LA CONCELEBRAZIONE
Riflessione teologica di P. ENRICO ZOFFOLI
§
6 - La concelebrazione generalizzata fa risparmiare del tempo ai concelebranti,
li lascia più liberi e disponibili per altre mansioni, esige un solo altare e
comporta una notevole diminuzione dei paramenti e arredi sacri; ma, insieme,
induce a ridurre facilmente il numero delle Messe con immenso danno dei fedeli.
Questi
infatti, specialmente in una grande città, compongono un pubblico altamente
differenziato per età, sesso, condizioni familiari, tipo di lavoro, abitudini,
stato di salute, ecc.; per cui possono partecipare alla Messa solo in
differenti momenti della giornata. Il Codice di diritto canonico l'ha previsto
stabilendo che «la celebrazione e la distribuzione dell'Eucaristia può essere
compiuta in qualsiasi giorno e ora...» (CIC 931). Lo stesso Concilio autorizza
la concelebrazione purché «l'utilità dei fedeli, non richieda che tutti i
sacerdoti presenti celebrino singolarmente» (SC 57). Ma purtroppo anche in
questo il Vaticano II è stato tradito.
«La ricerca
della facilità pratica», è stato scritto, «molte volte nella vita dell'umanità
ed anche della Chiesa, ha fatto sì che i valori essenziali e i principi
fondamentali siano velati o alterati. Questo succede molte volte anche a
proposito del santo Sacrificio della Messa. Questa ricerca della facilità nelle
comunità, nelle parrocchie e nelle sacrestie si è trasformata molte volte in
dottrina sacramentale. Questa diffusione della concelebrazione è una novità
assoluta nella storia della Chiesa, avendo come risultato la diminuzione
massiccia degli atti sacrificali eucaristici».
Ma la
tentazione di dedicarsi meno alla causa di Dio e delle anime, e darsi di più a
tutto il resto, va prevalendo ... Da tutte le parti si levano angosciose voci
di protesta perché i sacerdoti, memori della propria identità, non si lascino
travolgere dalla corrente di un «secolarismo» che va sfociando nel più
insensato ateismo pratico.
C'è
da augurarsi che ciò non si verifichi. Ma il problema della concelebrazione
resta non risolto in molte diocesi d'Italia, dove moltissimi lamentano le
«troppe Messe soppresse», osservando che, per andare incontro ai fedeli,
basterebbe evitare le concelebrazioni ...
«Se la fede
aumenta», si scrive, «diminuiscono le Messe». «Mentre i dati di fatto con il 96
per cento di richieste dell'ora di religione a scuola dimostrano una notevole
sensibilità popolare verso i valori della fede cattolica, dall'altra sembra di
assistere ad un impoverimento della voglia di darli: si chiudono chiese, si
interpretano restrittivamente disposizioni liturgiche (...). In cambio ci
alluvionano con dibattiti e conferenze per i quali si trova pur tempo e
disponibilità».
Non basta:
«Per sapere se c'è Messa, ci vuole un medium ... ». «C'è troppa incertezza
sulle Messe domenicali». È grave il malessere abbastanza diffuso tra i fedeli
per la facilità con cui sono sospese consuete Messe festive serali ... ».
«Siamo preoccupati per il ripetersi di atteggiamenti che sembrano volere
vuotare d'importanza, nella religiosità dei fedeli, quella che è la base della
liturgia cattolica...». «Messe soppresse a Natale!... Poi parlano di poca
fede!». «Non si generi in seguito, col riprodursi di tali situazioni - come
sempre più spesso sta succedendo - una diseducazione verso l'importanza della
celebrazione eucaristica...».
A Roma, dove
le comunità religiose maschili sono particolarmente numerose, l'inconveniente
di concelebrazioni di venti, trenta e più sacerdoti, a cui risponde la
soppressione di altrettante Messe individuali, che potrebbero celebrarsi nelle
rispettive chiese e altrove, è vivamente avvertito e biasimato dal popolo.
Talvolta si ha l'impressione - purtroppo fondata - che sia appunto il popolo a
doversi adattare agli orari delle comunità, e non queste alle esigenze del
popolo. Il quale sente molto più il bisogno di Messe e di Confessori che di
certi raduni, dibattiti, pubblicazioni, corsi di aggiornamento... Ovunque si
verifica che alla riduzione delle Messe-Sacramento risponde una moltiplicazione
delle Messe nere.
