giovedì 17 maggio 2012

s. leonardo murialdo


18 MAGGIO
S. LEONARDO MURIALDO


Nasce a Torino il 26 ottobre 1828. Il padre, ricco agente di cambio, muore nel 1833. La madre, donna molto religiosa, invia il suo piccolo «Nadino» in collegio a Savona, presso i Padri Scolopi, dove rimane dal 1836 al 1843. Tornato a Torino, frequenta i corsi di teologia all’Università e nel 1851 diventa sacerdote. Sceglie subito di impegnarsi nei primi oratori torinesi, tra i ragazzi poveri e sbandati della periferia: nell’oratorio dell’Angelo Custode, fino al 1857, e poi nell'oratorio di San Luig,i come direttore, dal 1857 al 1865.
Trascorre un anno di aggiornamento a Parigi finché la Provvidenza lo chiama nel 1866 a farsi carico di giovani ancora più poveri ed ancora più abbandonati: quelli del Collegio Artigianelli di Torino. Da allora in poi tutta la sua vita è dedicata all’accoglienza, all'educazione cristiana e alla formazione professionale di questi ragazzi.
Per loro egli fonda nel 1873 la Congregazione di San Giuseppe (Giuseppini) e negli anni seguenti avvia nuove iniziative: una casa famiglia (la prima in Italia), una colonia agricola, altri oratori, insieme a varie altre opere.
Quella del Murialdo è una presenza significativa nel movimento cattolico piemontese. Lavora per la stampa cattolica, è attivo all’interno dell'Opera dei Congressi, è uno degli animatori dell'Unione Operaia Cattolica.
La sua esistenza terrena finisce il 30 marzo 1900, ma anche noi, lontani nel tempo, possiamo attingere alla sua preziosa eredità spirituale, confermata dalla proclamazione della sua santità, nel 1970. Possiamo far tesoro della sua esperienza di Dio: egli ci ama per primo, personalmente, in ogni istante. Il suo amore è infinito, tenero, mise-ricordioso. La nostra risposta a questo amore sarà un fiducioso abbandono nelle mani di Dio, una ricerca gioiosa della sua volontà, un cuore totalmente donato a lui ed ai giovani, specialmente a quelli più poveri e più soli.



Paolo VI 3 novembre 1963 in occasione della beatificazione
Abbiamo tributato gli onori del culto, e abbiamo chie­sto l’ausilio della sua intercessione, a un nuovo cittadino del cielo, proclamando beato un esemplare, zelante, e prov­vido sacerdote piemontese, Leonardo Murialdo, nato a To­rino nel 1828 e a Torino morto nel 1900.
È istintiva ed è legittima, doverosa anche, la doman­da che il solenne avvenimento della beatificazione fa sor­gere nello spirito di quanti lo contemplano nel quadro di gloria in cui lo colloca oggi la Chiesa: chi era?
E a questo riguardo la nostra curiosità troverà nel­la narrazione della vita di Leonardo Murialdo facile e in­teressante risposta: la sua storia è semplice, non ha miste­ri, non ha avventure straordinarie; si svolge in un corso relativamente tranquillo, in mezzo a luoghi, a persone, a fatti ben conosciuti.
Non è un santo sequestrato dalla nostra conver­sazione; è un nostro fratello, è un nostro sacerdote, è un nostro compagno di viaggio... fondamento di quella definizione e del nostro stesso stupore: “fare e tacere”.
La sua divisa, potremmo trovarla in queste due parole: fare e tacere. Ci dice quanto sia stato positivo, costruttivo l’impiego della sua vita, e quanto umile. Ed è perciò a lui bene riferito il giudizio d’un contemporaneo: “Fu uomo straordinario nell’ordinario”.
Non cercheremo in lui novità di pensiero, troveremo invece in lui novità di opere. L’azione lo qualifica. Spinto dal di dentro del suo spirito, chiamato al di fuori da nuove vocazioni di carità, questo sacerdote ideale si concede ai problemi pratici del bene a lui presente; e inizia così, senza altre previsioni che quella dell’abbandono alla Provvidenza, la impensata avventura, la novità, la fondazione cioè, d’un nuovo istituto, modellato secondo il genio di quella fedeltà iniziale, e secondo le indicazioni sperimentali delle necessità umane, che l’amore ha rese evidenti e imploranti.
La Chiesa dunque, anche in questa luminosa circostanza, ci parla delle necessità, tuttora vive e insoddisfatte, della nostra società; ancora ci esorta a dare all’uomo, all’uomo della fatica materiale specialmente, una considerazione di primo grado nel complesso concorso dei coefficienti della produzione economica e del progresso sociale; ancora ci svela il suo cuore pieno di affezione e di stima per le categorie lavoratrici, ancora ci apre le riserve della sua operosa carità per la salvezza, la letizia, la formazione umana e cristiana della gioventù studentesca, agricola e operaia.



