CONCILIO DI TRENTO: "ha dato frutti abbondanti"
OMELIA
DEL CARD. W. BRANDMǛLLER
Cattedrale di Trento, 1 dicembre 2013, Domenica I di Avvento
Il cardinale BRANDMǛLLER con i seminaristi di Trento |
Quando
il 4 dicembre dell'anno 1563, in questa cattedrale, il cardinale Morone,
presidente del Concilio, intonò il Te
Deum e poi proclamò con forza a quanti si erano riuniti “Domini, ite in pace”, si era giunti al
traguardo di un cammino molto lungo, caratterizzato da fatiche, pericoli e
delusioni. Profondamente commossi e tra le lacrime, i Padri si abbracciarono,
colmi di gioia e di gratitudine per il lavoro compiuto.
Oggi
ricordiamo quel grande momento, poiché con quel "Domini, ite in pace" ebbe inizio quello che Hubert Jedin,
storico del Concilio e cittadino onorario di questa città, ha definito il
"miracolo di Trento".
Solo
in retrospettiva possiamo riconoscere con quanta potenza lo Spirito di Dio,
proprio per mezzo di tale Concilio, è intervenuto nel destino della Chiesa,
addirittura del mondo. Lo ha fatto al punto che i secoli dopo il concilio
vengono definiti “periodo post-tridentino”.
Se dunque oggi, dopo 450 anni,
anche noi cristiani del terzo millennio intoniamo lo stesso Te Deum di allora,
non possiamo e non dobbiamo farlo solo con sguardo nostalgico verso il passato.
Piuttosto,
celebriamo questo giubileo con lo sguardo rivolto alla Chiesa e al mondo del
qui e dell'oggi. Quale messaggio - domandiamo - ci giunge attraverso i secoli?
E possibile che il tesoro lasciato dal grande Concilio nasconda anche qualche
risposta ai nostri interrogativi? O forse avevano ragione quanti hanno
celebrato il Concilio Vaticano II come "congedo da Trento"? Tuttavia:
la sola costituzione Lumen Gentium del Concilio Vaticano II, che espone
l'insegnamento sulla Chiesa, in ben sedici passi fa riferimento a documenti
dottrinali del Concilio di Trento. Quindi, anche dopo 450 anni, esso è ancora
presente nella dottrina e nella vita della Chiesa.
Da
poco si è concluso l'Anno della Fede, indetto da Benedetto XVI, e in occasione
del quale Papa Francesco ha pubblicato la Lumen Fidei, la luce della fede,
quale prima enciclica del suo pontificato. Anno della Fede ed enciclica sulla
fede: di fatto puntano al centro dei problemi del tempo presente, un tempo che
ha largamente rinunciato a interrogarsi sulla verità della fede, sulla verità
in generale. A che cosa serve? Che cosa è fattibile? Sono queste le domande che
muovono la società attuale. Che cos'è la verità? Domandano in molti come Ponzio
Pilato. E la verità, sempre che esista - ci può saziare? Noi, invece,
domandiamo: senza verità può esistere la vita umana? E dove troviamo questa
verità?
La
risposta a tale domanda, già assillante 450 anni fa, l'hanno data i Padri
tridentini, anche solo per il fatto che, come primo decreto conciliare, hanno
approvato quello che tratta della Sacra Scrittura e della Tradizione
Apostolica. Nella Scrittura e nella Tradizione troviamo il Vangelo che,
“promesso un tempo attraverso i profeti nelle scritture sante, il Signore
nostro Gesù Cristo, Figlio di Dio, prima promulgò con la sua bocca, poi comandò
che venisse predicato ad ogni creatura per mezzo dei suoi apostoli, quale fonte
di ogni verità salvifica e della disciplina dei costumi” si legge in questo decreto.
Non
sono quindi la speculazione filosofica e nemmeno l'autocoscienza umana o altre
cose simili i luoghi in cui trovare la verità che salva l'uomo, bensì i
documenti della comunicazione di Sé di Dio alla sua creatura l'uomo, avvenuta
una volta per sempre nel tempo e nello spazio, vale a dire nella storia.