§ 7 -
L'errore di credere che le Messe si moltiplicano secondo il numero dei
celebranti ha indotto molti sacerdoti a commettere la grave scorrettezza di
soddisfare molte intenzioni di Messe celebrandone soltanto una.
Ciò accade
quando un fedele chiede che si celebrino nel medesimo giorno per es. venti
Messe per un certo motivo, e il superiore della chiesa (chiunque egli sia) dispone
che a tal fine venti sacerdoti concelebrino. Allora infatti si verifica che non
già venti, ma soltanto una è la Messa celebrata, contro la volontà del
committente, che resta defraudato, con grave discredito del Clero. Il fedele
infatti - dopo la promessa del sacerdote - ha diritto a venti Messe celebrate
distintamente, esigendo cioè che per venti volte, all'altare, egli preghi
secondo le sue intenzioni.
§ 8 - La
concelebrazione sistematicamente generalizzata rappresenta una grave
involuzione nella storia del culto eucaristico, contro la lettera e lo spirito
del Vaticano II.
Per
comprendere tutta la portata dell'affermazione, è necessario fare un passo
indietro e ricostruire la storia del culto in questione.
Stando agli
storici della liturgia, non stupisce che la consapevolezza del valore e della
necessità del Sacrificio Eucaristico si sia venuta facendo sempre più viva nel
corso dei secoli, come risulta dal bisogno di ripeterne sempre più frequentemente
la celebrazione. Vi contribuì il culto dei Martiri, la santificazione di certi
giorni festivi, le Messe celebrate a Roma nelle diverse «stazioni», il
desiderio di suffragare i defunti, al quale alcuni (senza però dimostrarlo)
fanno risalire l'origine delle «messe private».
La frequenza
della celebrazione eucaristica varia secondo le chiese. In Africa sembra che
molto presto si sia conosciuta la Messa quotidiana, come informano S. Cipriano,
S. Agostino, S. Ambrogio; mentre a Costantinopoli e altrove in generale, nel V
secolo, si celebrava ancora soltanto il sabato e la domenica. Alla tradizione
dell'unica Messa succedette il costume di celebrarne due, e anche più se
necessario, nei casi in cui la chiesa non poteva contenere tutto il popolo,
specialmente nei giorni di festa. Al riguardo, Dioscoro, vescovo di
Alessandria, si consultò con S. Leone Magno, che l'incoraggiò a seguire la
nuova prassi.
Questa poi
si andò sempre più affermando col propagarsi del monachesimo. Nel secolo
VI-VII, infatti, fa la prima comparsa la «Messa privata» celebrata dai religiosi
senza l'assistenza dei fedeli; ciò che si verificò soprattutto quando i monaci,
divenuti missionari, dovettero ricevere gli ordini sacri. Decisivo al riguardo
il pontificato di S. Gregorio Magno. Perciò, aumentando il numero dei monaci
presbiteri, si moltiplicò anche quello delle Messe celebrate nei monasteri;
per cui si arrivò a distinguere la «Messa privata» da quella «conventuale».
Altre cause,
in seguito, contribuirono alla moltiplicazione delle Messe, avvertendosi sempre
più vivamente che il Sacrificio Eucaristico è la suprema fonte della grazia,
l'unico-essenziale mezzo di salvezza. Si istituirono così le Messe votive, si
ebbe la «fondazione» di Messe con Confraternite di sacerdoti; si giunse a
celebrare anche più volte al giorno. Gregorio di Tours, in un villaggio presso
Soissons, un giorno celebrò tre Messe su tre differenti altari per purgarsi
dall'accusa di aver offeso gravemente Tredegonda, moglie di Childeberto I. Papa
Leone III celebrava fino a sette e anche nove Messe... Quando poi ciò non
accadeva, non era raro il caso che si «binasse» e «trinasse», come talvolta
ordinavano vescovi e sinodi particolari...
