culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana (c. 897). Se il valore di «ogni Messa celebrata» non fosse reale, tutte le «conce­lebrazioni» non sarebbero che altrettante insulse e noiose commedie.


RIEPILOGO E CONCLUSIONE

Il rito della «concelebrazione», qual è stata concessa dal Vaticano II, rappresenta una novità assoluta rispetto alla tradizione che risale alle origini della Chiesa.

La Messa «concelebrata» è una sola Messa, non tante quanti sono i sacerdoti concelebranti.

Il Concilio non comanda a nessuno la «concelebrazione», ma semplice­mente la concede in determinati casi; per cui nessun sacerdote è tenuto a parteciparvi, contro quanto suole verificarsi in certi ambienti e circostanze, dove la pressione morale esercitata su soggetti timidi e passivi contrasta con la libertà consentita dal Vaticano II, sempre rispettoso dell'autonomia e spontaneità di tutti.

La «Messa celebrata», essendo la rinnovazione sacramentale del Sacrificio della Croce, ha l'identica dignità ed efficacia di quella «concelebrata», nella quale il n u m e r o dei sacerdoti non aggiunge n u l l a al valore della prima.

La «concelebrazione» aggiunge alla «celebrazione» la dimensione oriz­zontale costituita dal rapporto di eguale partecipazione dei «molti» all'unico sacerdozio di Cristo. Dimensione tuttavia che la «concelebrazione» si limita ad esprimere, perché contenuta anche nella «celebrazione» in quanto l'unico mini­stro, rappresentando il Cristo, virtualmente rivela tutti i suoi confratelli nel sacerdozio.

La celebrazione p r e v a l e sulla concelebrazione perché, nell'unico ministro celebrante, essa esprime direttamente il vero Sacerdote principale qual è il Cristo; mentre la concelebrazione, per se stessa, non rivela il Cristo, ma coloro che partecipano del suo sacerdozio, per cui risulta solo come simbolo di fraternità sacerdotale.

Orientare la liturgia verso una concelebrazione generalizzata tendente a soppiantare la celebrazione significa favorire l'indirizzo collettivistico implicito nella concezione immanentista, negatrice della realtà e trascendenza dell'Ordine sacro; e quindi della stessa struttura gerarchica della Chiesa quale Corpo Mistico del Cristo Mediatore, Sacerdote e Vittima.

La concelebrazione - anche se opportuna in casi straordinari e pastoral­mente efficaci, secondo il magistero del Concilio - per se stessa obbliga a ridurre il numero delle Messe e, quindi, gli atti del supremo culto dovuto a Dio per il Cristo, venendo a privare la Chiesa e i fedeli - vivi e defunti - dei grandi benefici derivati da altrettante Messe individualmente celebrate.

La concelebrazione - soprattutto se vi partecipano molti sacerdoti - oltre a ridurre il raccoglimento, l'impegno personale e i relativi frutti spirituali possibili a ciascuno - con l'esteriorità che comporta tende ad accentuare la componente spettacolare del rito fino alla distrazione e alla dissipazione che offendono la maestà del culto.

10° Se dunque, uno è il Sacerdote-Vittima che s'immola, è necessario che n o r m a l m e n t e sia uno il ministro che all'altare Lo rappresenti; mentre n o r m a l e può essere l'assistenza di due o più sacerdoti i quali, invece di «conconsacrare», ricevano da lui la Comunione eucaristica, rinnovando il rito dell'ultima Cena, ripetuto per secoli in tutta la Chiesa d'Oriente e Occidente».


Concludo augurandomi di aver saputo conciliare - coi documenti del Magi­stero - tutta la verità del dogma eucaristico con le imprescindibili esigenze del culto, la vita del Corpo Mistico, la santificazione del Clero, la pietà dei fedeli, i suffragi dovuti alle anime del purgatorio, la solidarietà della Chiesa con tutti gl'infelici del mondo, per i quali la Messa è stata e resterà sempre l'unico e supremo tesoro. 

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