SECONDA LETTURA
Dall'omelia « Mistero di amore » di san Leonardo Murialdo, sacerdote.
(Novena di Natale del 1860; Mss. t. V, pos. 994/9-16)
Dio ci ama come una madre ama il suo unico figlio.
Regna nel mondo uno scandalo, un errore e sto per dire una empietà che causa la più deplorevole stra­ge nella Chiesa di Cristo: ed è che non si crede al­l'amore di Dio per noi.
Noi abbiamo sentito ripetere fin dall'infanzia che Dio ci ha amato e ci ha amato tanto e perciò abbiamo ormai assuefatto l'orecchio e crediamo quasi che quan­do, si dice amore di Dio per l'uomo, questa non sia che una parola d'uso senza fondamento e senza verità. Infatti, o fratelli, riflettiamo seriamente su noi stessi: ci crediamo realmente all'amore di Dio per noi? Crediamo veramente che noi siamo l'oggetto del suo infinito amore, che Egli ci tiene cari come pupilla dei suoi occhi, e che Egli ci ama come una madre ama il suo figlio unigenito? Se noi lo credessimo, noi pure lo ameremmo, perché anche noi abbiamo un cuore che palpita e quale è il cuore che non riami chi lo ama?
Ma l'amore, dice santa Teresa, non è amato perché non è conosciuto, non è creduto dagli uomini; e se noi lo crediamo, confessiamo pure che assai languida e quasi morta è la nostra fede nella meravigliosa ca­rità di Dio per noi. Egli ce ne diede prove così mera­vigliose che giunse persino agli eccessi, secondo la fra­se dell'apostolo (cfr. Gv 3,16); ce ne diede pegni così grandi che divennero persino pietra di inciampo al su­perbo incredulo ed al miscredente che rigetta la fede e la salvezza eterna, perché non può credere che un Dio possa giungere a quegli eccessi di amore per l'uo­mo che sono il presepio, la croce e l'altare. E tuttavia noi stessi suoi figli prediletti che crediamo a quei pro­digi di amore, noi stessi poi non abbiamo fede nel­l'amore che li operò e di cui essi ci danno così chiara testimonianza.
Ma badiamo, o fratelli, che questa è verità di fede; e chi avvertitamente dubitasse di questo amore di Dio per noi, sarebbe non solo ingrato, ma cesserebbe per­sino di essere cattolico. « Pur essendo noi nemici, egli ci amò » (Rom 5,10); dunque anche ora.
Poiché avvertite, o miei cari, che è lo Spirito Santo che per mezzo dell'apostolo san Giovanni, ci attesta questa verità con quelle sublimi parole: « Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unige­nito » (Gv 3,16).
Così per mezzo dell'apostolo san Paolo ci dice che Cristo: « ci ha amato e dato se stesso per noi » (Gal 2,20). Amò noi e diede se stesso per noi. È dunque la stessa, ineffabile parola di Dio che ci assicura di que­sta consolantissima verità: che Dio ci ama.

responsorio                                           1 Gv 4,16.19
Noi abbiamo creduto all'amore che Dio ha per noi.
* Chi vive nell'amore dimora in Dio e Dio in lui.
Noi amiamo, perché egli ci ha amati per primo.
Chi vive nell'amore dimora in Dio e Dio in lui.

