PAPA BERGOGLIO SECONDO EUGENIO SCALFARI
La rivoluzione di Francesco ha abolito il peccato
Caro Eugenio, ma «io lo so che tu non hai, e non vuoi averlo, un cuore libero» ( Pasolini)
SI CERCANO con insistenza le novità e le
innovazioni con le quali papa Francesco sta modificando la Chiesa. Alcuni
sostengono che le novità sono di pura fantasia e le innovazioni del tutto
inesistenti; altri al contrario sottolineano le innovazioni organizzative che
non turbano tuttavia la tradizione teologica e dottrinaria; altri ancora
definiscono Francesco, Vescovo di Roma come egli ama soprattutto definirsi, un
Pontefice rivoluzionario.
Personalmente mi annovero tra questi ultimi. È rivoluzionario per tanti aspetti del suo ancor breve pontificato, ma soprattutto su un punto fondamentale: di fatto ha abolito il peccato.
Un Papa che abbia modificato la Chiesa, anzi la gerarchia della Chiesa, su una questione di questa radicalità, non si era mai visto, almeno dal terzo secolo in poi della storia del cristianesimo e l'ha fatto operando contemporaneamente sulla teologia, sulla dottrina, sulla liturgia, sull'organizzazione. Soprattutto sulla teologia.
I critici di papa Francesco sottovalutano le sue capacità e inclinazioni teologiche, ma commettono un grossolano errore. Il peccato è un concetto eminentemente teologico, è la trasgressione di un divieto. Quindi è una colpa.
La legge mosaica condensata nei dieci comandamenti ordina e impone divieti. Non contempla diritti, non prevede libertà. Il Dio mosaico descrive anzitutto se stesso: "Onora il tuo Dio, non nominare il nome di Dio invano, non avrai altro Dio fuori di me".
Poi, per analogia, ordina di onorare il padre e la madre. Infine si apre il capitolo dei divieti, dei peccati e delle colpe che quelle trasgressioni comportano: "Non rubare, non commettere atti impuri, non desiderare la donna d'altri (attenzione: il divieto è imposto al maschio non alla femmina perché la femmina è più vicina alla natura animale e perciò la legge mosaica riguarda gli uomini)".
Il Dio mosaico è un giudice e al tempo stesso un esecutore della giustizia. Almeno da questo punto di vista non somiglia affatto all'ebreo Gesù di Nazareth, figlio di Maria e di Giuseppe della stirpe di David. Non contempla alcun Figlio il Dio mosaico; non esiste neppure il più vago accenno alla Trinità. Il Messia - che ancora non è arrivato per gli ebrei - non è il Figlio ma un Messaggero che verrà a preannunciare il regno dei giusti. Né esistono sacramenti né i sacerdoti che li amministrano. Quel Dio è unico, è giudice, è vendicatore ed è anche, ma assai raramente, misericordioso, ammesso che si possa definire chi premia l'uomo suo servo se e quando ha eseguito la sua legge.
È Creatore e padrone delle cose create. Nulla è mai esistito prima di lui e quindi da quando esiste comincia la creazione. Questo Dio i cristiani l'hanno ereditato trasformandolo fortemente nella sua essenza ma facendone propri alcuni aspetti importanti: il divieto e quindi il peccato e la colpa. Adamo ed Eva peccarono e furono puniti, Caino peccò e fu punito, e anche i suoi discendenti peccarono e furono puniti. L'umanità intera peccò e fu punita dal diluvio universale.
Questo è il Dio di Abramo, il Dio della cattività egizia e babilonese, di Assiria, di Babele, di Sodoma e Gomorra. Nella sostanza è il Dio ebraico o molto gli somiglia salvo che nella predicazione di alcuni profeti e poi soprattutto in quella evangelica di Gesù.
Nei secoli che seguirono, fino all'editto di Costantino che riconobbe l'ufficialità del culto cristiano, il popolo che aveva seguito Gesù offrì martiri alla verità della fede, fondò comunità, predicò amore verso Dio e soprattutto verso Cristo che trasferì quell'amore alle creature umane affinché lo scambiassero con il loro prossimo. Nacquero così l'agape, la carità e l'esortazione evangelica "ama il tuo prossimo come te stesso".