Ora, contro
quanto qualcuno ha scritto o vorrebbe insinuare, la ragione profonda di tale
prassi non era tanto la «devozione privata», quanto la ferma convinzione
dell'intrinseco valore salvifico della Messa e dei benefici derivanti dalla sua
celebrazione alle anime e alla Chiesa: la santificazione personale si
conciliava perfettamente con la finalità pastorale ed ecclesiale.
Non potevano
mancare gli abusi; ma la Gerarchia intervenne per correggerli, anche se non
sempre con successo. Col passare del tempo tuttavia i risultati positivi
premiarono gli sforzi dei più zelanti, finché, nel periodo aureo della
Scolastica, si raggiunse l'equilibrio per merito della riflessione teologica
condotta sull'essenza e il valore del Sacrificio Eucaristico. Dopo Pietro Lombardo,
si distinse soprattutto S. Tommaso...
Purtroppo,
dal secolo XIV-V in poi, con la decadenza della Scolastica, succedette una crescente
rarefazione delle Messe, che riflette le tremende crisi subite dalla Chiesa in
tutto il periodo rinascimentale. Enorme - anche se lenta e inavvertita - la
nefasta influenza della riforma protestante persino nel mondo cattolico a
proposito della Messa, ritenuta non soltanto superflua, ma addirittura
«abominevole»: essa offende la dignità e nega l'efficacia salvifica del Sacrificio
della Croce. Sulla scia delle sètte gnostico-manichee e panteistiche del
Medioevo, G. Wyclif (1320- 1384) aveva già respinto la Messa come non istituita
da Cristo, secondo il Vangelo: l'errore era stato condannato il 4 maggio 1415
dal Concilio di Costanza (D-S 1155). Lutero arrivò a supporre che, eliminata la
Messa, il Papato (e quindi la Chiesa gerarchica) sarebbe crollata.
All'inizio
del Seicento molti preti celebravano solo raramente in quasi tutti i paesi
d'Europa. Ma, alla fine del secolo, ci fu una ripresa, favorita dal Concilio di
Trento; la quale però restò limitata per l'influenza del giansenismo:
soddisfatti i doveri d'ordine pastorale, si giunse a sconsigliare la
celebrazione quotidiana, e la medesima sorte toccò alla «Comunione
eucaristica».
Alla fine,
attraverso le tempeste dei secoli XVIII-XIX, la logica della Riforma di Trento
- sostenuta dall'opera di grandi Santi e dei rispettivi Ordini religiosi,
antichi, nuovi e riformati - portò al rinnovamento eucaristico; il quale, tra
l'Ottocento e il Novecento, ebbe le sue prime esplosioni nel Congresso
eucaristico del 1881 e nei documenti di S. Pio X sulla Comunione dei bambini e
la celebrazione frequente ed anzi quotidiana della Messa.
A proposito
della Messa, la spinta decisiva del grande Concilio contro l'eresia luterana
era stata preceduta, fin dall'alto Medioevo, dalla celebrazione delle tre Messe
di Natale; e seguita dal privilegio di quelle del 2 novembre concesso nel 1740
da Benedetto XIV alla Spagna e al Portogallo; poi, nel 1897, esteso da Leone
XIII ai paesi dell'America Latina; e infine, da Benedetto XV a tutta la Chiesa
nel 1915.
Dall'inizio
del '900 al Vaticano II la Chiesa non ha cessato di esaltare il valore della
Messa individuale e promuoverne la ripetizione più numerosa possibile. La
documentazione che al riguardo si potrebbe offrire eccede i limiti di un rapido
ragguaglio. Basteranno alcuni accenni.
Quando nel
1933 si celebrò il Giubileo della Redenzione, in una lettera del 10 gennaio Pio
XI scrisse al vescovo di Lourdes, mons. Gerlier, rallegrandosi che per tre
giorni e tre notti sarebbero state celebrate nella Grotta delle Apparizioni
delle Messe «continuamente e senza interruzioni». I festeggiamenti centenari
non avrebbero potuto avere un coronamento più degno.
Il vescovo,
a sua volta, commentando il documento pontificio, osserva: «L'ininterrotta
celebrazione di queste 140 Messe, che da giovedì 25 aprile alle ore 16 alla
domenica 28 aprile alla medesima ora saranno offerte sull'altare della Grotta
da vescovi e sacerdoti che rappresentano tutte le nazioni del mondo - serie
luminosa nella quale, ogni giorno, alle tre del pomeriggio, una Messa pontificale
richiamerà in modo particolare l'ora della morte del Salvatore Gesù sulla croce
- (...) Lourdes in un momento solenne diventerà, come non si e mai visto, il
centro della preghiera del mondo».