Oppure: SECONDA LETTURA
Dagli scritti di san Leonardo Murialdo, sacerdote (Conferenza del 1869; Mss. t. Ili, pos. 397/7-10)
La predilezione per i giovani poveri e abbandonati
Noi troviamo motivi speciali per rallegrarci della nostra missione, motivi tratti dalla natura dei giovani a cui in modo speciale attendiamo. Quali sono essi? Poveri e abbandonati: ecco i due requisiti che costi­tuiscono un giovane come uno dei nostri; e quanto più è povero ed abbandonato, tanto più è dei nostri.
Poveri ed abbandonati! Quanto è bella la missio­ne di attendere all'educazione dei poveri! E come è più bella ancora quella di cercare, di soccorrere, di educare, di salvare per il tempo e per l'eternità i poveri abbandonati, abbandonati dal lato morale se non ma­teriale. Come è dolce sentirsi dire con verità « a te si abbandona il misero, dell'orfano tu sei il sostegno » (Sal. 9,35). I poveri, i fanciulli e infine i peccatori era­no la pupilla degli occhi di Gesù Cristo, la gemma preziosa ai suoi occhi, il tesoro preziosissimo. E i no­stri giovani sono poveri, sono fanciulli e, aggiungiamo pure, talora sono ben altro che innocenti! Ma que­st'ultimo carattere, sebbene in se stesso certamente non amabile, deve forse renderci i nostri giovani meno cari, meno, sia lecita l'espressione, interessanti?
Forse noi dimentichiamo qualche volta questa con­dizione dei giovani al cui bene intendiamo consacrare la nostra vita. Non appena un giovane si mostra di indole infelice, o anche perversa, di carattere indisci­plinato e poco disciplinabile, restìo alla educazione, or­goglioso, caparbio e stazionario nel male, o proceden­te anzi di male in peggio, subito ci disgustiamo, ci di­sanimiamo e brameremmo senz'altro che quel poveri­no ci togliesse ogni fastidio andando-sene per i fatti suoi, lui ed i suoi vizi. Ma non dobbiamo tuttavia es­sere troppo facili a stancar-ci, a disanimarci, a dispe­rare. Non dimentichiamo che raccogliendo abbando­nati dobbiamo aspettarci di trovare giovani che ab­biano tutta la ignoranza, la selvatichezza e tutti i vizi che nascono da uno stato di abbandono.
Si trattasse anche di giovani appartenenti a fami­glie civili e cristiane, non dovremmo meravigliarci di trovare difetti e anche vizi nei fanciulli. Poiché, se già fossero perfetti, perché educarli? Ora, che dobbiamo attendere noi che ricoveriamo fanciulli raccolti dalla pubblica strada, o alle volte, che escono dalle mani di parenti volgari o scandalosi? La loro miseria morale ci deve commuovere molto di più che non la loro mi­seria materiale; e invece di farci perdere troppo pre­sto la pazienza e la speranza, ci deve animare a lavo­rare coraggiosi e pieni di commiserazione verso questi infelici; in verità sovente sono più infelici che colpe­voli e probabilmente saremmo anche noi così se come loro fossimo stati abbandonati.
La stessa condizione dunque dei nostri poveri gio­vani ci sia spinta a farci maggior violenza per ben adempiere i doveri che a ciascuno nel proprio stato impone la loro educazione ed a pregare Dio che « fac­cia crescere » (1 Cor 3,6).

responsorio                             Sal 81,3-4; cfr Gc 2,5
Difendete il debole e l'orfano, al misero e al po­vero fate giustizia;
* salvate il debole e l'indigente, liberateli dalla mano degli empi.
Dio ha scelto i poveri nel mondo per farli ricchi con la fede ed eredi del regno:
salvate il debole e l'indigente, liberateli dalla mano degli empi.

Oppure:
SECONDA LETTURA
Dal discorso del papa Giovanni Paolo II ai Giuseppini del Murialdo (l dicembre 1978)
Ricerca della santità, ansia pedagogica, fedeltà alla Chiesa e al Papa.
Carissimi figli, desidero esortarvi a mantenervi fe­deli a tre consegne del vostro Fondatore.
1. La ricerca della santità. «Fatevi santi e fate presto » era la costante esortazione del Murial-do. Que­sta deve essere la nostra prima preoccupazione e il no­stro impegno fondamentale. La santità consiste prima di tutto nel vivere con convinzione la realtà dell'amore di Dio, nonos-tante le difficoltà della storia e della propria vita.
Nel « Testamento spirituale » il Murialdo scrisse: « Bramerei che la Congregazione di san Giuseppe mi­rasse soprattutto a diffondere attorno a sé e special­mente nel suo seno la conoscenza dell'amore infinito, attuale e individuale che Dio ha per tutte le anime, massime dei fedeli, e in modo particolarissimo per i suoi eletti e prescelti — i sacerdoti, i religiosi — e dell'amore personale che egli ha per ciascuno. Si legge nei libri di pietà, si predica dal pulpito che Dio ha tanto amato gli uomini, ma non si riflette che è ades­so, attualmente, in questa ora stessa che Dio ci ama veramente infinitamente... ».
Questo voglio dire anch'io a voi tutti; nelle vostre difficoltà quotidiane, nei momenti della prova e dello scoraggiamento, quando sembra che ogni impegno sia quasi svuotato di interesse e di valore, ricordatevi che Dio conosce i nostri affanni! Dio vi ama uno per uno, vi sta vicino, vi comprende! In Lui confidate e in que­sta certezza trovate il coraggio e la gioia di compiere con amore e con letizia il vostro dovere.
La « santità » consiste inoltre nella vita di nascon­dimento e di Limiltà: sapersi immergere nel travaglio quotidiano degli uomini, ma in silenzio, senza ramori di cronaca, senza echi monda-ni. « Facciamo e taria­mo » : era il motto programmatico del vostro Fonda­tore. Fare e tacere! Come è attuale anche oggi questo programma di vita e di apostolato.
Fate tesoro, carissimi figli degli insegnamenti del vostro Santo! Essi indicano la via sicura per l'avvento del regno di Dio!