Questo è il Dio che predicò Gesù e che troviamo
nei Vangeli e negli Atti degli apostoli. Un Dio estremamente misericordioso che
si manifestò con l'amore e il perdono.
Nella dottrina dei Concili e dei Papi restano tuttavia le categorie del Dio giudice, del Dio esecutore di giustizia, del Dio che ha edificato una Chiesa e man mano l'ha distaccata dal popolo dei fedeli. Dall'editto di Costantino sono passati 1700 anni, ci sono stati scismi, eresie, crociate, inquisizioni, potere temporale. Novità e innovazioni continue su tutti i piani, teologia, liturgia, filosofia, metafisica. Ma un Papa che abolisse il peccato ancora non si era visto. Un Papa che facesse della predicazione evangelica il solo punto fermo della sua rivoluzione ancora non era comparso nella storia del cristianesimo.
Questa è la rivoluzione di Francesco e questa va esaminata a fondo, specie dopo la pubblicazione dell'esortazione apostolica Evangelii Gaudium, dove l'abolizione del peccato è la parte più sconvolgente di tutto quel recentissimo documento.
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Francesco abolisce il peccato servendosi di due strumenti: identificando il Dio cristiano rivelato da Cristo con l'amore, la misericordia e il perdono. E poi attribuendo alla persona umana piena libertà di coscienza. L'uomo è libero e tale fu creato, afferma Francesco. Qual è il sottinteso di questa affermazione? Se l'uomo non fosse libero sarebbe soltanto un servo di Dio e la scelta del Bene sarebbe automatica per tutti i fedeli. Solo i non credenti sarebbero liberi e la loro scelta del Bene sarebbe un merito immenso. Ma Francesco non dice questo. Per lui l'uomo è libero, la sua anima è libera anche se contiene un tocco della grazia elargita dal Signore a tutte le anime. Quella scheggia di grazia è una vocazione al Bene ma non un obbligo. L'anima può anche ignorarla, ripudiarla, calpestarla e scegliere il Male; ma qui subentrano la misericordia e il perdono che sono una costante eterna, stando alla predicazione evangelica così come la interpreta il Papa. Purché, sia pure nell'attimo che precede la morte, quell'anima accetti la misericordia. Ma se non l'accetta? Se ha scelto il Male e non revoca quella scelta, non avrà la misericordia e allora che cosa sarà di lui?
Per rivoluzionario che sia, un Papa cattolico non può andare oltre. Può abolire l'Inferno, ma ancora non l'ha fatto anche se l'esistenza teologica dell'Inferno è discussa ormai da secoli. Può affidare al Purgatorio una funzione "post mortem" di ravvedimento, ma si entrerebbe allora nel giudizio sull'entità della colpa e anche questo è un tema da tempo discusso.
Papa Francesco indulge talvolta a ricordare ai fedeli la dottrina tradizionale anche se il suo dialogo con i non credenti è costante e rappresenta una delle novità di questo pontificato che ha trovato i suoi antecedenti in papa Giovanni e nel Vaticano II.
Francesco non mette in discussione i dogmi e ne parla il meno possibile. Qualche volta li contraddice addirittura. È accaduto almeno due volte nel dialogo che abbiamo avuto e che spero continuerà.
Una volta mi disse, di sua iniziativa e senza che io l'avessi sollecitato con una domanda: "Dio non è cattolico". E spiegò: Dio è lo Spirito del mondo. Ci sono molte letture di Dio, quante sono le anime di chi lo pensa per accettarlo a suo modo o a suo modo per rifiutarne l'esistenza. Ma Dio è al di sopra di queste letture e per questo dico che non è cattolico ma universale.
Alla mia domanda successiva a quelle sue affermazioni sconvolgenti, papa Francesco precisò: "Noi cristiani concepiamo Dio come Cristo ce l'ha rivelato nella sua predicazione. Ma Dio è di tutti e ciascuno lo legge a suo modo. Per questo dico che non è cattolico perché è universale". Infine ci fu in quell'incontro un'altra domanda: che cosa sarebbe accaduto quando la nostra specie fosse estinta e non ci sarà più sulla Terra una mente capace di pensare Dio?