A questo
«triduo di Messe» partecipò anche il card. Schuster che ottenne dal Papa
l'autorizzazione di celebrare senza interruzione il Sacrificio eucaristico in
72 dei principali santuari mariani della sua diocesi. I vescovi cileni ne
seguirono l'esempio celebrando un eguale numero di Messe in un santuario dedicato
a Maria presso Santiago.
Nell'enciclica
Fidei donum del 21 aprile 1957, Pio XII chiese, tra l'altro, che per le
necessità delle missioni si moltiplicassero le Messe: «Ma la forza più
eccellente di preghiera non è forse quella che Cristo, Sommo Sacerdote, rivolge
Egli stesso al Padre sugli altari su cui rinnova il suo sacrificio redentore?
In questi anni, che sono forse decisivi per l'avvenire del cattolicesimo in
molti paesi, mo1tip1ichiamo le Messe celebrate secondo l'intenzione delle
Missioni (...). Queste prospettive più alte saranno d'altronde meglio comprese
se si tien presente allo spirito, secondo l'insegnamento della Nostra
Enciclica Mediator Dei, che OGNI MESSA CELEBRATA è essenzialmente un'azione
della Chiesa».
Il
card. Journet, commentando la lettera pontificia giustamente scriveva: «Se in
ogni Messa Cristo compie l'opera della Redenzione, si vede bene la necessità di
moltiplicare le Messe in questa epoca cruciale in cui interi continenti come
l'Africa si destano alle condizioni della vita moderna e sono poste
nell'alternativa di scegliere pro o contro Cristo».
In occasione
del 40° anniversario delle apparizioni di Fatima e della consacrazione
episcopale di Pio XII, il 13 maggio del '57, nel santuario mariano fu celebrato
«un rosario di Messe» (=150) secondo le intenzioni del Papa.
Il medesimo
Pontefice, col Motu proprio Norunt profecto del 27 ottobre 1940, aveva
richiamato il valore della Messa e raccomandato di celebrare per la pace del
mondo; e, dopo la guerra, nel '52, per il medesimo fine, si continuò a
celebrarla ogni giorno a Roma, in S. Pietro.
In Francia,
nel 1953, succedeva che, in occasione di raduni, alcuni sacerdoti omettevano di
celebrare la loro Messa per assistere a quella di un confratello e ricevere da
lui la Comunione. Ma, un'assemblea di cardinali e vescovi francesi, pur
apprezzando la loro buona intenzione di compiere un gesto volto a dimostrare ai
fedeli la loro unione nel partecipare alla medesima Messa comunitaria, non
mancò di rilevarne gli inconvenienti, tra cui quello di diminuire la giusta
stima del valore delle Messe private. Infatti, era necessario confermare nel
popolo la fede nel valore infinito del Sacrificio Eucaristico e piuttosto
moltiplicare il numero delle Messe che ridurlo volontariamente. Pratica del
tutto riprovevole se fondata sulla falsa idea che l'omissione di una Messa ha
poca importanza, e che un gesto collettivo di unità è meglio della celebrazione
di più Messe private.
In
conclusione: riflettendo che il rinnovamento eucaristico inaugurato verso la fine
dell'800 e sostenuto poi con crescente zelo a tutti i livelli della Chiesa e
soprattutto dalle direttive della S. Sede; tenuto conto della Mediator Dei
di Pio XII a cui seguirono il decreto del Concilio sul ministero e la vita dei
sacerdoti e la solenne enciclica Mysterium fidei di Paolo VI, che
raccomandava a tutti i sacerdoti la celebrazione quotidiana della Messa
privata...; bisogna concludere che la sistematica generalizzazione della «Messa
concelebrata» con la conseguente macroscopica riduzione delle «Messe private» è
c o n t r ar i a al Magistero della Chiesa e rappresenta un intollerabile r e
g r e s s o nel moto di rinascita e promozione della pietà eucaristica, avente
la sua massima espressione in o g n i Messa, che il nuovo Codice di diritto canonico
definisce «culmine e fonte di tutto il culto e della vita cristiana (c. 897).