Nella
situazione culturale presente, in cui non pochi considerano le Sacre Scritture
un prodotto sì venerabile, ma comunque umano della cultura del Vicino Oriente
dell'antichità, la voce del Concilio di Trento ha un significato molto attuale.
Essa ricorda con forza che l'autore delle Sacre Scritture dell'Antico e del
Nuovo Testamento, come anche della tradizione sacra, è il Dio Uno e Trino
stesso, che ci ha parlato prima per bocca dei profeti, ma poi anche per mezzo
di suo Figlio, il Logos eterno fatto
uomo, Il discorso salvifico di Dio all'uomo, sua creatura e immagine, che si
può sentire nella parola umana della Sacra Scrittura e della Tradizione
Apostolica - può, da solo, esaudire il desiderio di verità dell'uomo e
offrirgli una base solida per la sua vita.
“Chiunque ascolta queste mie
parole e le mette in pratica, è simile a un uomo che ha costruito la sua casa
sulla roccia” dice il Signore.
Ora, l'insegnamento del Concilio
si rivolge proprio all'uomo, al quale è stato - ed è - rivolto il messaggio del
Vangelo.
“Che
cosa è l'uomo perché te ne ricordi?” domanda
già il salmista. Di fatto, come mai prima d'ora, l'uomo del tempo
moderno è diventato un interrogativo per se stesso.
Sono
le esperienze terribili e sanguinose del XX secolo appena concluso e del
presente a farci percepire con angoscia la grammatica della domanda sull’uomo.
Che cos' è l’uomo? E’ il superuomo, come lo vedeva Nietzsche, che fissa i
propri parametri del vero e del falso, del bene e del male, o, come ha detto
qualcun altro, è soltanto una scimmia nuda, alla quale manca il pelo solo per
un capriccio dell’evoluzione? Questo uomo è una semplice rotellina nel processo
produttivo di oggetti di massa privi di anima e di volto, o è un prometeico
padrone del mondo?
L’uomo
è diventato un enigma per se stesso, trascinato qua e là tra mania di grandezza
e disperazione. Come, che cosa dobbiamo pensare di noi stessi? Diversamente da
oggi, la gente all'epoca del Concilio di Trento si poneva questa domanda
guardando a Dio.
L’ uomo - come anche tutto il
creato - è stato reso talmente corrotto e cattivo nell'intimo dal peccato di
Adamo da essere colpito da tutta l'ira di Dio, che può essere placata solo dal
sangue e dalla morte di Cristo? Davvero l'uomo non è capace di fare altro che
peccare?
Il
buio di tutte queste domande viene trafitto dalla luce splendente della
dottrina del Concilio. La risposta che essa offre è valida anche oggi e per
sempre.
Un'antica
preghiera, che in passato veniva pronunciata durante la Messa, quando si
mescolavano il vino e l'acqua, contiene, con pregnanza classica, il messaggio
del Concilio: “Deus qui humanæ substantiae dignitatem mirabiliter et mirabilius condidisti et
mirabilius reformasti” ovvero, Dio che meravigliosamente hai creato la
dignità umana e mirabilmente - attraverso Cristo - l'hai redenta.
Questa
dottrina conciliare risponde negativamente a quell'oscuro pessimismo che vedeva
la natura umana, addirittura l'intero creato, profondamente corrotti a causa
del peccato dei progenitori e non voleva prendere atto del fatto che,
attraverso la grazia della redenzione, l'uomo viene sanato nel profondo, che
viene persino creato di nuovo e accettato come amato Figlio di Dio.
Fu questa consapevolezza di non
essere stati lasciati indifesi dinanzi al male, malgrado tutte le tentazioni,
bensì di essere stati redenti e chiamati alla gloria eterna, a liberare le
forze migliori dello spirito e del cuore dei
fedeli. Fu una nuova autoconsapevolezza dell'uomo, ispirata dalla fede nella
redenzione, a produrre lo straordinario slancio religioso, l'impegno
missionario in Asia e in America, la crescita delle molteplici opere di amore
del prossimo, delle arti e delle scienze, che hanno caratterizzato il tempo
dopo il Concilio Tridentino.