La risposta fu questa: "La divinità sarà in tutte le anime e tutto sarà in tutti". A me sembrò un arduo passaggio dalla trascendenza all'immanenza, ma qui entriamo nella filosofia e vengono in mente Spinoza e Kant: "Deus sive Natura" e "Il cielo stellato sopra di me, la legge morale dentro di me". "Tutto sarà tutto in tutti". A me, l'ho già detto, è sembrata una classica immanenza ma se tutti hanno tutto dentro di sé potrebbe essere concepita anche come una gloriosa trascendenza.
Resta comunque assodato che per Francesco Dio è misericordia e amore per gli altri e che l'uomo è dotato di libera coscienza di sé, di ciò che considera Bene e di ciò che considera Male.
Ma qui si pone un'altra e fondamentale domanda: che cos'è il Bene e che cosa è il Male? Credo sia impossibile dare una definizione a questi due concetti. Una soltanto è possibile: sono necessari l'uno all'altro per poter reciprocamente esistere di fronte ad un essere vivente che ha conoscenza di sé. Gli animali non hanno il problema del Male e del Bene perché non possiedono una mente che si guarda e si giudica. Noi sì, quella mente l'abbiamo. Se ci fosse solo il Bene, come definirlo? Ma se c'è anche il Male l'esistenza di uno fa la differenza dell'altro come accade tra la luce e il buio, tra la salute e la malattia, e se volete, tra esistenza e inesistenza. Il nulla non è definibile né pensabile perché privo di alternativa.
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Evangelii Gaudium non parla soltanto di teologia. Anzi parla molto più a lungo di altre cose, concrete, organizzative, rivoluzionarie anch'esse. Parla del ruolo positivo e creativo delle donne nella Chiesa. Parla dell'importanza dei Sinodi dei quali il Papa fa parte in quanto Vescovo di Roma, "primus inter pares". Parla dell'autonomia delle Conferenze episcopali. Parla dell'importanza delle parrocchie e degli oratori sul territorio. Parla perfino di politica, non certo nel senso del politichese, ma della politica come visione del bene comune e della libertà per chiunque di utilizzare lo spazio pubblico per diffondere e confrontarsi con le idee altrui. Parla delle diseguaglianze che vanno diminuite. "Io non ce l'ho con i ricchi, ma vorrei che i ricchi si dessero direttamente carico dei poveri, degli esclusi, dei deboli". Così papa Francesco. E parla infine della Chiesa missionaria che rappresenta il punto centrale della sua rivoluzione. La Chiesa missionaria non cerca proselitismo ma cerca ascolto, confronto, dialogo.
Concludo con una frase che dice tutto su questo Papa, gesuita al punto d'aver canonizzato pochi giorni fa Ignazio di Loyola, fondatore della Compagnia più nobile e più discussa tra gli Ordini della Chiesa e contemporaneamente d'aver assunto il nome di Francesco che nessun Pontefice prima di lui aveva mai usato. I gesuiti mettono al servizio della Chiesa la loro proverbiale e non sempre apprezzabile flessibilità. Francesco d'Assisi era invece integrale nella sua visione d'un Ordine mendicante e itinerante. L'Ordine francescano fu rivoluzionario ma la sua potenza fu molto limitata; la Compagnia di Gesù al contrario fu potentissima e molto flessibile.
Questo Papa riunisce in sé le potenzialità degli uni e degli altri e conclude con due righe che rappresentano la sintesi di questo storico connubio: "È necessaria una conversione del Papato perché sia più fedele al significato che Gesù Cristo intese dargli. Non bisogna aver paura di abbandonare consuetudini della Chiesa non strettamente legate al Vangelo. Bisogna essere audaci e creativi abbandonando una volta per tutte il comodo proverbio "Si è sempre fatto così". Bisogna non più chiudere le porte della Chiesa per isolarci, ma aprirle per incontrare tutti e prepararci al dialogo con altri idiomi, altri ceti sociali, altre culture. Questo è il mio sogno e questo intendo fare".
Questo dialogo riguarda anche e forse soprattutto i non credenti, la predicazione di Gesù ci riguarda, l'amore per il prossimo ci riguarda, le diseguaglianze intollerabili ci riguardano. Un Papa rivoluzionario ci riguarda e il relativismo di aprirsi al dialogo con altre culture ci riguarda. Questa è la nostra vocazione al Bene che dobbiamo perseguire con costante proposito.