Se il valore di «ogni Messa celebrata» non fosse reale, tutte le «concelebrazioni»
non sarebbero che altrettante insulse e noiose commedie.
RIEPILOGO E CONCLUSIONE
1° Il rito
della «concelebrazione», qual è stata concessa dal Vaticano II, rappresenta una
novità assoluta rispetto alla tradizione che risale alle origini della Chiesa.
2° La Messa
«concelebrata» è una sola Messa, non tante quanti sono i sacerdoti concelebranti.
3° Il
Concilio non comanda a nessuno la «concelebrazione», ma semplicemente la
concede in determinati casi; per cui nessun sacerdote è tenuto a parteciparvi,
contro quanto suole verificarsi in certi ambienti e circostanze, dove la
pressione morale esercitata su soggetti timidi e passivi contrasta con la
libertà consentita dal Vaticano II, sempre rispettoso dell'autonomia e
spontaneità di tutti.
4° La «Messa
celebrata», essendo la rinnovazione sacramentale del Sacrificio della Croce, ha
l'identica dignità ed efficacia di quella «concelebrata», nella quale il n u m
e r o dei sacerdoti non aggiunge n u l l a al valore della prima.
5° La
«concelebrazione» aggiunge alla «celebrazione» la dimensione orizzontale
costituita dal rapporto di eguale partecipazione dei «molti» all'unico
sacerdozio di Cristo. Dimensione tuttavia che la «concelebrazione» si limita ad
esprimere, perché contenuta anche nella «celebrazione» in quanto l'unico ministro,
rappresentando il Cristo, virtualmente rivela tutti i suoi confratelli nel
sacerdozio.
6° La
celebrazione p r e v a l e sulla concelebrazione perché, nell'unico ministro
celebrante, essa esprime direttamente il vero Sacerdote principale qual è il
Cristo; mentre la concelebrazione, per se stessa, non rivela il Cristo, ma
coloro che partecipano del suo sacerdozio, per cui risulta solo come simbolo di
fraternità sacerdotale.
7° Orientare
la liturgia verso una concelebrazione generalizzata tendente a soppiantare la
celebrazione significa favorire l'indirizzo collettivistico implicito nella
concezione immanentista, negatrice della realtà e trascendenza dell'Ordine
sacro; e quindi della stessa struttura gerarchica della Chiesa quale Corpo
Mistico del Cristo Mediatore, Sacerdote e Vittima.
8° La
concelebrazione - anche se opportuna in casi straordinari e pastoralmente
efficaci, secondo il magistero del Concilio - per se stessa obbliga a ridurre
il numero delle Messe e, quindi, gli atti del supremo culto dovuto a Dio per il
Cristo, venendo a privare la Chiesa e i fedeli - vivi e defunti - dei grandi
benefici derivati da altrettante Messe individualmente celebrate.
9° La
concelebrazione - soprattutto se vi partecipano molti sacerdoti - oltre a
ridurre il raccoglimento, l'impegno personale e i relativi frutti spirituali
possibili a ciascuno - con l'esteriorità che comporta tende ad accentuare la
componente spettacolare del rito fino alla distrazione e alla dissipazione che
offendono la maestà del culto.
10° Se
dunque, uno è il Sacerdote-Vittima che s'immola, è necessario che n o r m a l m
e n t e sia uno il ministro che all'altare Lo rappresenti; mentre n o r m a l e
può essere l'assistenza di due o più sacerdoti i quali, invece di
«conconsacrare», ricevano da lui la Comunione eucaristica, rinnovando il rito
dell'ultima Cena, ripetuto per secoli in tutta la Chiesa d'Oriente e
Occidente».
Concludo
augurandomi di aver saputo conciliare - coi documenti del Magistero - tutta la
verità del dogma eucaristico con le imprescindibili esigenze del culto, la vita
del Corpo Mistico, la santificazione del Clero, la pietà dei fedeli, i suffragi
dovuti alle anime del purgatorio, la solidarietà della Chiesa con tutti
gl'infelici del mondo, per i quali la Messa è stata e resterà sempre l'unico e
supremo tesoro.
Nessun commento:
Posta un commento