2. Una seconda caratteristica di san Leonardo
Murialdo è stata l'ansia pedagogica. Egli fu indubbia­mente un grande educatore, come Don Bosco, e impegnò tutta la sua vita nell'educazione dei fanciulli e dei giovani, convinto del valore del metodo preventivo e dell'orientamento cristocentrico.
Meditiamo insieme ciò che egli scrisse ai confra­telli raccolti negli esercizi spirituali del 1898: « L'amo­re di Dio generi lo zelo per la salvezza dei giovinetti: " ne perdantur ", dice san Giovanni Crisostomo, affinché non si perdano, non si dannino e quindi... vero zelo di salvarli, di istruirli bene nella religio­ne, di insinuare loro l'amore di Dio, di Gesù Cristo, di Maria e lo zelo di salvarsi. Ma tutto questo non si otterrà se non si avrà umiltà nel cuore » (Epist. V, n. 2187).
È una esortazione di cui il Papa si vuole fare eco. Sia questo il vostro assillo: educate per salvare!
La « pedagogia della salvezza eterna » sprigiona lo­gicamente la « pedagogia dell'amore ». Impegnate to­talmente la vostra vita per edificare, per formare i fanciulli e i giovani, comportandovi in modo che la vo­stra vita sia per essi un incessante esempio di virtù: bisogna farsi piccoli con i piccoli e tutto a tutti per gua­dagnare tutti a Cristo!
La bontà del cuore, l'affabilità, la pazienza, la cor­tesia, l'ilarità sono elementi necessari per «aggancia­re», per formare, per portare a Cristo, per salvare, e molte volte esigono sforzo e sacrificio. Nonostante le difficoltà, dovete continuare nella vostra fatica con amore e dedizione, perché l'opera dell'educatore ha un valore eterno.
3. Infine, vorrei rilevare un'ultima caratteristica che mi pare importante per definire più compiutamen­te la fisionomia del Murialdo, ed è la sua profonda fédeità alla Chiesa e al Papa. Agite anche voi così! Amate la Chiesa! Amate il Papa! Siate docili ai suoi insegnamenti e alle sue direttive, ben convinti che il Signore vuole l'unità nella verità e nella carità, e che lo Spirito Santo assiste il Vicario di Cristo nella sua opera indispensabile e salvifica. E pregate e fate pre­gare i vostri giovani e i vostri fedeli per il Papa e per la Chiesa.
Non possiamo concludere che rivolgendoci a Ma­ria Santissima, così amata e venerata dal Murialdo, che a Lei ricorreva come alla Mediatrice Universale di ogni grazia. Nelle sue lettere ritornava continuamente il pensiero di Maria, in esse egli inculcava la recita del rosario, affidava ai suoi Figli la diffusione della devo­zione alla Vergine SS .ma, e affermava:  « Se si vuole fare un po' di bene in mezzo ai giovani, bisogna in­fondere loro l'amore a Maria ». L'opera benefica, svolta dal vostro Fondatore, ne costituisce la migliore con­ferma. Seguitene, dunque, anche in questo l'esempio.

RESPONSORIO                         2 Cor 13,12; Rom 15,13
Fratelli, state lieti, cercate ciò che è perfetto, fatevi coraggio a vicenda,
abbiate gli stessi sentimenti, vivete in pace: * il Dio dell'amore e della pace sia con voi.
II Dio della speranza vi riempia di ogni gioia e serenità nella fede­le    
il Dio dell'amore e della pace sia con voi.

ORAZIONE
O Dio, sorgente e principio di amore, che hai suscitato san Leonardo Murialdo padre degli orfani, animatore e guida dei lavoratori, per sua intercessione concedi a noi di seguire i precetti del tuo amore nel servizio verso i nostri fratelli. Per il nostro Signore

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