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Alcuni lettori mi imputano un errore laddove nel mio articolo di oggi ho scritto che Papa Francesco ha canonizzato Ignazio di Loyola. Ho probabilmente usato male il verbo "canonizzare" che significa promuovere la santificazione. Ignazio in realtà fu fatto santo su iniziativa di Papa Gregorio XV nel 1622. Usando quella parola volevo segnalare che Papa Francesco ha sottolineato l'importanza del fondatore della Compagnia di Gesù rendendo in tal modo ancor più marcato il connubio tra la sua venerazione di Sant'Ignazio e la scelta di Francesco d'Assisi che rappresentò una concezione completamente diversa della Chiesa. Mi scuso con i lettori per l'imprecisione lessicale. (e. s.)
TRATTO DA LA REPUBBLICA
http://www.repubblica.it/politica/2013/12/29/news/la_rivoluzione_di_francesco_ha_abolito_il_peccato-74697884/
COSA DICE LA PAROLA DI DIO?
Lettera ai Romani - 2
[1] Sei dunque inescusabile, chiunque tu sia, o uomo che giudichi; perché mentre giudichi gli altri, condanni te stesso; infatti, tu che giudichi, fai le medesime cose.
[2] Eppure noi sappiamo che il giudizio di Dio è secondo verità contro quelli che commettono tali cose.
[3] Pensi forse, o uomo che giudichi quelli che commettono tali azioni e intanto le fai tu stesso, di sfuggire al giudizio di Dio?
[4] O ti prendi gioco della ricchezza della sua bontà, della sua tolleranza e della sua pazienza, senza riconoscere che la bontà di Dio ti spinge alla conversione?
[5] Tu, però, con la tua durezza e il tuo cuore impenitente accumuli collera su di te per il giorno dell'ira e della rivelazione del giusto giudizio di Dio,
[6] il quale renderà a ciascuno secondo le sue opere:
[7] la vita eterna a coloro che perseverando nelle opere di bene cercano gloria, onore e incorruttibilità;
[8] sdegno ed ira contro coloro che per ribellione resistono alla verità e obbediscono all'ingiustizia.
[9] Tribolazione e angoscia per ogni uomo che opera il male, per il Giudeo prima e poi per il Greco;
[10] gloria invece, onore e pace per chi opera il bene, per il Giudeo prima e poi per il Greco,
[11] perché presso Dio non c'è parzialità.
[12] Tutti quelli che hanno peccato senza la legge, periranno anche senza la legge; quanti invece hanno peccato sotto la legge, saranno giudicati con la legge.
[13] Perché non coloro che ascoltano la legge sono giusti davanti a Dio, ma quelli che mettono in pratica la legge saranno giustificati.
[14] Quando i pagani, che non hanno la legge, per natura agiscono secondo la legge, essi, pur non avendo legge, sono legge a se stessi;
[15] essi dimostrano che quanto la legge esige è scritto nei loro cuori come risulta dalla testimonianza della loro coscienza e dai loro stessi ragionamenti, che ora li accusano ora li difendono.
[16] Così avverrà nel giorno in cui Dio giudicherà i segreti degli uomini per mezzo di Gesù Cristo, secondo il mio vangelo.
[17] Ora, se tu ti vanti di portare il nome di Giudeo e ti riposi sicuro sulla legge, e ti glori di Dio,
[18] del quale conosci la volontà e, istruito come sei dalla legge, sai discernere ciò che è meglio,
[19] e sei convinto di esser guida dei ciechi, luce di coloro che sono nelle tenebre,
[20] educatore degli ignoranti, maestro dei semplici, perché possiedi nella legge l'espressione della sapienza e della verità...
[21] ebbene, come mai tu, che insegni agli altri, non insegni a te stesso? Tu che predichi di non rubare, rubi?
[22] Tu che proibisci l'adulterio, sei adultero? Tu che detesti gli idoli, ne derubi i templi?
[23] Tu che ti glori della legge, offendi Dio trasgredendo la legge?
[24] Infatti il nome di Dio è bestemmiato per causa vostra tra i pagani, come sta scritto.
PAROLA DI DIO.
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