Non
potrebbe anche oggi una visione credente approfondita della dignità della
natura umana, meravigliosamente creata e ancora più mirabilmente rinnovata dopo
tanto peccato, liberare quelle forze spirituali e indicare quei cammini che
conducono verso un futuro buono, che piace a Dio e per questo è favorevole
all'uomo?
La
Sacra Scrittura e la Tradizione Apostolica, i fondamenti della fede, anche il
rapporto tra gli uomini e Dio, determinato dal peccato originale e dalla
redenzione: furono questi i grandi temi che, in virtù della loro urgenza, i
Padri del concilio vollero chiarire per primi.
Il
terzo tema da loro affrontato fu quello
della “Chiesa”. Anch'esso occupa
i fedeli di oggi non meno di quanto impegnò quelli del XVI secolo. All'epoca, i
suoi oppositori avevano frainteso la Chiesa ravvisandola come un'entità
invisibile, puramente spirituale. Oggi, al contrario, non pochi rischiano -
come ha più volte sottolineato Papa Francesco - di vedere la Chiesa come
un'istituzione puramente umana, temporale, una sorta di organizzazione non governativa per migliorare il mondo. La sua vera
natura allora - come spesso accade anche oggi – rimase nascosta.
Per
rispondere a questi fraintendimenti, già all'epoca i Padri tridentini fecero
dei sette santi sacramenti l'oggetto delle loro proclamazioni dottrinali,
ponendo così la vera natura della Chiesa al centro dell'attenzione.
Nei
sacramenti è il segno esteriore percepibile con i sensi - ad esempio, per
l'Eucaristia, la consacrazione del pane e del vino - a definire e a produrre
misteriosamente la grazia divina. In modo analogo, anche la figura
umano-storica della Chiesa è un segno visibile della sua natura invisibile
quale Corpo misterioso di Cristo Risorto, quale strumento di Cristo per la
redenzione del mondo.
Comprendere
in modo nuovo e più profondo questa realtà divina della Chiesa, presente anche
nel mondo del terzo millennio, vale a dire riscoprire nella sua figura
terreno-umana la presenza del divino, potrebbe produrre la fine della
mondanizzazione della Chiesa, che è un presupposto perché possa svolgere con
efficacia la sua missione a favore della salvezza eterna degli uomini. Per
concludere guardiamo ancora una volta al passato.
Quando
il Concilium Tridentinum fu inaugurato il 13 dicembre 1545, erano solo
poche decine i vescovi che entrarono in processione in questo Duomo. Tra loro
nessuno veniva dalla Germania, patria dello scisma. Quei vescovi provenivano da
un'Europa in cui la Chiesa sanguinava dalle ferite inferte dall'allontanamento
di massa in molti paesi. Scoramento e confusione paralizzavano molti di coloro
che erano rimasti fedeli, lasciandoli a guardare, privi di speranza, verso un
futuro oscuro. Poi raggiunsero la cifra di 225 Presuli.
"Non
temere, piccolo gregge'' aveva detto il
Signore ai suoi apostoli, e quindi anche ai loro successori che si erano
riuniti a Trento. Così si dedicarono subito al lavoro di chiarire e di scindere
la verità di fede dall'errore e a quello della riforma.
Dalla
semina, che - come dice il salmista - fecero nelle lacrime, è cresciuto un
raccolto abbondante che ha raggiunto anche i nuovi continenti dell'Asia e
dell'America: un periodo della storia della Chiesa e della cultura alla quale
il Concilio di Trento ha dato il proprio nome.
Di
fatto, lo Spirito di Dio anima e guida la sua Chiesa nei secoli, fino a quando
ritornerà il Signore.
Perciò
oggi non dobbiamo essere colmi solo di gratitudine per questo, ma anche di
speranza che il Concilio Vaticano II, che i più anziani tra noi hanno vissuto
di persona, a suo tempo possa dare gli stessi frutti di quello che ricordiamo
oggi.
Card. Walter Brandmueller
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